Fig. 1 - Santa Trinita (Antonacci, 2023)

Santa Trinita è una delle più complesse chiese di Firenze, la cui visita fa compiere un vero e proprio viaggio attraverso la storia dell’arte e le vicende della città toscana.

Fig. 1 – Santa Trinita (Antonacci, 2023)

2015.  Colgo l’occasione di un sabato di aprile, in cui mi ero recato in centro a Firenze per alcune commissioni personali, per fare una visita alla basilica di Santa Trinita che poco conoscevo.  Fermo la mia inseparabile bicicletta poco fuori l’ingresso dell’edificio sacro, tra altre biciclette: vicino non ci sono appigli dove fissare la catena, mi accontento quindi di una semplice chiusura. La mia visita non durerà molto, per la solita tirannia del tempo a disposizione.

Entro nell’edificio, che ha un interno di maestose linee gotiche: non ci sono le folle e le file che possiamo trovare in altri monumenti di Firenze, anche se il luogo trabocca di storia e di arte. Varie sono le opere che qui ricordano San Giovanni Gualberto. Santa Trinita è fortemente collegata all’ordine dei Vallombrosani: fondata nella seconda metà dell’undicesimo secolo (indicativamente tra il 1060 e il 1070), diventò chiesa Vallombrosana intorno al 1114, anno in cui è documentata la presenza dell’ordine.

(fig. 2 – Interno della basilica di Santa Trinita, Antonacci, 2018)

L’attuale cripta (fig. 3) è la parte che resta della prima chiesa, costruita probabilmente al posto di un più antico oratorio, la Madonna dello Spasimo o dei Tribolati: luogo di culto che la tradizione vuole ampliato da Carlo Magno, quindi di ancora più antica fondazione. Nel XII secolo fu costruita una chiesa romanica a tre navate, che manteneva la cripta precedente. La chiesa attuale, di forme gotiche, fu costruita in un lungo arco di tempo, compreso tra il XIII e l’inizio del XV secolo. Il sito comprende quindi successive fasi dell’edificio: la chiesa alto medioevale, non più visibile; la cripta corrispondente all’edificio fondato nel secolo XI, la chiesa del XII secolo e la basilica del XIII secolo.  Per completare questi minimi cenni storici dell’edificio bisogna anche rammentare che l’attuale facciata, del Buontalenti, è della fine del XVI secolo, e racchiude internamente la facciata precedente il cui prospetto interno è ancora visibile da dentro.

Fig. 3 – Cripta della basilica di Santa Trinita, Antonacci, 2018 – a destra.

Entrando nella chiesa il primo luogo che attira la mia attenzione è una cappella nella navata sinistra, dedicata a San Giovanni Gualberto, la cappella Compagni. Sullo sfondo un grande affresco di Neri di Bicci, che ritrae il santo in mezzo ad altri santi e beati dell’ordine vallombrosano.  Sono tutti personaggi di grande importanza nella storia dell’ordine. C’è Pietro Igneo, protagonista della prova del fuoco alla Badia a Settimo e poi cardinale e vescovo di Albano. Si possono individuare San Bernardo degli Uberti, cardinale e vescovo di Parma, e Sant’Atto, famoso vescovo di Pistoia che là istituì il culto di San Jacopo.

Fig. 4 – S. Giovanni Gualberto e Santi dell’ordine vallombrosano, affresco di Neri di Bicci, particolare, Antonacci, 2015

È evidente l’importanza dell’opera: San Giovanni Gualberto guarda con severità davanti a sé, tiene in mano un libro con alcune frasi in latino (fig. 4 – sopra). L’affresco non è nato in Santa Trinita, qui è stato portato solo nel 1973. L’opera fu realizzata da Neri di Bicci in San Pancrazio, altro monastero vallombrosano di Firenze soppresso nel 1808 e oggi Museo Marino Marini. L’affresco si è salvato miracolosamente da molte vicissitudini legate alle varie destinazioni a cui era stato destinato l’antico convento, che è stato manifattura tabacchi e caserma: vicende che hanno compreso un incendio e la chiusura   per molti anni all’umido dietro a una vetrata. Poi la saggia decisione di restaurarlo e portarlo in Santa Trinita, senz’altro adatta sistemazione artistica e spirituale per un’opera di questo tipo.

