ovvero Il carnevale di Sardegna

articolo pubblicato in anteprima per IUA n° 3 anno X, Marzo 2023

Febbraio è il mese dei tanti Carnevali di Sardegna. L’inizio viene segnato dall’accensione dei fuochi il 17 gennaio per Sant’Antonio Abate, quando si hanno le prime uscite delle maschere tradizionali, mentre il mercoledì delle ceneri pone fine a queste feste euforiche che, se anche per un breve periodo, cambiano l’atmosfera di diverse località sarde come Mamoiada, Ottana, Orotelli, Gavoi, Lula, Orani, Fonni, Ovodda, Lodine, Austis, Samugheo, Ula Tirso, Ghilarza, Bosa, Oristano, Santulussurgiu ecc. Giusto per citare località con le maschere più caratteristiche. Sono le maschere “de su connottu” (maschere tradizionali) legate ai riti agro pastorali e segnano ed esprimono l’antica antitesi tra sacro e profano, ripercorrono percorsi identitari e passionali legati alla terra, al ciclo delle stagioni, ai raccolti e al clima. Ed ecco che diversi paesi della Barbagia si animano in festa, proprio nel cuore della Sardegna. Rimbombano passi cadenzati, ritmi ancestrali e slanci impetuosi accompagnati dai suoni dei campanacci.

Per le strade di Mamoiada l’ultima domenica e il martedì grasso, escono i Mamuthones o Maimone (dal greco mainomai il posseduto, il furioso). Si ipotizza che in periodo precristiano ci fosse in Sardegna il culto di Dioniso, il dio bambino, celebrato nella maggior parte delle società agricole del Mediterraneo fin dal XV se. a.C. Dioniso era il dio della natura e della fertilità che moriva e rinasceva ogni anno come la natura. Attraverso la musica la danza il vino, Dioniso si trasformò in dio dell’ebbrezza e dell’estasi. Era conosciuto come “il Delirante” “Il Selvaggio” con chiaro riferimento alle orge sacre. I suoi devoti bramavano ad annientare se stessi per ottenere da lui la certezza della vita dopo la morte. Secondo alcuni studiosi il suo culto in Sardegna penetrò con i Micenei e i Greci. Anche nel Carnevale sardo si esibisce una vittima. Ed ecco il significato della parola carre’ e segare (carne viva da lacerare) dove la vittima è l’animale (in alcune località viene sostituito dal fantoccio portato al rogo). L’animale con le corna era la rappresentazione di Dioniso.

Le maschere sfilano… ricoperte di pelli, sonagli, campanacci, i volti neri di fuliggine o con sopra una maschera lignea zoomorfa: le vittime (Sos Maimones) sono tenute alla fune da un guardiano che impedisce loro la fuga. Suscitano emozione e paura i Mamuthones di Mamoiada, vestiti di velluto e sopra la giacca la mastruca o soprabito, ricavato dalla pelle di pecora nera, dal quale pendono i campanacci di buoi, più altri campanelli appesi al collo. Il volto è coperto da orrende maschere di legno scuro che li caratterizza. Insieme ai Mamuthones ci sono gli Issocadores, che aprono e chiudono la sfilata, indossano un corpetto rosso e tengono in mano sa soca, una lunga corda che usano come un lazzo per “catturare gli spettatori”.

I Mamuthones si muovono all’unisono, con gli stessi tempi e ritmi, sollevano le spalle appesantite dai tanti campanacci (30Kg) e l’intero corpo salta, scampanellando sordamente, tre salti danno fine a questa danza ipnotica che si ripeterà a intervalli di tempo. Che significato avrebbe questo rito? È sicuramente una rievocazione di storia sarda, qualcuno ha lasciato scritto: a memoria dei Mori, acerrimi nemici dei sardi. Si dice che alcuni di questi Mori, condotti prigionieri a Mamoiada, furono svestiti e ricoperti non solo dalla mastruca sarda, ma da maschere nel volto e legati ai campanacci in segno di assoggettamento e giogo. Secondo questa traduzione storica gli Issocadores rappresenterebbero i sardi vittoriosi, a conferma del loro status. Qualunque interpretazione libera è quella espressa dall’emozione dei tanti turisti che arrivano da tutta la Sardegna e l’Europa e non mancano a questo rito antico che richiama un po’ di adrenalina per tutti, ma invita soprattutto al rispetto di ciò che è sacro per storia e tradizione e di ciò che è profano che trascina alla festa e al bicchiere di vino.

