Articolo pubblicato su IUA n° 5, Anno III, Maggio 2016

Articolo apparso sulla Circolare N° 5  “Circolo Letterario Banchina” N° 5 di Genova (Aprile 2016)

Manet Edouard-Lecture - Pubblico dominio
Manet Edouard-Lecture – Pubblico dominio

Mi capita spesso di sentir dire “ho letto questo libro” e capisco, dal commento, che esiste un equivoco sul concetto di lettura, o quanto meno una disparità di vedute.

Il concetto di lettura, secondo il dizionario, corrisponde ad un processo di interpretazione, ma secondo me, alcune persone, più che leggere, scorrono un testo, un’opera, semplicemente per guardare, ma non per “vedere”. L’idea errata di pensare che basti “guardare” di che cosa parla l’opera non corrisponde al concetto di “sapere e capire”.

Prendiamo un esempio che, a suo tempo, ha caratterizzato la lettura di un’opera di Lucio Fontana: il “taglio della tela”.

Per moltissime persone era solo un gesto violento e banale per attirare l’attenzione, solo i veri “fruitori” dell’opera hanno saputo scorgervi quell’atavico spirito di eterna curiosità che ha spinto l’uomo, attraverso i millenni, a chiedersi cosa ci sia “al di là”. Non importa se questo “al di là” sia la superficie di un quadro, un orizzonte, una montagna, o l’infinito che sembra ammiccare nella profondità di una notte stellata: c’è un confine da superare per capire uno dei tanto continui “perché” dell’esistenza.

Per anni, conoscendo per sommi capi la storia, ho rinviato la lettura del “Don Chisciotte”; ero giovane e mi sembrava di aver cose più urgenti da fare… poi sono riuscito a “leggerlo”, cioè a viverlo tuffandomi completamente nel mondo creato da Cervantes, vivendone completamente lo spirito sino a condividere la solitudine interiore del triste cavaliere e del suo scudiero.

Leggere per me è un viaggio, una specie di stato di trance che mi proietta fuori da me stesso, all’interno dell’opera; con l’ansia di andare oltre, riga per riga, pagine per pagina, senza trovare la capacità di fermarmi, come travolto dalla corrente di un fiume, sino a raggiungere la quiete di una foce, ossia l’ultimo rigo.

Quante storie ho vissute su pagine odorose ora di stampa, ora dell’odore acre degli scaffali ai quali le avevo sottratte, quante emozioni hanno accompagnato, e accompagnano tuttora il mio cammino, su questo strano percorso, effimero, eppure così fondamentale, che è costituito dalla consapevolezza dell’esistere.

Un buon libro non è mai la semplice narrazione di una storia, anche quando viene narrato qualche fatto reale, tale fatto, acquisisce un senso solo se si fa portatore di una particolare serie di stati d’animo, pensieri, situazioni, capaci di assumere un valore che vada, oltre la narrazione, a incidere, a lasciare qualcosa, nell’animo del lettore.

Leggere non è solo riferito al libro ma si estende a tutte le forme di linguaggio elaborate dall’uomo per comunicare, dalla pittura, alla musica, alla scultura, all’insieme cioè di tutte quelle forme attraverso le quali l’umanità trasmette la percezione di un’emozione, un pensiero.

Essere lettore credo che riveli una sete inesauribile di “conoscere”, perché il farlo è condividere, coesistere “insieme” a quella moltitudine di anime che hanno fatta grande l’umanità.

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