Già in qualche precedente articolo citai Bonifacio VIII per quel che riguarda il periodo storico in cui questo Papa conferì al re Giacomo II d’ Aragona la “licentia invadendi” su Sardegna e Corsica. Era l’anno 1297 e occorreva decidere anche sulle sorti del Regno di Sicilia comprendente l’isola e l’Italia Meridionale. A Napoli si era già installato Carlo II d’Angiò, mentre in Sicilia governava il catalano Federico III, fratello di Giacomo II d’ Aragona. I Siciliani si opposero agli Angioini preferendo gli Aragonesi, i famosi Vespri siciliani del 1282 portarono a questo risultato contro il volere di papa Bonifacio VIII che avrebbe voluto gli Angioini in Sicilia. Per cui si concordò che l’isola sarebbe rimasta a Federico III sino alla morte del medesimo, momento in cui si sarebbe ricongiunta agli Angioini. A queste condizioni il papa concesse a Giacomo II d’Aragona la conquista della Sardegna, urtando non poco gli interessi di Pisa, ghibellina, nemica del papa. I Sardi non furono mai interpellati e gli Aragonesi non cedettero mai la Sicilia agli Angioini. Nel 1442 gli Aragonesi conquistarono anche Napoli e ripristinarono così l’intero Regno sotto il loro potere. Quando nel giugno 1323 l’Infante Alfonso sbarcò a Palma di Sulcis per conquistare quella Sardegna di cui era stato investito, dal papa, suo padre Giacomo II, fu perché, in quel frangente storico, la monarchia aragonese si espandeva verso il vicino Oriente, di conseguenza, la Sardegna costituiva una tappa determinante. All’interno dell’Isola clero, re, nobili e municipalità si dividevano il potere, in una lotta che a lungo andare vedrà solo il re vincitore, in termini di monarchia assoluta. La Sardegna, prima dal regno di Aragona, poi unitosi questo al regno di Castiglia, venne governata per oltre tre secoli anche dalla nuova corona di Spagna.

Alfonso il Benigno, nel suo riordino politico-amministrativo e militare della Sardegna, dette anche lui prova di assolutismo. La Sardegna, sull’antica compagine giudicale, stava vivendo una fase di trasformazione comunale su matrice pisano-genovese seppur ancora debole, per ordinamenti e leggi disomogenee e non definite. Per cui fu facile al re perseguire il suo consolidamento politico e prendere iniziative di più rapido arricchimento. Il suo Regno si fondò su feudi, municipi e amministrazione regia estendendo “longa manus” in tutto il territorio sardo, fatta eccezione per le zone di Arborea, di Pisa e dei Doria. Gli stati sardi retti dai Giudici, considerati come re dalla popolazione sarda e regnanti nei rispettivi Giudicati, si videro limitare il loro potere, dato che all’amministrazione regia fu largamente consentito di sovrapporsi e controllare questi settori e tutti i territori. I “Fideles” di nomina regia presiedevano unità operative complesse, “officia in capite” autonome e indipendenti da Barcellona. I singoli ufficiali erano legati tra loro da una struttura piramidale forte senza vuoti o spazi di manovra. Queste unità erano del tutto di stampo e ideazione iberica, fatte con criteri di convenienza che andavano a gratificare finanziatori e fiancheggiatori provenienti da tutti i Regni della Corona. Alfonso ebbe subito l’obiettivo di impossessarsi di Cagliari controllata da Pisa. Nel 1324 Alfonso pose nell’Isola una nuova carica, quella del “Governatore Generale”, inedita per la Corona: assommava funzioni politiche giudiziarie e militari che prima erano di competenza del “procuratore”. Ma questo nuovo indirizzo fu esteso anche alla Corona, sostituendo il procurador iberico con il gobernador sardo coadiuvato da un assessore “savi en dret”.

