Articolo pubblicato su IUA n° 6, anno X, Giugno 2023

Quelle che nel passato erano considerate attività indispensabili, onde garantire le necessità del quotidiano, oggi diventano settori di nicchia di una comunità come espressione d’arte. Arte chiaramente popolare frutto di identità ed etnia. Creazioni che se prima erano funzionali alla necessità, ora diventano risultati artistici culturali ad indotto economico. Manufatti sardi che competono non solo tra i paesi del Mediterraneo ma anche tra quelli extra europei. La storia sarda che è stata sofferta per le tante dominazioni, ha fatto nascere sin dall’antichità un’attività operosa creativa, frutto di ambiente e psicologia sarda. Ed ecco che dal movimento continuo di agili mani vengono esternati “pezzi originali” che pur provenendo dalla storia sarda di tempi lontani, si adattano alla modernità in maniera qualitativamente apprezzabile. Testimoni indefessi i maestri locali e paesani che aperti al commercio e ai vari mercati internazionali e del mondo, attraverso gli aiuti mediatici, danno valore commerciale ai loro prodotti e alle loro botteghe.

Da un saggio di Gio Ponti (architetto milanese 1891- 1979 appassionato d’arte e designer ceramista) nella rivista Domus: “Difendano gli artigiani sardi la loro arte dalle insidie del successo, dalla contaminazione di quei compratori che non badano alla qualità e alla genuinità. Salvino la genuinità nella loro arte che è un valore anche commerciale, eminente e storicamente sacro: e salveranno anche tutte le mani industriose, che sanno fare queste cose stupende, dall’asservirle ed avvilirle a produzioni di minore qualità…Recarsi nell’Isola per vedere le arti della Sardegna è una cosa; ma è anche un invito a rinnovare la visita e ad estenderla e a pregare che accanto a promettenti segni dell’ascesa economica ci rassicurino quelli della conservazione gelosa delle sue pure virtù. Virtù rare, delle quali la nostra epoca ha bisogno”.

Siamo ancora negli anni settanta e ad oggi una concorrenza più spietata, la globalizzazione che massifica i manufatti, a discapito di tutto ciò che è manuale, la mancanza di eredi d’arte han portato alla crisi delle “botteghe”. Nonostante ci siano settori di artigianato artistico sardo che offrono valore estetico di alta professionalità negli oggetti d’arte. Ciò nonostante son lavori che vanno ancora incontro a rischio estinzione, vuoi per burocrazia, vuoi per responsabilità di trasmissione dell’arte, vuoi per inadempienze di formazione, vuoi per insufficiente commercializzazione, vuoi per contraffazione di tutto ciò che d’arte, in questi termini, ha ben poco. Sono circa settemila le imprese sarde che manualmente e con grande attenzione estetica confezionano abiti, calzature, riparano orologi e strumenti musicali, intagliano il legno, scolpiscono pietre, restaurano beni culturali, modellano oro e argento ed altri metalli, realizzano fotografie e filmati, conciano pelli, creano profumi e cosmetici. Tutto ciò con un impegno di creatività legata alle nostre tradizioni e ai contenuti identitari. Tutto il prodotto è fuor di dubbio un valore in termini umani, sociali, culturali ed economici.

Ciò che più cattura il mio animo sardo è quel prodotto prettamente “tradizionale” della Sardegna che rende l’immagine vera della sua cultura. Oltre alla filigrana, il corallo vi sono i tessuti utilizzati per i tappeti, gli scialli, le coperte e poi la terracotta nelle sue svariate forme, la radica del legno, e ancora sughero, pelle, coltelli, pietre, intreccio e vetro.

Ma le pur tante attività purtroppo, spesso, risultano sommerse dalle produzioni industriali su larga scala. Pochi fondi e strutture giocano contro la validità della piccola produzione artistica gridante identità e sopravvivenza. La globalizzazione rende purtroppo tutto omologato a discapito della stessa memoria storica e della creatività pur diversa e in quanto tale “unica”. Con semplicità vorrei con queste righe contribuire a conservarne la memoria e difenderla sempre, nella speranza che si mantenga una continuità storico-artistica che è realmente patrimonio dell’Isola intera.

