Racconto pubblicato su “Il Salotto” anno IV, n° 3, Maggio 2024

Caro stupendo gattino,
lo so che sorridevi quando ti ho chiamato e mi sei venuto incontro. Eri seduto al bordo della strada e guardavi lontano.
Abbiamo fermato la macchina in uno slargo. Sono scesa con dei croccantini in mano. Hai attraversato la strada e senza incertezze ti sei avvicinato come se aspettassi proprio me. Hai fiutato senza mangiare. Come potevi. Il tuo corpicino era uno scheletro, pelo spento attaccato alle ossa, una linea dalla testa alla coda. Ma sorridevi e mi guardavi felice.
Settimane, mesi di digiuno. Abbandono, nessuna carezza, l’assenza intorno a te ma il sorriso in te, la delicatezza, l’aerea leggerezza, la meravigliosa incoscienza dell’accettazione.
Ti ho avvolto in un panno e siamo risalite in macchina per raggiungere la casa a pochi chilometri, per darti un calore che da tanto tempo non avevi più. È stato facile tenerti in braccio, eri arreso, mi accettavi, avevi bisogno di uno sguardo d’amore.
Avevi perduto ogni reticenza, ogni timore, il bisogno di qualcuno che ti cullasse aveva spento la tua indipendenza, la tua libertà. Restava solo uno sguardo dolcissimo che, lo so, sorrideva. Siamo salite in casa e ti abbiamo portato al piano di sopra dove i cani non ti avrebbero raggiunto, neppure per curiosità, visto che non amano salire sulla scala a chiocciola. Ti abbiamo portato del latte, unico alimento che avevamo, ma tu l’hai ignorato. Il tuo corpicino stava chiudendo la porta alla vita, da troppo tempo i tuoi organi dormivano.
Siamo scese e ti abbiamo lasciato tranquillo perché potessi ambientarti lontano dalla vitalità dei nostri tre cani. Ma non volevi stare solo, ti abbiamo visto affacciato alla scala che ci guardavi e, in silenzio, ci chiamavi.
Abbiamo deciso di portarti dal veterinario e dopo averlo cercato su internet, siamo ripartite. Eri già dentro il mio cuore che si era spezzato ma resisteva perché resistevi.
La speranza è l’ultima a morire, la mia ti osservava per riportare in te la vita che poi ti ha lasciato andare nel dolore immenso che ancora mi dilania quando penso a te. Il dolore della tua morte solitaria mi ha ferito in modo insopportabile e smetto ogni volta di ricordarti per non alimentarlo, così cupo e senza scampo. Perché non eri un semplice gatto ma una radice dell’anima.

Fonte dell’immagine: Alberto Pestelli © 2024

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CC BY-NC-ND 4.0 La radice dell’anima by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.