Al di sotto del Governatore Generale stavano il Capitano di Iglesias e il Podestà di Sassari con compiti giudiziari e politici, i Capitani zonali e i Castellani con compiti militari. A capo del settore patrimoniale Alfonso pose l’Amministratore generale delle rendite e dei diritti regi (Pere de Llìvia) poi una rete di Ufficiali minori, baili, camerlenghi, doganieri, pesatori, portolani, salinieri, Ufficiali della zecca ecc …Introdusse inoltre in Sardegna l’appalto ai privati (arrendament degli uffici patrimoniali) che gli garantiva un gettito certo, anche se ridotto.
Inoltre, provvide a un archivio segreto del Regno, con sede a Cagliari, in cui sarebbero confluiti i documenti di tutti gli uffici regi, archivio che affidò a Bernard Descoll, esperto patrimoniale, garantendosi così il dominio dell’informazione e l’accentramento sulla Sardegna. Anche questa scelta segnò la distanza, data dalla diversità di indirizzi e politiche, tra istituzioni sarde e nazionali.
Pisa fu costretta a firmare la resa nel 1326 cedendo i suoi enormi territori meridionali e orientali dell’Isola.
Alla morte di Alfonso nel 1336 successe il figlio Pietro il Cerimonioso che continuò la stessa politica del padre verso la Sardegna. Nel 1339 completò l’archivio con il Maestro razionale di Sardegna, carica che poi abolì nel 1341. Pietro d’Aragona affidò a Pedro Martinez de Luna la missione di sconfiggere il giudicato di Arborea e portare l’intero territorio di Sardegna sotto il suo dominio.

Nel 1365 l’isola era controllata interamente da Mariano IV de Serra Bas giudice di Arborea, mentre le difese aragonesi sbaragliate dagli eserciti giudicali, potevano contare sui territori di Sassari, Castel di Calari e Alghero. Pedro de Luna con una grande armata si avviò verso le mura oristanesi  all’interno delle quali si trovava asserragliato Mariano IV. Intanto, buona parte delle forze giudicali comandate dal principe Ugone, da meridione cercavano di coglierlo alle spalle, e mentre Ugone sopraggiungeva, ecco che Mariano esce dalle mura e in località S. Anna sbaragliava le forze aragonesi. Pedro de Luna perdeva la vita in battaglia.

Martino il Giovane (1374-1409) era principe d’Aragona e re di Sicilia quando fu inviato in Sardegna dal padre, il re Martino il Vecchio con l’intento di regolare i conti con l’Arborea e riportare l’isola dentro la Corona Aragonese. Nel 1409 Mariano IV, Ugone III, Eleonora e il marito Branca Doria erano ormai morti e il nuovo giudice di Arborea era Guglielmo di Narbona. Lo scontro avvenne presso la cittadina fortificata di Sanluri:  le forze catalano aragonesi e siciliane ebbero la meglio sul giudice Guglielmo che, con i suoi cavalieri francesi, fuggì verso il castello di Monreale. Martino entrò trionfante a Sanluri facendo molti prigionieri. Nel 1410, alcuni mesi dopo la battaglia, Martino contrasse la malaria e morì ancora giovane. Venne tumulato in un ricco mausoleo, nel transetto sinistro della cattedrale di Cagliari. Alcuni mesi dopo morì anche suo padre sempre nello stesso anno. Nel 1412 il trono aragonese passò alla dinastia castigliana. Giovanni, fratello di Mariano IV d’Arborea dichiaratamente filo aragonese fu fatto morire in prigionia e dal matrimonio di una sua figlia, Benedetta, con uno dei Carroz, nacque Nicolò Carroz, rampollo quindi e della nobiltà aragonese e anche discendente della famiglia giudicale Bas-Serra. Il suo ramo familiare si chiamò Carroz d’ Arborea. Nicolò Carroz riuscì a farsi nominare vicerè nel 1460 dopo la fine del Giudicato d’Arborea (1420) che divenne beneficio feudale e marchesato di Oristano. Alla morte di Alfonso V il Magnanimo, nel 1458 salì al trono aragonese Giovanni di Trastamara (1397-1479) assumendo anche il titolo di re di Sardegna col nome di Giovanni II di Aragona. Dovette occuparsi nel 1462 della ribellione della Catalogna. La contea di Barcellona aveva perso il suo posto nella politica spagnola, per cui Giovanni oltre agli aspetti dinastici si trovò coinvolto in complessi giochi geopolitici e relazioni internazionali e in Sardegna nel 1470  la grana della successione al marchesato di Oristano. L’ultimo marchese di Oristano fu Salvatore Cubello che lasciò i suoi territori al figlio maggiore della sorella, Leonardo Alagon. A questo punto Nicolò Carroz, in qualità di vicerè, contestò la successione di Leonardo e lo sfidò in battaglia a Uras nel 1470. Nicolò Carroz però venne sconfitto, ma non si arrese. Nel 1478 sbaragliò Leonardo nella battaglia di Macomer, il vinto fu catturato e condannato all’ergastolo presso Valenza. Il Marchesato di Oristano fu acquisito dalla Corona di Aragona e quindi, con la nascita del Regno di Spagna, divenne uno dei titoli dei suoi sovrani.