E mi fa tenerezza il pensiero che spettasse soprattutto alle nostre donne provvedere alla cestineria per la cucina e per i molteplici altri usi. Il mio pensiero si concentra su ciò che ha rappresentato l’arte dell’intreccio per la quale mani femminili hanno avuto ruoli incredibili nelle meravigliose creazioni artistiche. E immagino di inoltrarmi tra gli arbusti della nostra macchia mediterranea, a cercare gli steli più teneri, e nelle nostre zone palustri. Perché così inizia l’intreccio, prima ancora della nascita di un conseguente contenitore. Inizia dalla raccolta di quelle fibre vegetali non troppo lontane dalle proprie abitazioni. E da quelle fibre, incredibilmente, andavano a crescere e a prendere forma, da mani instancabili, tutto ciò che potesse servire in casa: panieri, canestri sporte, gabbie, trappole, stuoie e graticci per una vita semplice ed essenziale che non abbracciava solo la vita familiare ma anche quella marinara, agricola e pastorale. Un’ esistenza operosa centralizzata sulla donna che perfezionò quasi raffinandoli questi lavori che, nel momento della necessità e in modo più rustico venivano eseguiti anche dall’uomo. E mentre l’aspetto domestico del mobilio fosse alquanto contenuto, la cucina abbondava di utensili e contenitori per le derrate, esposti sulle pareti o sui ripiani. L’intreccio mai grossolano appariva armonico e ben si adattava al mobilio essenziale della casa.

Le donne ancor oggi, unite in cooperative trovano il modo di essere consapevoli della loro arte professionale dando ancor più estetica a tutto ciò che esce dalle loro mani. La palma nana, l’asfodelo, i giunchi, i culmi di grano, le canne, il cìpero e poi lentisco, mirto, salice, lillatro, olivastro, corbezzolo, falasco rafia e rovo, tutti vengono scelti con accuratezza per le più svariate realizzazioni. E prendono vita così i panieri in sardo crobes o crobeddas di forma troncoconica con struttura a spirale, leggeri e robusti decorati con stoffe pregiate e nastri colorati. Sono grandi e piccoli canisteddus mannus e pitticus. I panieri di canna invece son chiamati cadinus e cadineddas servono per la farina, per la preparazione degli gnocchi, per la frutta, per i pesci, quelli provvisti di manici per la raccolta delle erbe, per la semina, la vendemmia, per la raccolta delle olive, per i dolci, per il pane. Ancora pischeddas e cannadas cilindriche per il formaggio e la ricotta, le istoias le stuoie, cannitzus o cannittos sono i graticci da appendere nella cucina, sportinus o pòntinas per frantoio o per riporre legumi, olive, frutta secca, cerdas sono enormi cesti messi su carri agricoli a buoi per le messi, per le granaglie, cocomeri, meloni, legna e letame.

Anche le scope di crine scovas de prama vengono ricavate dalle foglie della palma di San Pietro, i ventolini buffadoris usati per dare aria ai fornelli a carbone, i fondi impagliati delle sedie cadiras o iscannus comode e basse, damigiane damizanas, e poi le nasse, le gabbie per i volatili, i giocattoli di canna. Tutto ciò che era nato in ambienti poveri pian piano si trasforma con lo sviluppo turistico in “bene” commerciale. E grazie alla presenza di fiumi e torrenti, di stagni, lagune e paludi, laghi artificiali, oltre alle conche impermeabili che d’estate prosciugandosi si ricoprono di vegetazione, si continuano a raccogliere le varie piante occorrenti all’intreccio. Gli steli una volta seccati vengono intrecciati a spirale partendo dal basso e aiutandosi con un punteruolo d’osso di bue su raju che serve a facilitare l’introduzione degli steli nelle “coste” per fissare i punti. Decorazioni multicolori alcune floreali, altre di natura animale, o elementi mitologici tipo draghi o animali alati, oppure greche in nero o rosso su fondo avorio completano l’effetto cromatico e decorativo. Data la forma voluta, sotto pesi di pietre e tronchi, risaltano ora gli oggetti con il loro colore base naturale: giallo, avorio, ocra, marroncino abbelliti di stoffa o broccato e fettucce policrome per i bordi.

