L’Arte ci fa sentire più uniti, senza questo, non siamo esseri umani” Maria Lai

Articolo apparso su L’Italia, l’Uomo, l’Ambiente n° 9, Anno VIII, Ottobre 2021

 

Ulassai è un borgo unico e spettacolare al centro dell’Ogliastra, a 700 mt sul livello del mare. È abbastanza articolato nei suoi paesaggi, i più diversificati e incantevoli. Il borgo è incuneato tra massicci calcarei imponenti, chiamati “Tacchi” che si ergono a picco sul paese, particolarmente suggestivi. Insieme a bellissime grotte e cascate come quelle di “Lequarci” che da un’altezza di 100 m e larghezza di 70 m raccolgono le diverse acque provenienti, a seguito di abbondanti piogge, da alcune grotte, e precipitano poi più a valle, in località Santa Barbara. A valle vengono a formare una serie di laghetti, rendendo spettacoli naturali ed emozioni in questo interessante territorio. Inoltre, una ormai nota e produttiva Cooperativa tessile, e fatto non da poco, i natali dati a una grande artista Maria Lai, oltre quindi ai carsismi e ai Tacchi, porgono al visitatore un patrimonio artistico che aggiunge valenza e ulteriore fascino e bellezza al borgo. Vale la pena per il turista amante del territorio marino balneare, discostarsi un po’ dalla costa per ammirare un simile entroterra montano.

Boschi con alberi secolari, rocce e grotte costituiscono nel suo territorio un importante patrimonio naturalistico. Le bellissime grotte di “Is Lianas” e “Su Marmuri” ( il marmo ) con i suoi 850 m di lunghezza, con pareti altissime, laghi, stalattiti che si uniscono alle stalagmiti formando colonne consistenti, rappresentano un’attrazione turistica imperdibile.

Dal punto di vista geologico il territorio della foresta è rappresentato dal complesso calcareo-dolomitico del Giurassico. Il basamento è costituito da scisti dell’Era Paleozoica, sul quale si depositò, durante le invasioni marine del Mesozoico, una spessa coltre di sedimenti. Il tavolato così formatosi emerse dal mare durante l’orogenesi alpina, fu attaccato dagli agenti atmosferici e dai corsi d’acqua che lo smembrarono, lasciando affiorare sul basamento originario solo le grandi torri calcaree (tacchi) che rendono inconfondibile il suggestivo paesaggio. I “Tacchi” contraddistinguono tutto il paesaggio dell’Ogliastra. (www.Sardegna Foreste.it)

 

Sull’altopiano dei “Taccus” si snodano diversi sentieri tra querce, lecci secolari, corbezzoli cosicché il grande complesso del Tacco di Ulassai a nord e il Monte Tisiddu a sud, la cui cima più alta è Bruncu Matzeu, (957 m) diventano percorribili. Dalla cima raggiunta anche da me tante volte, senza grandi difficoltà, si può ammirare in giornate limpide, il massiccio del Gennargentu e Perda Liana. Tra le sue foreste si trova una ricca fauna protetta dall’Oasi faunistica di Girisai. L’isolamento determinato dalla conformazione del territorio ha permesso infatti, lo svilupparsi di diversi endemismi animali e vegetali, costituendo l’habitat ideale per molte specie, tra le quali il muflone, il cinghiale e il cervo sardo.

Questi territori per quanto aspri e selvaggi lasciano importanti testimonianze di un’antica antropizzazione, numerosi sono i nuraghi edificati su queste fortezze naturali, e numerosi anche i pinnettos che raccontano di un’attività pastorale ormai cessata ma che continuano a rappresentare un’eccezionale risorsa. Infatti in passato i pastori li costruivano con pietre e legno e costituivano riparo durante la loro solitaria permanenza in montagna per accudire gli animali al pascolo. 
Nel territorio dei Tacchi si ritrovano ancora, oltre ai nuraghi e villaggi nuragici, diverse testimonianze preistoriche come le Domus de Janas, dolmen, tombe dei giganti, anche il nome Ulassai è antico. Secondo lo studioso Spanu, sembrerebbe di derivazione fenicia da alaz che significa luogo caldo, secondo altri studiosi deriverebbe dal latino gula-assa che significa gola tra le rocce. Da un documento del 1217 si sa per certo che il paese veniva chiamato Ulazzai e nel secolo successivo Ulusai sino al termine, a tutt’oggi in uso nel paese, di Ulassai. Il borgo sin dall’antichità è sorto attorno alle acque ritenute sacre. A tutt’oggi all’interno del paese ci sono diverse fonti. La più importante “sa funtana e s’era” fontana dell’edera chiamata anche “funtana e susu” sorge in una parete del lavatoio comunale. Ricordiamo ancora “Fontana della Sorgente”,fontana perenne … non si è mai seccata e viene impiegata per l’irrigazione degli orti. “Funtana e Coccori” usata anni addietro come abbeveratoio per gli animali. “Funtana e serì” usata in tempi più antichi per la panificazione.”Funtana Aledda” e “Funtana e Marcu”.