Dopo lunghe e sanguinose guerre (1323-1478), con la battaglia di Macomer si concluse la conquista aragonese. La Sardegna farà parte di un impero comprendente la penisola iberica, gran parte dell’Italia, Germania e Paesi Bassi, Canarie e America. Nel 1479 saliva sul trono di Aragona Ferdinando II figlio di Giovanni II che compì l’unificazione politica della Spagna. Sposò infatti Isabella di Castiglia, cosicché i due regni di Castiglia e Aragona si unirono. Ferdinando, a Granada, sconfisse gli arabi della penisola iberica e nel 1512 si impadronì della Navarra. È da questo momento che la Sardegna da Aragonese divenne Spagnola.
Il regime accentrato dell’isola ideato da Alfonso il Benigno e perfezionato dai Trastamara mediante un rappresentante del re che dirigesse la politica del Regno, non fu né modificato né intaccato neanche nelle linee più importanti, dalle successive riforme

Cattedrale di Cagliari

Ferdinando II riprese la politica espansionistica dei suoi predecessori e fomentò attraverso personaggi sardi e fuorusciti corsi, ribellioni e disordini in Corsica, cercando così di conquistare anche l’isola di Corsica. Non riuscì: i suoi emissari furono uccisi e qualsiasi congiura venne punita con la morte. In Sardegna, stroncati i Giudici Arborensi, ci fu il controllo da parte dei feudatari iberici e si cominciò ad ammettere i sardi al cavalierato e alla nobiltà.
Ferdinando II, se pur intelligente ed energico, non sempre seppe scegliere i viceré da inviare nell’Isola. Triste esempio di viceré prepotente e avido fu Ximene Perez Scrivà, in un periodo in cui imperversavano le scorrerie di pirati, di turchi e barbareschi e i villaggi costieri ne venivano saccheggiati. Vittime di ciò le località di Cabras, Siniscola, i mari d’Ogliastra, Lodè, Torpè (1514), Porto Conte (1515). Inoltre, le pestilenze, nonché le guerre a causa delle quali i prigionieri venivano deportati in Spagna come schiavi e i centri abitati distrutti, furono causa, durante questo regime feudale, di affossamento dell’intera popolazione sarda: ridotta quindi in numero di abitanti con conseguente spopolamento delle campagne.

Ferdinando II d’Aragona (immagine da ex partibus)  

L’insicurezza delle coste, quindi, il pensiero della ristrettezza economica per rafforzare le difese, del rifornimento delle casse dello Stato svuotate dopo lunghe guerre, spinsero Ferdinando II a convocare i Parlamenti. Il primo (1481-1485) fu importante per stabilire le reciproche concessioni tra sovrano e sudditi e ottenere un contributo periodico. Tra il primo e secondo Parlamento (1497-1511) si chiarì che non si dovessero sequestrare beni e strumenti di lavoro ai contadini, che gli iberici sposati con donne sarde potessero dimorare nel Castello di Cagliari e che i figli continuassero a godere degli stessi diritti. Nei Parlamenti, veniva delineato più chiaramente, da un lato l’aspetto giuridico e autonomo del Regnum Sardiniae (Regno di Sardegna), ma dall’altro lato, venivano facilitate le spese per la difesa e l’amministrazione ricadenti totalmente sui Sardi, rimanendo la Sardegna, dal punto di vista politico generale, totalmente dipendente dalla Spagna.