Occorre l’intreccio anche per la tessitura della lana ruvida, ricavata dall’allevamento ovino in Sardegna. Le donne sarde hanno sempre avuto la pazienza di trasformare quella lana scadente e dura, perché venuta a contatto con cespugli spinosi e perché le greggi quasi costantemente sostano all’aperto, e di ricavarne così tappeti, arazzi, ornamenti per i collari dei buoi nei giorni di festa, bisacce, stoffe per gli abiti tradizionali, copri casse, coperte. Tessuti trasformati, anche con qualche difficoltà manuale, perché le lane sarde son diverse dalla lana merinos, ma si realizzano da esse tessuti pur sempre di qualità ed esclusivi. Usciti quindi da un telaio che vanta storia sarda conservandone, negli elaborati tessili, sfumature ed effetti suggestivi come la terra sarda. Il lavoro della donna ha inizio dopo la tosatura delle greggi, a primavera, quando la lana viene passata nell’acqua bollente per sgrassarla. In questo passaggio la lana diventa già più chiara e morbida poi ancora rilavata all’acqua dei torrenti e successivamente ancora in acqua bollente e per ultimo lasciata asciugare al sole. Dopo di che la donna si prepara alla filatura prima scarmigliandola e poi pettinandola con l’aiuto di robusti pettini di ferro. Con rocca e fuso, accompagnandosi alle amiche del vicinato, si sosta davanti alla porta di casa, trascorrendo così il tempo dello svago, mentre i fili si avvolgono attorno al fuso, quasi segnando la regolarità delle ore che passano, pronti ad essere trasformati in gomitoli.

Fino agli anni cinquanta queste lane venivano usate con i loro colori naturali che variavano dal grigio al carbone o rosso e celestino secondo il colore dei manti ovini. Erano sempre le donne che mischiavano i fili sottili sino alla sfumatura desiderata. Poi si aggiungevano succhi vegetali e terra colorante per dare al lavoro ancora più sfumature. Oggi nelle moderne filande meccaniche, si tinge con sostanze sintetiche industriali e per quanto si riesca a dare più colori, col tempo, il tessuto scolora perché solo la natura garantisce il tempo. Infusi di fiori, foglie, scorze e radici, bacche rosse e ocre, murici marini, noci, zafferani, ontani, melagrane, lentischi davano vita a tessuti cromatici naturali e belli. Le tessitrici nate in campagna, dalla campagna traevano ispirazione per i disegni da apportare ai tessuti. Segreti ed essenze mescolati insieme, con l’aggiunta di qualche minerale per completare quel gioiello tessile in realizzazione.

Non c’è momento più emotivo, per me, aldilà di tutto ciò che è diventato tecnologico e meccanico, rivedere nelle mostre, nei musei, all’interno delle case dei più svariati paesi sardi, ancora l’uso del vecchio telaio di quercia dove ancora poggiano e intrecciano mani di donna instancabili. Ordito e trama si chiudono mediante “navetta” cosicché “passo” e “battente” sopra fili pari e dispari, ricreano intrecci precisi e pazienti. Il telaio esiste veramente e ancora, in tante case sarde, ripercorre una storia arcaica, perché da lì nasce e ancora vive, simboleggiando ed esprimendo il lavoro domestico femminile. Arazzi e tappeti ancora prendono vita con segni diagonali, losanghe, greche completando simbologie della nostra storia.

Si aggiungono altre materie, non solo lana, ma lino per stoffe da ricamare. Nell’antichità, secondo Erodoto, gli Egiziani si servivano proprio del lino proveniente dalla Sardegna per le bende della mummificazione. Si lavorano fibre come cotone, canapa e bisso che sa di fondale marino e ne riporta i riflessi, tessuti di lusso per panciotti, cravatte, guanti, veli e sciarpe. Poi la lana delle capre utilizzata per le bisacce, utili nell’ambiente agro pastorale. Fin dall’antichità sempre lo stesso ritmo su quel legno naturale a ricalcare questo importante lavoro femminile. Ogni artefice con la sua impronta distintiva, fa ancora germogliare, insieme al gusto compositivo, il motivo tradizionale e la forza di un popolo. Filare… tessere… ricamare… Non solo verbi, ma motti d’animo che cadenzano il tempo più bello delle donne: il tempo creativo, il tempo delle parole e delle espressioni, il tempo del silenzio e dei pensieri, il tempo dei sogni e della bellezza, il tempo delle mani femminili. Ricchezza al femminile da queste dita che si muovono, che muovono fili sottili e intrecciano…Intrecciano sempre. Socialità, vita agreste, cultura e vita di popolo che si arricchisce e si abbellisce di trine, merletti, ricami. Già il ricamo! Che splendore! Opere dal gusto raffinato hanno arredato case, chiese, monasteri. Tutto fedelmente attestato nelle collezioni antiche a cui si aggiungono quelle moderne di chi, a fatica, ha raccolto le tradizioni, lo spirito e le tecniche di quest’arte preziosa. Ci sono particolari nell’abito tradizionale, minuzie dalle quali si evince la preziosità di un ricamo. Particolari ricavati dalla precisione, dall’attenzione, da una rifinitura elegante e specifica per quel tovagliato, quell’abito, quel paramento sacro, per la tovaglia dell’altare e della casa. Il lino, in tempi difficili, si coltivava anche in casa. Per il ricamo degli arredi monacali si era fatto anche uso di moduli toscani e umbri perché i monaci importavano qualche corredo d’altare dalla penisola italiana. Portarono essi stessi stoffe ricamate a mano, di grande pregio, a cui le donne sarde non erano abituate. Novità che si riproducevano fedelmente con l’aggiunta di varianti locali, cosicché arredi sacri, scialli, pizzi e filet ebbero più sviluppo e più eleganza soprattutto in epoca giudicale, quando ancora non furono giunti gli Aragonesi in Sardegna che nel XV sec. scacciarono i Benedettini giunti in Sardegna in contemporanea ai Pisani. Ma ormai l’arte di quel ricamo elaborato, fu appreso e si affermò, toccando il suo culmine nello stupendo filet bosano.