Il Carnevale barbaricino, nella sua austerità, ha simboli come le maschere lignee, le vesti di pelli crude, i sonagli, onde rappresentare l’uomo “prigioniero” che si trasforma in uomo bue, senza appartenenza perché soggiogato, vuoi per colpa, vuoi per mali che incombono su di lui, quindi con sonagli, per identificarlo in qualsiasi luogo. L’uomo vaga nella notte alla ricerca della sua umanità perduta. In questo vagare urla e si lamenta si butta per terra disperato: vuole guarire, vuole la sua redenzione. Le maschere sono dure e nere di dolore, senza riso, “il diverso” è il pericolo da tenere legato, da allontanare. Il “valente” lo tiene a bada avvalendosi di regole che purtroppo ancora ad oggi si perpetrano nelle società, perché tutto resti “in ordine” rispettando quel potere di chi tiene sempre le funi a svantaggio di chi invece è tenuto strettamente legato e la fune la subisce, a volte a caro prezzo. Ed ecco che il Mamuthones viene ridotto all’obbedienza controllato dagli Issocadores, uomini “normali” e liberi. Ma è Carnevale anche a Mamoiada, il rito diventa festa, diventa gioco e così gli Issocadores prendono al laccio il loro pubblico e il sorriso abbonda. Una maschera misteriosa anch’essa proveniente probabilmente dal mondo Egeo è Sa Filonzana (la filatrice) rappresentante una delle Moire greche, probabilmente Cloto, quella della morte. Spesso rappresentata in tante sfilate specie ad Ottana, a riportare a memoria la morte che accompagna sempre la vita. Avanza piano, con una canocchia di fili di lana grezza, mentre un piatto di bronzo viene fatto risuonare insieme a un tamburo di sughero ricoperto da una membrana di pelle, legata a uno spago, che tirato, fa risuonare un lugubre lamento. Nel Carnevale di Ottana sono presenti Merdules e Boes. Il Merdule indossa bianche pelli di pecora e porta sul capo un fazzoletto femminile nero (su muccadore), sul viso una maschera antropomorfa (sa carazza) in legno di pero selvatico. In mano ha un bastone (su mazzuccu) e sa soca, frusta di cuoio. Non ha campanacci ma gambali in cuoio e scarpe da pastore. Probabilmente il nome di merdules deriva da “mere” (padrone, dal sardo antico) e “ule”(bue) equivale a padrone del bue. Su merdule nervoso e tirannico su boe un ribelle verso il padrone. Qui primeggia il culto del bove praticato sin dall’età neolitica nelle società agro pastorali, visto come simbolo di forza e fertilità.