Nel periodo medioevale Ulassai faceva parte del Giudicato di Calari. A seguito della tripartizione del giudicato, il paese fu annesso al giudicato di Gallura(1258), dopo 30 anni (1288) passò alla repubblica di Pisa poi di seguito nel 1325 venne dato in feudo al Conte Berengario Carroz di Quirra. Da qui in poi si susseguirono alterne vicende tra Arborensi e Regno di Sardegna e Ulassai per un certo periodo passò al Giudicato di Arborea poi nel 1383 il re di Sardegna confermò il feudo a Violante Carroz nel 1502 e dopo circa 80 anni, per accordi tra sindaci ogliastrini e i Conti di Quirra vennero restituiti i salti di Quirra agli Ulassesi. Ma gli scontri perdurarono sino alla fine dell’ottocento provocando diverse vittime. Il paese passò in mano ai Centelles e dai Centelles marchesi di Quirra poi il feudo passò all’erede Francesco Pasquale Borgia, nel 1726 ai Català e poi agli Osorio fino al 1839 quando fu riscattato come dipartimento d’Ogliastra insieme ad altri 20 paesi ogliastrini, e poté arrivare ad una amministrazione comunale con rispettivo sindaco. Dista dal mare 20 km confinando con la Barbagia di Seulo e in piccola parte con la provincia di Cagliari. A sud del Tacco, dopo la cascata, a sette km dal paese, si trova il complesso bizantino con la piccola chiesetta campestre di Santa Barbara, in stile tipico sardo, costruita con pietre locali e granito, di forma rettangolare a tre navate, coperte da capriate lignee. All’interno conserva una bella statua della Santa. La facciata principale oltre al modesto portone in legno, ha un piccolo campanile in pietra con croce latina. Il tetto a doppio spiovente, a capanna, è stato costruito con tegole sarde. Tutt’intorno la circondano portici a tutto sesto, anch’essi come la chiesa, con tetto in tegole, sono di epoca tardo romana chiamati “Is cumbessias” che servivano per gli alloggi dei pastori e per l’ospitalità offerta alle persone del paese e ad altri pellegrini durante i festeggiamenti della Santa che si onora la terza domenica di maggio. I festeggiamenti proseguono per una settimana, con processione accompagnata da launeddas, gruppi folk, degustazioni e gare poetiche. La sera del sabato si procede con la degustazione dei prodotti tipici e della carne arrosto. La domenica, dopo la Santa Messa, si continua con il pranzo al sacco nelle cumbessias, balli in piazza e giochi per bambini. La festa si conclude con i fuochi d’artificio che rimbombano contro le vertiginose pareti calcaree dei Tacchi.

 

Nella parte a sud si trova l’antico recinto murario dove venivano munte le pecore e le capre della santa. Ancora ad oggi la zona si chiama “sa Corte e sa Santa”. L’isolamento, prima dell’avvento della ferrovia (1893) ha permesso che si mantenessero antiche tradizioni come l’uso del telaio orizzontale. Tante donne lo custodiscono ancora, in casa, gelosamente. Lavorano ancora i tessuti con una tecnica detta a “pibionis.” Le donne Ulassesi, valorizzando la loro arte, hanno saputo riunirsi in una cooperativa tessile promuovendo la vendita dei loro prodotti. E anche gli uomini artigiani con il loro impegno hanno prodotto bisacce, taglieri, candele. All’arte artigiana fanno da contorno i balli, i costumi, la produzione del formaggio, del prosciutto, del vino cannonau che in parte viene condiviso con la Cantina Sociale di Ierzu, dell’olio, prodotti derivanti da vigneti e uliveti che abbelliscono a oriente la valle del rio Pardu. 