Tribunale dell’Inquisizione (immagine da Alamy)

Fin dall’epoca romana esisteva in Sardegna un nucleo di popolazione ebraica. Secondo quanto risulta dai documenti, in periodo aragonese, molti di essi facevano i venditori ambulanti, o mediatori d’affari, o medici, o prestavano soldi ad interesse. Essi, come in tutto il mondo della cristianità, venivano controllati nelle loro attività e limitati da divieti ed imposizioni. Alle loro donne veniva proibito portare gioielli e abiti di lusso, abitare in luoghi separati e avere cristiani al loro servizio, né potevano vendere carne ai cristiani. Nonostante le restrizioni, il nucleo ebraico prosperava. Motivi di intolleranza religiosa, antipatie, desiderio delle loro ricchezze, spinsero Ferdinando il Cattolico a promulgare nel 1492 il decreto di espulsione per gli ebrei da tutti i suoi stati, a meno che rinunciassero alla loro religione. Anche la Sardegna si adeguò a questa cacciata anche se molti di essi, in buoni rapporti con la popolazione, non trovarono difficoltà a convertirsi al cattolicesimo (i cosiddetti marrani) venendo riassorbiti.
A seguito di tutto ciò, risulta che il Santo Uffizio, esistente in Sardegna dal 1285, divenendo poi Sacra Inquisizione affidata all’Ordine dei minori Francescani o a un Vescovo, avesse incarico di inquisire sull’Eretica pravità. Nel 1492 la Sacra Inquisizione venne organizzata sul tipo di quella spagnola, in modo nuovo e più severo, con carattere politico e non solo religioso. La sede di questo tribunale fu dapprima a Cagliari nel quartiere Villanova, poi, dal 1563 a Sassari. In Sardegna questo tribunale agì in maniera meno oppressiva che in Spagna, ma ci furono pur sempre inchieste e condanne nel XVI sec. verso luterani e calvinisti. Questo riepilogo storico vale a dare un significato di quanto abbia inciso nei Sardi la perdita di libertà data dall’introduzione improvvisa del feudalesimo da parte della conquista Aragonese che provocò sconvolgimento economico e amministrativo nell’isola. Nel XVI sec. avendo il sovrano concesso ville e territori ai suoi seguaci, molte famiglie sarde si ritrovarono in balia delle famiglie spagnole. Mentre nel resto dell’Europa il feudatario dell’Alto Medioevo assicurava protezione e difesa, in cambio dei servigi dei suoi sudditi, in Sardegna il feudalesimo venne imposto dagli Aragonesi in un momento in cui in tutte le altre parti d’ Europa andava invece a scomparire, o a scendere a patti con i reggimenti comunali, o si parava in conflitto con le monarchie. Con la concessione dei feudi, gli Aragonesi al posto dei maiorales (carica importante della curadoria del regno giudicale sardo con mansioni fiscali e giudiziarie) avevano formato una classe dominante di uomini devoti alla Corona e foraggianti denaro per le loro casse cronicamente svuotate. Ecco perché, dopo la battaglia di Macomer, si concessero ai sardi, con maggior generosità, titoli di nobiltà e investiture feudali. I feudi in questo periodo diventavano di tipo allodiale (di proprietà) sui quali il sovrano per fiducia esercitava un controllo minore. Nel XVII sec non ci furono mai conflitti in Sardegna tra feudatari e monarca. I tributi feudali furono innumerevoli, considerato che niente ritornava alle popolazioni, neanche sotto forma di opere pubbliche. La popolazione risultava stremata dalle guerre, dalle carestie, dalla pestilenza, dal banditismo e da disposizioni impositive.