A Orotelli riempiono la sfilata Sos Thurpos ( ciechi e storpi) con abito di velluto, gambali (sos gambales) di cuoio e un lungo pastrano (su gabbanu) di orbace nero, usato dal pastore d’inverno. A tracolla una bandoliera di campanacci. Neri di fuliggine e un capuccio che scende fino al naso, Sos Thurpos, a gruppi di tre, inscenano diversi mestieri: su thurpu pastore pungola i prepotenti, i thurpos boes legati alla fune, poi sfilano i thurpu massaiu (contadini) poi i seminatori che spargono crusca nelle strade, i maniscalchi che mimano la ferratura del boe e tutti, a causa della loro cecità, sbandano sul pubblico che sta al loro gioco. Tutti i personaggi fanno parte del rito propiziatorio per il raccolto, metafora quindi della vita contadina, del rapporto uomo- animale ma anche rappresentazione sociale della lotta contro i proprietari dei pascoli che si costringono poi ad offrire da bere ai pastori. L’abito del su thurpu rappresenterebbe quello del vedovo, reso cieco dal dolore per la non riproduzione e per la mancata fecondità della terra, pronto ora ad espiare la sua sterilità. A Gavoi Sos Tumbarinos (i tamburi) la fanno da padroni. È un carnevale allegro dove è presente la vittima da sacrificare (Zizzarrone) diminutivo di Tiu Zarrone, un fantoccio. I musicanti( Sos sonadores) sfilano  con abiti di velluto, gambali e su bonette (coppola). Suonano strumenti di origine arcaica come su triangulu un pezzo di ferro a triangolo le cui punte sono ripiegate all’esterno e su tumbarinu ricavato da pelle di capra o di cane realizzato a mano e vengono percossi con (sos mazzuccos) le bacchette. Inoltre compare anche un flauto arcaico in canna Su Pipiolu che viene suonato nei giorni di festa. Altro strumento arcaico su tumborro, una canna palustre di un metro e mezzo a cui e’ fissata una vescica di maiale che fa da cassa di risonanza alla corda di crine di cavallo poggiata alla vescica,la corda viene sfregata da un pezzo di legno I festeggiamenti iniziano il giovedi grasso. Da tutti i rioni scendono i suonatori e si radunano nella piazza  della parrocchia: i tamburi suonano all’unisono alternandosi al suono degli altri strumenti e prende inizio la processione che attraversa tutto il centro storico. La festa proseguirà per quasi tutta la notte insaporita da zippulas e vino rosso nuovo. A conclusione del Carnevale il martedi grasso si conclude con il rogo di Zizzarrone trasportato per il paese o sopra un asino o in spalle a qualcuno.

E così si susseguono le molteplici tradizioni carnevalesche nei nostri paesi come Su battileddu di Lula, Su Bundu di Orani, Sos butudos e S’Urthu a Fonni, Don Conte a Ovodda, Lodine, Sos Colonganos ad Austis, Mautzones e Urzu a Samugheo, S’Urtzu a Ula Tirso, Su Carruzu a s’antiga a Ghilarza, a Bosa con Giogia l’Aldagiolu e s’Attittidu e poi Santulussurgiu con Sa Carrela ‘e nanti e poi i più variegati e diversi Carnevalidi Cagliari, di Nuoro, di Ollolai, di Olzai, di Oniferi, di Sarule, di Tempio, ecc.ecc. Non basterebbe un articolo ma ci vorrebbe una piccola enciclopedia per abbracciare l’intero Carnevale della Sardegna per cui, nel tempo, svolgerò ancora altri temi carnevaleschi tra i più significativi.

Vorrei soffermarmi di più, invece, sul Carnevale di Oristano proprio perché risale al periodo in cui la città costituiva la capitale del Giudicato di Arborea e cio’ che si celebra l’ultima domenica e il martedi grasso, si rifà ad un torneo medioevale. Una corsa all’anello, una delle poche in Europa, una vera e propria giostra equestre. È SA SARTIGLIA ( deriva dallo spagnolo “sortija” che a sua volta viene dal latino “sorticula” anello, anche diminutivo di “sors” fortuna che dipenderà dai cavalieri che infilzeranno o no la stella). Ha inizio dalla Candelora, giorno delle benedizioni delle candele che come da tradizione è propiziatoria per tutto l’anno. In questo giorno i Gremi, o Corporazioni scelgono il proprio campione o su cumponidori o capocorsa, per il torneo. Il membro più anziano della corporazione lo saluta con le parole. “Che San Giovanni ti aiuti” tenendo in mano la candela più bella, decorata con cera e nastri colorati.

Una specie di investitura che in quel momento omette qualsiasi altro attributo o titolo, ma solo su componidori è il titolo che conta per l’intera comunità. Come Parsifal, forte puro e impavido, alla vigilia de torneo va a confessarsi e riceve la Santa Comunione. È il re della giostra con tutte le attenzioni a lui rivolte a partire dalla vestizione. Il suo abbigliamento è maschile e femminile insieme, includendo elementi dei diversi dominatori della Sardegna. Giovani donne is massaieddas, in abito tradizionale, capeggiate da massaia manna, o matrona (moglie del presidente del gremio) hanno il compito importante di prepararlo. E fra squilli di trombe e rulli di tamburi, inizia il rituale della vestizione. Su componidori sale su una pedana ricoperta da un prezioso tappeto, viene abbigliato con una camicia ricamata e ornata di pizzo, con le maniche sbuffanti legate da nastri del colore del gremio di appartenenza, sopra la camicia porta su cojettu o collettu, casacca di pelle senza maniche, una cintura di pelle. Sul viso una maschera androgina: ocra scura quella del gremio dei contadini, bianca quella del gremio dei falegnami. Sul capo tre fazzoletti cuciti insieme, intorno alle spalle una mantella (Sa Mantiglia) un velo da donna ricamato di stile spagnolo e in testa un cappello cilindrico di stile ottocentesco. Stivali con speroni, guanti bianchi e una camelia rossa spillata sul petto, completano la vestizione. La maschera misteriosa è pronta! È avvenuta la trasfigurazione da essere umano a divino…