Inoltre la tradizione della panificazione con pane cotto nel forno a legna costruito in tutte le case, continua con i ritmi regolari del quotidiano. Il pane! Già, in esso è trattenuto il segreto di quelle mani sapienti che sanno dargli forma e sostanza. Stupendo e prelibato, il pane bianco per i matrimoni, chiamato in lingua sarda “su pane e coia”. A seguire il pane settimanale che consumano tutti i pastori, comodo per i loro trasferimenti nelle campagne e sempre appetibile per la gente comune. E ancora cambia il nome a seconda della sua forma, del tipo di cottura e degli ingredienti usati “pane incasau”, “pane frittu”, “pane ‘e inu”, “pane cottu” usato come dolce, e ancora quelli comuni come “su civargiu”, o “modissosu”, “su pistocu” a sfoglie. E se in ogni casa c’è il forno a legna, ci sono anche i dolci tipici, cotti nello stesso forno. Vengono sfornate pabassine, pardule, amaretti, gattò. Si produce il miele di corbezzolo dalle proprietà terapeutiche, e preparati piatti culinari rinomati come i “culurgiones” chiusi “a ispighitta” a base di patate e menta e i “coccoi prena” canestrini di pasta allo strutto ripieni di patate e formaggio. I pastori continuano ancora a produrre pecorino e caprino e ancora “su cagliu”, su “casu agedu” e su “fiscidu”.
Per il primo di novembre sussiste una tradizione simile a quella di halloween d’oltreoceano. I bambini vanno di casa in casa con il classico sacco di stoffa nelle spalle chiedendo dolci e doni la cosiddetta questua per is animeddas. Ai bambini viene donato il pane e i dolci preparati in casa come le pabassinas a cui si aggiungono melagrane, castagne, frutta secca, e dolci commerciali. Tempo fa si preparava anche le “Concar de mortu” (le teste dei morti), si trattava di zucche intagliate a teschio, illuminate da una candela.

Il 20 di gennaio Ulassai festeggia il carnevale che ha inizio per San Sebastiano e termina il martedì grasso. Viene chiamato “su Maimulu” che è la maschera più importante. Costituita da una grossa pelle e diversi campanacci sulla schiena, seguita da altre maschere con nomi caratteristici e peculiari. Nel giorno del martedì grasso si esegue la condanna del fantoccio e successivo rogo.
Nel periodo estivo si rinnova ogni anno il festival teatrale dei Tacchi.
Ulassai insieme ad altri centri dell’Ogliastra montana fa parte della cosiddetta Zona blu internazionale per la longevità dei suoi abitanti.
Il Comune di Ulassai, ha dedicato alla sua indimenticabile artista Maria Lai, che seppe esprimere in maniera unica e originale la sua Sardegna più autentica, la Stazione dell’Arte, posta a valle del paese. Oggi questo museo, al chiuso e all’aperto, ricavato dai locali di una ex stazione ferroviaria, gestito dalla Fondazione Stazione dell’Arte onlus, contiene diverse opere dell’artista e tra musica e teatro si apre a tantissime altre discipline, svolgendo un lavoro di educazione artistica. In questo rispecchia autenticamente il desiderio dell’artista, quello di avvicinare l’arte alla gente. Anche il luogo da lei scelto come simbolo di partenze e di arrivi, di relazioni, incontri casuali, e rapporti umani che si ritrovano e si separano, fa parte della sua eredità morale e materiale che lascia al mondo.

Nella vicenda umana e nel percorso artistico di Maria Lai (Ulassai, 1919 ‒ Cardedu, 2013) s’intrecciano da un lato la dialettica territoriale tra isola e continente, dall’altro la correlazione psicologica tra gioco e arte. “Giocavo con grande serietà, a un certo punto i miei giochi li hanno chiamati arte“. Scoprire in lei una purezza espressiva accompagnata dallo sguardo di chi sa manifestare stupore: infatti la natura, la materia, il linguaggio, la poesia saranno le sue compagne di viaggio.
Negli anni Sessanta coi Telai, le Tele cucite, i Pani, le Scritture, all’azione collettiva realizzata con i cittadini di Ulassai nel 1981 (“Legarsi alla montagna”), anticiperà di un decennio l’arte relazionale, una delle principali correnti artistiche della fine del Novecento. Dopo gli studi a Cagliari, dove si fa stimare da Salvatore Cambosu, tra il 1939 e il ’43 è a Roma, allieva di Marino Mazzacurati, poi a Venezia, dove frequenta lo scultore Arturo Martini. Dal 1945 al ’54 torna in Sardegna ed è poi di nuovo a Roma fino al 1993, quando si ritira definitivamente sull’isola, a Cardedu. Nell’assidua frequentazione dello scrittore cagliaritano Giuseppe Dessì, riscopre il valore della sua origine sarda, realizzando una mediazione tra isola e continente, tra cultura locale e nazionale. Testimonianza di questo periodo è la prima sezione della retrospettiva: Essere è tessere. Cucire e ricucire. Inizia a sperimentare nuovi materiali: telai, corda, spago, paglia, pane, entrando in dialogo con il mondo dell’arte contemporanea, sempre attraverso gli indimenticabili insegnamenti di Martini: “Lavorerò per volumi vuoti, anziché pieni, i quali sono liberi dall’immagine“.