Fig. 5 – Il Crocefisso che, secondo la tradizione, annuì a San Giovanni Gualberto dopo il perdono dell’assassino del fratello. Antonacci 2018

Non posso mancare di andare a vedere dove si trova il Crocefisso di S. Giovanni Gualberto (fig.5 – sopra), e sulla guida leggo che devo andare a cercarlo nella cappella di S. Paolo, alla destra dell’altar maggiore guardando dalla navata. L’immagine che secondo la tradizione fece un cenno miracoloso a San Giovanni Gualberto, che aveva appena perdonato l’assassino del fratello, si presume fosse collocata inizialmente sull’altare dell’antica chiesa di San Miniato al Monte, precedente a quella attuale; successivamente il crocefisso fu portato nella cripta della nuova basilica dedicata al martire armeno.

Il crocefisso è una delle testimonianze più antiche dell’arte medioevale fiorentina, benché quanto oggi possiamo vedere sia il frutto di vari restauri che hanno totalmente occultato il dipinto originario. Nel 1394 fu posto in un tabernacolo in legno decorato da Agnolo Gaddi, sostituito nel 1448 dal tempietto di Bernardo Rossellino che oggi ammiriamo al centro della navata di San Miniato al Monte, costruito appositamente per accogliere il crocefisso. I pannelli del tabernacolo di Agnolo Gaddi furono riutilizzati e ricomposti all’interno di questo tempietto.  Il 24 e il 25 novembre 1671 si svolse una grandiosa processione, con la quale il popolo fiorentino portò il crocefisso dalla basilica di San Miniato a quella di Santa Trinita dove fu posto sull’altar maggiore, per essere poi spostato nella posizione attuale. Inoltre, vicino al crocefisso, è anche conservata una cocolla di San Giovanni Gualberto, portata qui il 30 maggio 1818 dal monastero di San Salvi. Ma le testimonianze su San Giovanni Gualberto non finiscono qui. C’è una piccola cappella, a sinistra del presbiterio, realizzata intorno al 1580 quando i monaci di Santa Trinita ricevettero in dono da quelli di Passignano una reliquia del santo, a seguito della prima ricognizione del suo corpo. Fu quindi ricavato uno spazio nella chiesa per conservare il prezioso reliquiario barocco, e fu chiamato Domenico Cresti, detto il Passignano, a decorarla: il pittore dipinse sulle pareti alcuni episodi correlati alla vita del santo e sulla volta la figura di Giovanni Gualberto circondato da angeli.

Nella navata destra, nella cappella degli Ardinghelli, troviamo un altare che faceva parte del monumento marmoreo che l’Abate generale dei Vallombrosani, Biagio Milanesi, intendeva dedicare a San Giovanni Gualberto, e che commissionò a Benedetto da Rovezzano: lo scultore ci lavorò per ben dieci anni, poi l’opera, inizialmente ubicata in san Michele a San Salvi, andò dispersa nell’assedio di Firenze nel 1530.   Oltre all’altare in Santa Trinita, alcune parti risultano oggi conservate nel Museo del Bargello, altre ancora presso il museo di San Salvi. Quanto contenuto nella basilica va oltre quanto posso raccontarvi in poche righe, e sulla chiesa ci sono libri interi che con competenza ne descrivono opere e storia. Qui posso solo darvi una prima idea della complessità di ciò che abbiamo davanti.

La chiesa è una mappa delle potenti famiglie fiorentine: molte di esse avevano qui una cappella, splendente di grandiose opere d’arte. Faccio un elenco, con qualche cenno alle opere principali. Tutto questo per renderci conto che nella Firenze rinascimentale i Medici erano solo la punta dell’iceberg del potere economico assunto da numerose famiglie, la cui grandezza si manifestava in operazioni di mecenatismo artistico che di fatto hanno permesso la creazione delle stupende opere che noi oggi vediamo. Non solo: la loro presenza nella chiesa vallombrosana sottintende profondi collegamenti tra l’ordine religioso e il potere politico e commerciale della città.

  Iniziamo dalla navata a destra di chi entra nella chiesa.