Da subito il tribunale entrò in conflitto di competenza con le autorità civili e religiose finché non fu abolito nel 1720 e le sue mansioni affidate ai vescovi.
A questo punto, penso non serva condannare protagonisti del passato quando si tratta della triste dicotomia conquistatori-conquistati o oppressori-oppressi, serve però parlarne per conoscere, in specie se si riflette sui Vincitori, che fanno la storia e la scrivono e il resto viene spesso resettato. Oltre le successioni infinite di personaggi che hanno inciso sulle vicende economiche, artistiche, religiose, civili, di cui ho fatto un esile sunto per il periodo del XIV sec. e metà XV sec. aragonese catalano, convive una struttura politico amministrativa complessa e anche pesante da trascrivere e leggere. Chiedo venia per questa parte non troppo scorrevole nella lettura, ma necessaria, per comprendere il popolo sardo e il suo stato di pauperismo subito. La gente sarda “passava”, per così dire, nei suoi spazi sociali guidata dalla condizione vassallatica i cui limiti erano lo stesso feudo.
Il feudo, feu o focatico era il tributo massimo del vassallaggio,  l’ ilaor di corte o terratico pagamento in orzo e grano, il deghino imposta sul bestiame, la fonda o puntarolu e tauleddu o carnesseria dazio sulla vendita del vino nelle osterie e di carni macellate e di pesce, il diritto di gallina pagamento personale di una gallina o di una somma equivalente, il laudemio imposta sulla vendita delle terre, l’incarica multa che dovevano pagare i componenti di una villa quando non riuscivano ad arrestare chi all’interno della villa stessa commetteva un reato, la roadia o comandamenti dominicali lavori vari a favore del feudatario.
A fronte di ciò, il vassallo sardo veniva sottoposto ad amministrazioni di giustizia con giudici nominati dallo stesso feudatario. Giudici a volte ignoranti ma piegati al volere dei loro signori con cui spartivano le multe pagate, ricoprendo anche l’ufficio di esattori del feudatario.
I feudatari il più delle volte venivano dispensati dallo scendere in guerra con i loro uomini e anche dal vincolo di residenza nel feudo, per cui il più delle volte risultavano insensibili a migliorarne le condizioni.
Nobili e cavalieri e feudatari costituivano la classe dominante e godevano di privilegi. Anche il clero costituiva classe privilegiata, esente da tributi e imposizioni, e giudicato dal foro ecclesiastico stesso. Arcivescovi e vescovi sono di origine iberica e il sovrano può interferire su materie ecclesiastiche. Questa struttura sociale ebbe solo il merito di aver contribuito, nell’organizzazione sociale sarda, all’abolizione della schiavitù.
Dal punto di vista militare le soldatesche sarde coinvolte nelle guerre in Italia e nelle Fiandre erano formate da volontari arruolati dagli stessi nobili o feudatari, desiderosi di glorie e onori. La Sardegna, a causa dei difficili approdi e della malaria, non aveva guarnigioni stabili, solo in casi di grave pericolo si muoveva la milizia isolana formata appunto dai Miliziani, composta da 38.000 fanti e 10.000 cavalieri, al cui comando vi era il viceré con il titolo di Capitano generale.
Altri nobili erano i commissari di fanteria, di cavalleria e di artiglieria. La marina aveva una scarsa flotta per difficoltà finanziarie. A spese della Sardegna nel XVII sec. si ebbero due galee, la Capitana e la Patrona, e dopo vent’anni anche la S. Francisco. Il viceré rappresentava il re, scelto dal re medesimo fra i personaggi della sua corte. In nome del re convocava la Cortes, aveva il comando delle forze armate, era a capo del potere giudiziario, concedeva salvacondotti, alcune volte aveva il diritto di grazia, emanava ordinanze e grida che avevano validità per il tempo della sua carica. I decreti presi in accordo con la R. Udienza avevano valore di legge perpetua. Comunque, mai avrebbero potuto ledere i privilegi delle città e dei privati, in tal senso venivano controllati dai visitatori inviati periodicamente dalla Spagna per controllare e riferire al sovrano.