Lavorava senza pentimenti, con sicurezza, raccontando attraverso “i segni” la sua sardità. Pastori caprette telai geografie ombre segni rivelavano ciò che agli occhi non si vede. Ma il tutto portava alla verità dell’arte preoccupandosi che l’opera fosse veramente compiuta. Ago, filo, matita i suoi strumenti essenziali. Il cucito è una delle tecniche preferite da Maria, impiegato per ristrutturare il lavatoio del paese che le donne usavano come luogo di socializzazione. Il sindaco Mariani dirà: “Maria installò un telaio sul soffitto del lavatoio cucito insieme alle donne di Ulassai perché amava l’arte pubblica, il suo scopo era plasmare il paese in cui era nata e vissuta”. La sua opera – capolavoro, che ha ancora valenza contemporanea, è “Legarsi alla montagna”. Scoprirla conoscendo maggiormente come è nata l’opera è come entrare in un sogno, una magia e nella sua originalità artistica personalizza un intera isola, usando appunto, l’arte contemporanea. Tanti i video proiettati alla stazione dell’arte che hanno saputo cogliere le espressioni più significative della sua arte e coglierla nei suoi sentimenti più nascosti coperti dal suo naturale riserbo. Grazie a queste video interviste, si è potuto conoscerla e capirla. Ci ha dato la possibilità di assorbire comprendere e apprezzare la sua arte in toto. Il recepire l’opera faceva parte dei suoi obiettivi di inclusione su vasta scala. L’osservatore davanti alle sue opere si ritrova a riflettere, ma in modo leggero, leggiadro come fosse un gioco. Un gioco umano, commovente come la sua opera “legarsi alla montagna”. Opera di inclusione per l’appunto. Inclusione di persone, inclusione di limiti superati, inclusione di sentimenti, inclusione di leggende, inclusione di religiosità, inclusione di montagna di appartenenza, inclusione di collaborazione, inclusione di amicizia e di incontri, inclusione di comunità. La sua Sardegna raccoglie tutta la sua ancestralità, dove leggende e magie sono storie tramandate e possono essere messe in opera e soprattutto in vita. La sua emozionante opera “Invito a tavola”: un lungo tavolo imbandito con pane e libri aperti con tutti gli elementi costitutivi in terracotta è il significato della sua Arte. Qualsiasi Arte espressa è cibo, è nutrimento per il corpo e per la mente. “Su cumbidu” è servito… Ed è per tutti!
È nel 1981 che avvenne quell’evento straordinario del “legarsi alla montagna”. Tutto nasce da un semplice invito del sindaco di allora, alla realizzazione di un monumento funebre, in onore ai caduti della Grande Guerra. Il sindaco pensava che un tal monumento avrebbe reso Ulassai più vicino alla storia. Maria in quel periodo risiedeva a Roma dove lavorava. I soldi per il Monumento erano stati già stanziati, e non tutto il paese, anche in base al colore politico della stessa parte o meno del suo sindaco, approvava il progetto. Anche Maria ebbe delle perplessità, non ritenendo un monumento ai caduti un opera d’arte e né tanto meno un entrare della sua comunità, nella storia. Se l’interesse vero, era far entrare realmente il paese nella storia, che la richiamassero per un altro tipo di progetto. Intanto le persone del paese si riunivano e parlavano fino a prendere la decisione di richiamare l’artista. Maria scese in paese e cominciò a parlare con la gente. Raccolse storie, leggende, memorie tramandate e ne fece tesoro come ricchezza identitaria. E da una leggenda raccontata da generazioni, vi scoprì una metafora sul mondo artistico contemporaneo.
Una bambina viene mandata su in montagna, a portare del pane ai pastori. Lì giunta sente il brontolio del tuono, un temporale è in arrivo. Si rifugia in una grande grotta e qui trova greggi e pastori che aspettavano la fine del temporale. Improvvisamente fuori dalla grotta si vide svolazzare un nastro celeste spinto dal vento. La bambina piena di stupore, incurante della pioggia gli corse dietro. Subito dopo, in un attimo la grotta franò inghiottendo greggi e pastori. “Questa leggenda mi suggeriva un’analogia tra Ulassai minacciata dalle frane e il mondo minacciato dalle guerre”. “Il nastro celeste è la metafora dell’Arte e indica direzione di salvezza a chi è