Il presidente del gremio (s’Oberaju Majore) gli consegna un mazzo di pervinche e violette tenute da un bendaggio di tessuto verde (Sa pippia de maju la bambina di maggio), simbolo di invocazione alla terra per un buon raccolto, sarà lo scettro che porterà sino alla piazza della Cattedrale. A questo punto viene fatto avanzare un cavallo e senza scendere dalla pedana e senza toccare terra lui salta in sella, è divino e come tale non scenderà da cavallo fino alla fine della giostra, perché la sua sacralità si mantenga pura. L’uscita avviene in posizione supina, poi benedice la folla con sa Pippia in posizione eretta, accompagnato dalla musica delle trombe e dei tamburi. La folla lo accoglie con una pioggia di grano e fiori e il corteo cavalleresco ha inizio con i tamburini e i trombettieri. Appresso seguiranno i Majorales o autorità con lo stocco e la spada, infine, in fila per tre, i cavalieri con costumi coloratissimi. Su Componidori è accompagnato da Sottocomponidori, su primu e su secundu cumponi, i migliori cavalieri. Il corteo raggiungerà la piazza dove una stella a mezz’aria pende da un nastro di seta verde. Uno dei Majorales prende in custodia sa pippia de maju mentre su componidori riceve lo spadino col quale dovrà infilzare la stella. La partenza avverrà da Piazza Manno dove allo squillo di trombe il campione lancia il cavallo al galoppo e si concentra sulla stella per infilzarla con lo stocco. Se riesce, la folla esulta, è segno di buon auspicio per tutti. La corsa si fermerà alla chiesa di S.Antonio abate dove lo spadino viene scambiato con sa pippia de maju. Poi concede la scena anche agli altri cavalieri che si esibiranno in abilità equestri stando in piedi sulle selle dei cavalli al galoppo, fianco a fianco, formano una piramide umana sulle loro spalle, con acrobazie spericolate. La Sartiglia avrà termine quando su componidori sdraiato sul dorso e le redini in una mano sola, il cavallo al galoppo con sa pippia de maju traccerà un segno di croce nell’aria, dando la sua benedizione.

In Sardegna il tempo della Comunità è sempre stato scandito da balli, sfilate e banchetti. Gli stessi ritmi della festa portavano alla ricerca delle risorse per tutte le manifestazioni. E c’erano frittelle per tutti (zippulas nel Campidano, cattas in Logudoro e Barbagia, frisgioli nel Sassarese e Gallurese). È obbligo che queste tradizioni vengano tramandate, per proteggerne la memoria, aldilà dell’aspetto turistico. Ci sono specificità di tradizioni, ancorate all’identità, ma soprattutto allo spirito comunitario che non sarà mai profano e che nonostante spopolamenti, globalizzazione, industrializzazione, emigrazione è tenuto saldo, fa corpo, fa carne, fa anima e tutto questo ha innegabilmente qualcosa di sacro da proteggere sempre e mai disperdere.

Bibliografia:

Unione Sarda Sagre riti e feste popolari di Sardegna 1997 Cagliari

Franco Stefano Ruiu Maschere e Carnevale in Sardegna 2020 Nuoro

Immagini prese da Internet:

Wattpad; Sardegna Cultura; Sardegna Toujours; Ilturista.info; Informati Sardegna; iteNovas.com

Moondo; Sa Sartiglia; Italive.it

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CC BY-NC-ND 4.0 Su Carrasegare o Karrasegare by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.