Ma a Teulada possiamo vantare il ricamo antico e autentico dell’Isola, con scarsissimi influssi esterni. La massima concentrazione delle donne Teuladine è sul costume antico di pregevole valore. Maniche ampie di camicie bianche ben ricamate e colletti inamidati contrastanti con il corsetto scuro del bell’abito tradizionale. Singoli pezzi e completi nuziali impreziositi dal buon gusto. Le donne Teuladine si sono erette a maestre di quest’arte con tanta dignità, consapevoli del valore professionale e artistico dei loro lavori. Tovaglie, copricarrelli, copricestelli, strisce ornamentali, fazzoletti, camicette, polsini, corsetti, tende a intrecci geometrici rigorosamente ricamate.

 Anche lo scialle ricamato di Oliena ha la sua peculiarità preziosa. Confezionato in lana, o seta, o lino è di colore scuro a fiori ad effetto, illuminati da fili d’oro e d’argento e dall’inserimento di pietre dure.

E se capitasse di camminare lungo le strade di Bosa antica, come è capitato a me più volte, vedreste ancora donne bosane, sedute sugli usci di casa, che chiacchierano lavorando il filet.     

Bosa è capoluogo della Planargia il suo filet è preziosissimo e si lavora con il punto a rete. Rete che ricorda quella dei pescatori, immagine che ben si inserisce nel contesto geografico bosano. Attraversata dal fiume Temo e vicina al mare ha tradizioni marinare. Anche a Bosa le donne hanno fatto scuola e favorito il commercio di questo bene. Il vanto di Bosa è quotidiano perché il filet viene lavorato sempre. Per questo ricamo occorre preparare la rete, su randadu, sulla quale si ricama. Inoltre occorrono un grosso ago e su ferrittu un grosso ferro di qualche millimetro che avrebbe la stessa funzione di quello usato per le reti da pesca, di stabilire la dimensione delle maglie. La rete verrà poi posta su un telaio quadrato e con calcoli di simmetria si formeranno i vuoti e i pieni del ricamo da cui prenderanno vita i simboli dell’artigianato sardo: pavoni, cervi, cavalli, cinghiali, carciofi, ghiande, felci, balli ecc. contornati da rami di rose e greche e ancora smerlettature e volute intorno.

Ieri e oggi, pizzi delicatissimi, ricami a motivi geometrici e innumerevoli punti durevoli, fermano il tempo della pazienza e della bellezza creativa delle donne sarde e così, si spera, anche e soprattutto la salvaguardia della stessa memoria storico artistica di questa antica Isola.

Bibliografia

Fernando Pilia Sardegna il lavoro artigiano Novara 1986

Immagini:

www.dimanoinmano.it

www.tiscali.it

www.leviedellasardegna.it

www.sardegnadigitallibrary.it

www.regionesardegna.it

www.vista.net

www.ricamoealtro.it

www.grimaldilines.i

www.ansa.it

www.sardegnaaltervista.it                      

www.algheronotizie.it

www.paradisola.it

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CC BY-NC-ND 4.0 I lavori artigiani in dissolvenza o in sopravvivenza by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.