Dal punto di vista amministrativo l’isola era divisa tra il Capo di Cagliari e di Gallura e il Capo di Sassari, ognuno dei quali guidato da un Governatore, secondo in autorità al viceré. I Governatori duravano in carica tre anni, venivano scelti tra i nati in Sardegna di illustre lignaggio.
Risiedevano nei rispettivi capoluoghi e il Governatore di Cagliari, in assenza del Viceré, assumeva le sue funzioni con il titolo di Presidente. Dal punto di vista giuridico la Sardegna non dipendeva dagli Stati Iberici, costituiva un Regno autonomo ma soggetto al re, con propria amministrazione economica, giudiziaria e militare. La più alta autonomia era rappresentata dalle Cortes, ossia il Parlamento, costituite da tre Bracci o ordini:
Braccio ecclesiastico, composto da arcivescovi, vescovi, priori, abati, e rappresentanti delle cattedrali;
Braccio militare composto da feudatari nobili e cavalieri;
Braccio reale composto da rappresentanti delle città e villaggi dipendenti dal re.
Se questi bracci non si fossero considerati facenti parte del Parlamento, si sarebbero chiamati Stamenti, corpi autonomi. Il capo di ciascun Stamento era detto prima voce. Il rappresentante di Cagliari era il Consigliere capo o primo, corrispondente alla carica di sindaco.
La precedenza tra gli Stamenti spettava a quello ecclesiastico, ma il più potente era lo Stamento militare che poteva autoconvocarsi separatamente dagli altri. Il primo Parlamento fu celebrato a Cagliari nel 1355 sotto re Pietro IV, dopo un secolo quello di Alfonso il Magnanimo (1421) poi quello di Ferdinando II (1481-85) e da allora sino al 1699 le Cortes si radunavano regolarmente ogni dieci anni. Il Parlamento poteva essere convocato solo dal re e doveva approvare il donativo in denaro, per il normale contribuito alla Corona, o per l’incoronazione, o per i matrimoni. Il Parlamento, oltremodo, poteva presentare petizioni e proposte di legge che impegnavano sia il re, sia i Bracci come un contratto bilaterale. I singoli votavano all’interno di ciascun Stamento e, come unità singola si esprimeva un unico voto. I rappresentanti della Sardegna avevano modo di esaminare i problemi e far sentire la loro voce al re. Gli Stamenti giovavano spesso alla popolazione, facendo coincidere interessi e bisogni del popolo, anche se il Parlamento sardo era pur sempre un’istituzione iberica trapiantata.
Dal punto di vista dell’amministrazione delle città, mentre Sassari e Iglesias mantennero i loro statuti, Cagliari e Alghero, ripopolate da gente iberica, avevano avuto un ordinamento comunale con i privilegi di quello barcellonese.
A Cagliari la magistratura era costituita da 50 giurati che si riunivano in circostanze speciali, la normale amministrazione veniva condotta da 5 consiglieri che curavano la difesa del Castello, ne avevano le chiavi e potevano emanare ordinanze, espletando il potere giudiziario insieme al veguer o vicario (rappresentante del re di cui tutelava i diritti) o in accordi con il bailo quando si trattava di questioni finanziarie doganali ecc. I consiglieri nominavano gli impiegati o funzionari per:
l’approvvigionamento dei viveri, mostazaffo o amostassen
l’edilizia e la nettezza urbana, obrieri
la custodia delle chiavi, clavari
gli interessi della città, specie giudiziari, avvocato della città
il patrocinio per le cause dei poveri, avvocato dei poveri
l’avviamento al lavoro e la sistemazione degli orfani, padre d’orfani
Alla magistratura e agli impieghi civici si accedeva per inclusione in una lista di gradimento al viceré. Inclusione, oltretutto, riservata agli iberici, abitanti di Castello. Solo nel 1583 fu permesso di farne parte anche ai Sardi provenienti da più parti, residenti però a Cagliari da almeno cinque anni. Cariche e Consiglio venivano rinnovate annualmente.