–  Nella cappella Gianfigliazzi, dedicata a S. Benedetto, si ammira un affresco della scuola di Spinello Aretino che rappresenta Santa Maria Egiziaca mentre nuda, vestita dei soli capelli, riceve la comunione dal monaco Zosimo. La santa, vissuta nel V secolo, dopo aver fatto la prostituta ad Alessandria d’Egitto, si converte in un viaggio in Terrasanta andando poi a vivere nel deserto dove viene trovata dal monaco Zosimo.  Nella cappella c’è anche un famoso crocefisso del XIV secolo, chiamato “crocefisso della provvidenza”.

– La cappella Davizzi, dedicata a S. Giovanni Battista ospita il quadro del XV secolo della Madonna dello Spasimo, che rammenta la dedicazione dell’antico oratorio esistente nel luogo.

– La cappella Sercialli, dedicata a S. Luca, contiene una tavola di Neri di Bicci con la Madonna e vari santi.

– La cappella Bartolini – Salimbeni, dedicata alla SS. Annunziata, contiene importanti affreschi quattrocenteschi di Lorenzo Monaco.

– Nella cappella degli Ardinghelli, dedicata a S. Niccolò e S. Torello, troviamo  l’altare originariamente destinato al monumento sepolcrale destinato a Giovanni Gualberto, poi dedicato a S. Dionigi.

Proseguiamo nel transetto partendo dal lato dell’ingresso da Via del Parione.

– La cappella degli Strozzi, o sacrestia, attribuita a Lorenzo Ghiberti, è uno dei grandi esempi del passaggio dal gotico allo stile rinascimentale. Per edificarla Palla Strozzi comprò tutte le case che erano edificate nel luogo, facendole poi abbattere per dar posto alla cappella di famiglia. Qui erano conservati due grandi capolavori, l’adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano e la deposizione dell’Angelico, poi andati in altri musei. Il portale è disegnato e scolpito da Lorenzo Ghiberti.

– La cappella Sassetti, dedicata a S. Francesco, è la più celebre di tutta la basilica. È decorata con le opere di Domenico Ghirlandaio, a cui Francesco di Tommaso Sassetti, amministratore dei beni della famiglia Medici, commissionò il lavoro.  Sulle pareti si possono ammirare sei episodi della vita del santo: ci fermiamo sui due centrali (fig. 6 a sinistra). In alto la scena che rappresenta S. Francesco in ginocchio davanti al papa Onorio III per l’approvazione della regola. La scena è collocata dal pittore in Piazza della Signoria, si possono distinguere Palazzo Vecchio e la Loggia dell’Orcagna; e, sulla destra, si può riconoscere Lorenzo il Magnifico, con lui è ritratto il Sassetti. In primo piano una scala che sale da un ambiente inferiore, e su questa scala un corteo con in testa il Poliziano, e poi dei ragazzi che sono Giuliano, Piero e Giovanni dei Medici. Ci sono molti altri personaggi, rappresentanti dell’ambiente mediceo.

Fig. 6 – Cappella Sassetti, affreschi di Domenico Ghirlandaio: S. Francesco in ginocchio davanti al papa Onorio III per l’approvazione della regola e
la rappresentazione del miracolo del “fanciullo risuscitato”. Antonacci 2018

Sotto la rappresentazione del miracolo del “fanciullo risuscitato”: un ragazzo cade da un piano alto di un palazzo vicino a Santa Trinita ma, miracolosamente, non si fa niente per intercessione di San Francesco.  Il ragazzo viene comunque soccorso e messo su una lettiga, ma si rialza senza problemi. La pittura del Ghirlandaio rappresenta la Firenze del 1485, la facciata di Santa Trinita prima del rifacimento, il ponte, i personaggi di quegli anni che vengono ritratti con realismo dal pittore. 