capace di stupore”. “Decisi che sarebbe stato l’intero paese a intervenire e proposi di legarci tutti, casa per casa, con un nastro celeste, come per sconfiggere la paura, e di portare il nastro sulla montagna, in segno di pace.” Chi disse che non fosse arte e non la prese sul serio, altri lo ritennero un gioco divertente. Ma come legarsi al proprio vicino con il quale non sussistevano buoni rapporti? La Festa di S. Maria fu l’occasione per portare il nastro in processione e poter superare tanti rancori. Fu la stessa gente del paese a deciderne il linguaggio: il nastro sarebbe passato dritto dove persistessero i rancori, annodato in segno di amicizia, e i pani appesi in segno di affetto. E fu così che un commerciante offerse 13 pezze di tela di jeans, e, in un grande spiazzo del paese, con un sistema di strappi, si ottennero 26 km di stoffa di 15 cm che vennero trasformati in matasse e distribuite a tutto il paese. E così tutti gli Ulassesi cominciarono a legarsi tra di loro e alle case, decorando il nastro di fiocchi e pani e passandolo da vicino in vicino in un linguaggio solidale. Tre scalatori arrivati da Cagliari portarono il nastro nel punto più alto della montagna con accompagnamento sonoro e riprese documentate sul campo. La folla applaudì nel momento in cui il nastro arrivò in cima e ci furono balli per tutta la notte.
Solo a distanza di tanti anni, la critica d’Arte rivalutò la performance come valore sociale sempre attuale. L’artista era riuscita a porre la Comunità al centro dell’evento artistico. Fu poi Tonino Casula a filmare il documentario reale che attesta questa bellissima esperienza umana, artistica e sociale in cui la comunità si fa protagonista della sua stessa storia. Grazie a Maria Lai, questa comunità ha saputo slegarsi e guardare oltre, verso uno spazio più ampio al di fuori dalle inimicizie, dal rancore, dal pregiudizio, dalla diffidenza per un legame di maggior solidarietà che è già poesia. L’Arte, per Maria, sono anche questi ampi spazi senza confini, senza musei, dove a prevalere sono le più svariate espressioni individuali e collettive. Quel “fil rouge” che per i tanti, significa unione, continuità di azione e di pensiero, per Maria Lai è quel nastro azzurro che evidenzia il rispetto reciproco nel superamento delle superstizioni, dell’isolamento e dei rancori. Quello stesso filo che unisce, ci porta alla montagna e alle radici. L’unirsi insieme, il panificare insieme, il creare insieme in cui tutti sono artefici e protagonisti creativi della propria storia individuale e comunitaria. È questo il fondamentale messaggio che lei ci passa.
Un artista senz’altro originale e molto prolifica di tantissime opere. Mi limiterò a citarvene solo qualcuna cercando di trasmettere quei valori umani che per lei erano essenziali: condivisione, relazione, creatività, dignità, coraggio… Con i suoi libri di stoffa “I libri cuciti” con fili e nodi, immagini stilizzate che danno anima alla memoria della tradizione orale. Favole metaforiche come “Tenendo per mano il sole “che stimolano riflessioni tra desiderio di cielo e avidità di terra dove il cammino umano è lento, attraversa il buio e il dolore per arrivare alla luce e alla vita. L’artista evidenzia che nella complessità degli aspetti umani, anche nei più caratteriali, vi son spesso delle potenzialità che possono emergere. Nella positiva accettazione degli opposti, con umana comprensione e accettazione della propria natura, si può trarre altra forza, ulteriore energia interiore. In “Tenendo per mano l’ombra” l’uomo percorre la sua strada stringendo la sua ombra che cresce, cresce fino ad occupare l’intero spazio del suo viaggiare. È superando la paura dell’ombra che l’uomo ritrova la sua creatività, l’arte e l’identità. Solo affrontando senza sottrarsene la paura e il dolore si approfondiscono i pensieri, i sentimenti, il carattere e la personalità apprezzando con slancio le tante possibilità del vivere, e viaggiare verso la bellezza. In “Curiosape” il protagonista è fuori da ogni ruolo sociale, l’individuo slegato da un contesto sociale perde il suo valore. L’indipendenza non significa perseguire i propri egoismi ma