Articolo pubblicato su IUA n° 6, anno X, Giugno 2023

Spina. Per scoli e secoli si è conservato solo il nome, negli scritti dagli storici greci e romani, da Dionigi di Alicarnasso a Plinio il Vecchio. Che fosse esistito un ricco porto di origine etrusca, sulle sponde dell’Adriatico, nei pressi del delta del Po, sulla base di tante autorevoli testimonianze, nessuno poteva negarlo. Ma dove esattamente si trovasse… rimaneva una domanda senza risposta, nonostante l’interesse di uomini eminenti; come, leggo, anche Petrarca e Boccaccio. Il primo ad avere una intuizione giusta fu un medico bolognese del XVIII secolo, sulla base del ritrovamento di alcuni reperti archeologici lungo quello che veniva chiamato il Po di Spineto. Ma la situazione della zona si evolve continuamente nel corso degli anni, il fiume porta materiali e costruisce nuove terre, il mare erode, la geomorfologia del territorio è in continua evoluzione. Finché, poco dopo il termine del primo conflitto mondiale, nel 1922, durante le operazioni di bonifica di quel tratto di pianura, saltarono fuori tombe inequivocabilmente etrusche, prima a decine, poi a centinaia. Era la necropoli di Spina.

I lavori di scavo, seppur con ampie pause, vanno avanti ormai da un secolo. Più di 3000 sepolcri sono stati riportati alla luce, ma poco o niente degli edifici civili e religiosi della città. Il perché si spiega facilmente col fatto che i materiali di costruzione immediatamente disponibili erano molto deperibili: il legname delle grandi foreste di cui allora si ammantava la pianura padana, i canneti, il fango. Capanne, dunque: pur grandi e comode, indubitabilmente arredate anche con lusso, ma sempre capanne. L’esistenza di edifici in mattoni o in pietra, per gli usi civili e religiosi, è ancora da dimostrare. Però, quello che è certo è che anche senza apparire, Spina fu una città ricca e vitale, uno snodo fondamentale per i commerci dalla, e per, la Grecia, che poi erano ulteriormente avviati lungo quell’arteria importantissima costituita dal Po e dai suoi affluenti di sinistra, come il Mincio o il Ticino, giungendo per i passi alpini nell’Europa nord-occidentale e nord-orientale. (Nella foto a destra: riproduzione di nave etrusca)

Da cui, diciamo subito, provenivano i metalli e quella che era indubbiamente la pietra più ambita dai Paperoni dell’epoca: l’ambra. Le navi non facevano il viaggio di ritorno a vuoto, ma con le stive cariche, oltre che dei prodotti di Oltralpe o del ferro delle miniere elbane, del grano della Padania. Tra il quinto e il quarto secolo dopo Cristo soprattutto del grano si aveva bisogno, nelle grandi metropoli dell’Ellade, e ad Atene in primo luogo.

Quando sorse Spina? Gli Etruschi si erano già insediati nella grande Pianura, a Marzabotto, a Felsina, a Mantova, ponendo le premesse di quella che sarebbe potuta divenire la grande nazione etrusca, dalla Campania alle Alpi. Verso la metà del VI secolo a. C. cominciò a svilupparsi il porto di Spina, si suppone con l’aiuto interessato dei Greci, che avevano assoluto bisogno di porti d’appoggio nel nord dell’Adriatico.  Il legame divenne talmente stretto che, nel periodo successivo, Spina fu autorizzata (l’altra grande città etrusca era Caere) a erigere e mantenere un Tesoro, cioè un tempietto per le offerte al dio Apollo, a Delfi. (Nella foto a sinistra: Ceramica attica)

La lingua greca divenne di uso comune a Spina, dove, come in tutti i porti commerciali del mondo, si parlavano (ce lo attestano le epigrafi) oltre all’etrusco le lingue delle genti che passavano e magari vi risiedevano per affari, dal celtico all’idioma dei Veneti. I traffici dovevano essere intensi (nella bella stagione, s’intende: quasi nessuno affrontava il mare aperto prima del solstizio di estate o dopo l’equinozio di autunno) perché i viaggi richiedevano un tempo piuttosto breve: due settimane di navigazione per giungere ad Atene.

Vaso attico

Certo, con gli occhi ben aperti, perché i pirati illirici aspettavano al varco le navi da trasporto. Proprio per questo, alcuni indizi fanno pensare che gli etruschi abbiamo preso le dovute contromisure, insediando a Spina una piccola flotta da guerra. Come noterete, pur in mancanza di testimonianze scritte, sono ora molte le cose che si sanno su Spina.

Collana d’ambra

Una grande mostra, tenutasi presso il Museo Archeologico di Ferrara da Dicembre ad Aprile 2023, è servita a esporre gli oggetti più significativi emersi in un secolo di attività di scavo. In primo luogo quelli di ascendenza etrusca, ma anche le splendide ceramiche attiche, nate dalle mani dei più abili vasai greci, e giunte come merce di scambio nel nord dell’Adriatico. Poi i bellissimi oggetti di oreficeria, non solo etrusca, ma anche celtica, che le ricche signore (non etrusche, ma nostre contemporanee) possono solo sognarsi!

Imbarcazione da fiume
Gioielli di probabile origine celtica

Ma che accadde poi? Perché di Spina è rimasto solo il nome? Il decadere della nazione etrusca, di fronte alla pressione della Repubblica di Roma, ebbe ripercussioni anche al nord. I Celti, fino ad allora in buoni rapporti con le città etrusche, attaccarono e distrussero le città tirrene nella grande pianura. Spina fu ridotta a un villaggio o poco più, fino a che, già in epoca imperiale, se ne conservò solo il nome nei libri di storia.

Unguentari

Adesso, la splendida epopea di Spina è per gran parte visibile all’Archeologico di Ferrara, ma in autunno la grande mostra di cui vi abbiamo parlato si replicherà a Roma. Un’occasione davvero da non perdere, sulla quale cercheremo di tenervi aggiornati.

Unguentari
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CC BY-NC-ND 4.0 Emilia-Romagna: Spina, gli Etruschi dell’Adriatico by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.