Fig. 7 – Domenico Ghirlandaio “L’adorazione dei Pastori”, cappella Sassetti. Antonacci 2018

Sotto si trova la tavola della natività (fig. 7 – sopra), anch’essa grandissima opera, dove il Ghirlandaio si auto ritrae nell’atto di indicare il neonato. A destra e a sinistra del quadro i ritratti di Francesco Sassetti e della moglie Nera Corsi: e corrispondentemente sulle pareti di destra e sinistra le arche sepolcrali dei due sposi realizzata da Giuliano da Sangallo. Qui fermo la descrizione della cappella Sassetti, ci sarebbero molte altre cose e concetti da approfondire e spiegare. Mi limito a dire che secondo Luciano Zeppegno gli affreschi in questione sono il capolavoro assoluto del Ghirlandaio che, come abbiamo visto in altro articolo del 2022, per l’ordine Vallombrosano aveva già dipinto l’ultima cena a Passignano.

– La cappella Doni, dedicata a S. Paolo nella quale troviamo il crocefisso di S. Giovanni Gualberto di cui precedentemente ho raccontato la storia.

– La cappella Maggiore o dei Gianfigliazzi, dedicata alla SS. Trinità, che costituisce l’abside della chiesa. La cappella è famosa per gli affreschi di Alessio Baldovinetti, il quale, dopo aver realizzato per l’altar maggiore per conto di messer Bongianni Gianfigliazzi a fronte di un compenso di 89 fiorini d’oro la tavola che rappresentava “La trinità e i santi Benedetto e Giovanni Gualberto”, ora al museo dell’Accademia, ricevette il 1° luglio 1471 dai Gianfigliazzi l’incarico di affrescare tutta la cappella maggiore, opera da realizzare in cinque anni con un compenso di 200 fiorini d’oro. In realtà i lavori durarono 25 anni, e una speciale commissione di cui facevano parte personaggi come Pietro Perugino e Filippo Lippi stabilì che il compenso doveva essere di 1000 fiorini d’oro e non 200. 

Nel 1760, in epoca barocca, imbiancatura e stucchi coprirono le pitture: oggi sono rimaste solo le figure della volta, che rappresentano Noè, Abramo, Mosè e Davide. Nella cappella va evidenziata la presenza dell’altare realizzato da Desiderio da Settignano e il trittico di Mariotto di Nardo che splende sull’altare restaurato dai guasti dell’alluvione del 1966.

– Accanto alla cappella Maggiore troviamo la cappella degli Usimbardi, dedicata a San Pietro Apostolo, in stile barocco.

– L’ultima cappella del transetto è quella della famiglia Scali, dedicata a San Bartolomeo. In questo ambiente si può ammirare la tomba marmorea del vescovo Benozzo Federighi, importante opera del 1455 di Luca della Robbia. Posizionata originariamente nella chiesa di San Pancrazio, fu poi portata in Santa Trinita nel XIX secolo.

–  Abbiamo poi la piccola cappella della reliquia di San Giovanni Gualberto, di cui precedentemente vi ho descritto le parti essenziali.

Arriviamo alla navata sinistra, procedendo dal transetto.

– La cappella Spini, dedicata all’Assunta, ospitava la tavola dell’Assunta di Neri di Bicci, ora a Ottawa; Neri affrescò tutta la cappella, ma non sono rimaste tracce delle sue pitture. Nella cappella si conserva anche una statua di legno che rappresenta la Maddalena penitente iniziata da Desiderio da Settignano e terminata da Benedetto da Maiano nel 1466. Il modello a cui si ispira è indiscutibilmente la Maddalena di Donatello, che può essere ammirato al Museo dell’Opera del Duomo.

– La cappella Compagni, dedicata a S. Giovanni Gualberto; oltre all’affresco proveniente da S. Pancrazio precedentemente descritto, contiene quanto rimane degli affreschi di Lorenzo di Bicci del 1434, l’episodio del perdono di San Giovanni Gualberto. Sull’altare tavola di Bicci di Lorenzo, che rappresenta l’incoronazione di Maria.

Fig. 8 – Il Buon Pastore, sarcofago di Giuliano Davanzati. Antonacci 2015

– La cappella Davanzati, dedicata a S. Caterina d’Alessandria. Decorata da Taddeo Gaddi, oggi possiamo ancora vedere la disputa di S. Caterina con i filosofi. Una tavola di Neri di Bicci è proposta sull’altare. In questa cappella c’è il sepolcro di Giuliano Davanzati (fig. 8 – sopra) costituito da un antico sarcofago paleocristiano con l’immagine del Buon Pastore e teste di leoni negli angoli. Sopra la figura del Davanzati, possiamo ammirare la bellissima Madonna di Santa Trinita di Donatello (fig. 9 – sotto).