dare spazio al proprio valore artistico come Bene a servizio di tutta quanta la collettività e che va a beneficio di tutti. Nel “Dio distratto” si ha un miscuglio di identità sociali profonde nel fluire genuino della quotidianità. Un cielo stellato…cucito su velluto nero. Un mondo proiettato verso l’infinito, sono l’habitat di un dio distratto. Un telaio legato profondamente al mondo femminile a quel mondo fiabesco delle “Janas” che porta a una consapevole coscienza e alla libertà. Le donne sarde hanno imparato il linguaggio del telaio: un ritmo che è arte, è creazione, è memoria, è osservazione, è sogno, è magia, è purificazione, è poesia.
“Il pastorello” si rifà al racconto di S. Cambosu “La capretta”. La capra è la lingua ricorrente nella sua tematica espressiva. È la sua ombra, l’altra Maria che brama libertà, rocce, spazi, acque, paesaggi. Anche il pastorello dialoga con l’infinito e afferra e comprende la vita. La capretta lo conduce e mediante lei, si dedica alla contemplazione. Sopraggiungono dubbi e con i dubbi la tristezza e la perdita di riferimenti precisi. Comprende pian piano che la ricchezza interiore è la molla che permette di far andare avanti la vita. La poesia lo aiuterà a cantarla. “Maria Pietra” rappresenta l’artista. Magia e superstizione nella storia ancestrale sarda. Si sofferma sull’importanza delle parole e del loro significato.
La vera Arte attraversa il dolore, la sua trasformazione in pietra è la sostanza della stessa materia usata. Una metafora di donazione totale: la catarsi artistica. Sculture di pane, le parole segrete attraverso i fili… Dalle sue mani alle sue creazioni, i sentimenti, le relazioni, i dialoghi. Dalla materia al concetto. Chi osserva legge, e dà significato all’opera d’arte. Questo era il suo pensiero e userà tanta energia perché l’esperienza didattica possa essere uno strumento di contatto con l’opera artistica, e saper affinare così, quel “passaggio da uno sguardo distratto a uno sguardo consapevole”. Anche i giochi se consapevoli servono a diventare adulti: il gioco delle carte diventa così una condivisione di esperienza, di dialogo, e riflessione. Anche attraverso le carte leggiamo l’opera d’arte e la lettura attenta ci porta alla giusta interpretazione.
Il 16 aprile 2004 la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Cagliari conferisce a Maria Lai la laurea Honoris Causa. L’artista presentò una breve tesi dal titolo Sguardo, opera, pensiero e aggiunse un intervento di cui riporto uno stralcio: “La laurea che mi conferite oggi mi sembra inverosimile, ma trovo altrettanto inverosimile questo meraviglioso ritratto che fate di me. Io spero di avere il tempo di ricominciare tutto da capo e creare veramente la bella persona di cui parlate”…“Faccio una proposta: che in ogni scuola, dall’asilo all’università, si prepari una stanza piccola come un tabernacolo, che accolga una singola opera d’arte alla volta, per almeno quindici giorni e che qualcuno aiuti i bambini, i giovani e anche gli adulti a leggere l’opera in questione”… “io spero che questa mia proposta entri, anche segretamente, nella vostra coscienza, perché i ragazzi, gli uomini sardi del domani, hanno bisogno di costruire”… “Se riuscirò in questo intento, sarà il mio capolavoro”.

Io non so confermare se questa sua proposta sia mai andata avanti. So per certo, però, che in questa mia piccola stanza, durante il tempo della scrittura, lei era al centro, e mi ha permesso per tutto il tempo di osservarla, di percepirla, assorbirla… amarla.
Risuona l’eco delle sue parole: “L’Arte nasce dalla tragedia e dall’insicurezza del mondo, ma non chiude, anzi apre e dilata la coscienza di ogni possibile lettore” M.Lai.
E insieme a voi lettori, come lei avrebbe desiderato, abbracciamo INSIEME Maria Lai: una bellissima Opera d’Arte Sarda!
Con Sardità Universale

Riferimenti
Video di F. Casu You Tube sulle opere di Maria Lai
T. Casula, Legare e collegare, 1981
Viviana Porru, Maria Lai, un filo d’arte per tutti, Logus mondi 2014
WWW.Wikipedia. Ulassai
Mostra su Maria Lai MAXXXI Roma
Sardegna Digital Library video un’ora con Maria Lai

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