Fig. 9 – Donatello, “Madonna di Santa Trinita” – Antonacci 2015

 –  La cappella Bombeni, dedicata a S. Jacopo. Nel XVII si persero gli affreschi di S. Jacopo che decoravano le pareti. Ci furono ulteriori danni nel 1944 per una mina fatta scoppiare dei tedeschi.

–  La cappella degli Strozzi, dedicata a S. Lucia. Seicentesca, con dipinti del Poccetti e sculture del Caccini.

Fig. 10 – Cenni di Pepo detto Cimabue, Madonna con Bambino in trono con Angeli e profeti, Galleria delle Statue e delle Pitture degli Uffizi, Inv. 1890 n. 8343. Su concessione del Ministero della Cultura – Antonacci 2021

La visita non può concludersi in Santa Trinita, perché alcuni grandi capolavori un tempo qui conservati e venerati sono oggi conservati in grandi musei. La Madonna di Cimabue splende in una sala del Museo degli Uffizi (fig. 10 – sopra); l’adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano è anch’essa agli Uffizi; un’immagine della predella dell’Adorazione de’ Magi, la presentazione di Gesù al Tempio, è ora di proprietà del Louvre; la deposizione dell’Angelico – chiamata anche  “Pala di Santa Trinita” – si trova al Museo Nazionale di San Marco a Firenze; e infine, la tavola di Alesso Baldovinetti  “La trinità e i santi Benedetto e Giovanni Gualberto” è al museo dell’Accademia. Completiamo la situazione con una fuga oltre oceano: la stupenda tavola dell’Assunta, dipinta da Neri di Bicci tra il 1455 e il 1456 che splendeva nella cappella Spini ora si trova nella National Gallery of Canada, a Ottawa. Per chi volesse rapidamente ammirare questi capolavori troverà al termine dell’articolo una serie di link ai siti dei vari musei che, oltre alla riproduzione delle opere, propongono informazioni storiche e artistiche. Tutto questo ci fa capire che comprendere un grande monumento come la chiesa di Santa Trinita non è affatto facile, anche per le complesse dinamiche che hanno avuto le opere conservate in questi luoghi.

Esco dalla basilica, la mia visita è stata breve e il tempo è passato rapidamente, e ho dato solo uno sguardo alle infinite opere che sono custodite all’interno. Prendo le chiavi della bicicletta, devo essere presto a casa: mi guardo bene intorno, la mia amata bici non c’è più, qualcuno non ha avuto niente di meglio da fare che portarmela via. Dopo aver guardato infinite volte nei dintorni rinuncio alle ricerche: con malinconia me ne vado, il ritorno a casa sarà più lungo del previsto.

Desidero ringraziare, per aver autorizzato la pubblicazione delle fotografie:

  • Mons. Timothy Verdon, Direttore Ufficio Arte Sacra Arcidiocesi di Firenze;
  • Padre Joby Mupprappallil, Rettore della Basilica Santa Trinita;
  • Il Dott. Eike Schimdt, Direttore delle Gallerie degli Uffizi.

Firenze, 22 febbraio 2023                                    testo e foto di Gabriele Antonacci

È vietato riprodurre o duplicare con qualsiasi mezzo le immagini contenute nella presente pubblicazione

Bibliografia & Web

  • Luciano Zeppegno, “Le chiese di Firenze”, Perugia 1976
  • Torello Augusto Nocioni, “La Basilica di Santa Trinita in Firenze, Arte Storia Leggenda”, Firenze 1980
  • AA VV, “La Chiesa di Santa Trinita in Firenze”, Cassa di Risparmio di Firenze, 1987.
  • Eve Borsook, “The companion guide to Florence”, United Kingdom 1996

Le opere di Santa Trinita esposte nei più importanti Musei:

  • https://www.gallery.ca/collection/artwork/the-assumption-of-the-virgin-0
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CC BY-NC-ND 4.0 La basilica di Santa Trinita in Firenze by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.