Il quartiere di Castello a Cagliari (Castel di Castro), imperniato su struttura urbanistica pisana, culminante con una svettante rocca, si accompagna ad altri tre quartieri storici: Stampace, Marina e Villanova, conformazione che diedero sempre i pisani dal XIII sec. sino ai primi decenni del XIVsec.( oggi i quartieri sono trentuno). Ma il dispiegamento politico sardo e la costituzione di una piazzaforte di scalo marittimo e la commercializzazione dei prodotti del suo entroterra in tutto il Mediterraneo, fu soprattutto una costruzione catalana proseguita in età spagnola. In ciascun quartiere sorsero i Sindacati che costituirono il Consiglio di quartiere con tre sindaci per ogni classe di professionisti: commercianti, operai, artigiani. Il Sindacato controllava tutte le varie attività cittadine dei quartieri, ne curava l’amministrazione, ne rappresentava gli interessi davanti alle autorità regie, rappresentava in modo autonomo le rispettive comunità. Questa istituzione decadde con i Savoia nel XIX sec. Sempre nel periodo aragonese e spagnolo sorsero i gremi ,corporazioni di arti e mestieri (sarti, muratori, falegnami ecc.).
Vi era un Consiglio del Patrimonio che si interessava esplicitamente del patrimonio del Regno, composto da diversi membri:
Procuratore reale amministrava le regalie (diritti regi) e del demanio
Ricevitore del riservato per l’amministrazione dei beni posseduti dal re
Tesoriere per la riscossione del fisco
Maestro razionale per la registrazione e controllo dei conti e delle attività finanziarie riguardanti la corona e lo Stato
Avvocato fiscale e patrimoniale per la difesa legale di interessi fiscali e patrimoniali.
Nei feudi le cause, in prima istanza, venivano giudicate secondo la carta de Logu da un Ufficiale di giustizia nominato dal feudatario, assistito da probi uomini della Corona. Nei feudi di tipo allodiale, la curia baronale giudicava anche in seconda istanza. Nelle città, in prima istanza, il giudizio spettava al veghiere, detto Podestà ad Oristano e Sassari e Capitano ad Iglesias.
L’amministrazione della giustizia in questo periodo spagnolo dava luogo a diversi inconvenienti, primo fra tutti il diritto d’appello, quasi impossibile, oltre alle alte spese processuali, elargite anche ai magistrati, l’esasperante lungaggine dei processi, i fori speciali, le tante amnistie per i nobili, la sfacciata protezione ai delinquenti protetti dai feudatari, l’abuso del diritto d’asilo e l’immorale istituto del guidatico per cui o si concedeva l’amnistia o si liberava un delinquente a chi ne consegnasse un altro con reati più o meno gravi.
E così si arriverà a Carlo V, ma questa è altra storia sarda, che narreremo prossimamente…
Riassunta la struttura organizzativo politica, contrariamente a ciò che avviene nei nostri tempi che conoscono grande stima e amicizia reciproca, tra sardi e catalani, nel periodo plurisecolare di contrasti feudali, il rapporto fu conflittuale.
Tuttavia, al di là delle guerre, di crisi economiche e demografiche di calamità epidemiche, a un occhio attento che sa osservare forme, tradizioni, culti, parlate, espressioni artistiche non può sfuggire il grande interesse storico che ha legato entrambi i popoli. Gli stessi viaggiatori catalani che si ritrovarono in Sardegna tra ottocento e novecento si stupirono tanto, di fronte ad analogie, influssi e identità tra catalani e Sardegna. Non solo Cagliari e Alghero ne ebbero un’impronta significativa, ma anche paesi interni e montani.
Eppure, la Sardegna trecentesca vide, purtroppo, condizioni inadatte perché produzione e governo andassero di pari passo con quel dominio di potenza mercantile che ad ogni costo dominava sui privilegi commerciali, con un risvolto di forte malessere per l’Isola.
Basta citare come la popolazione sarda falcidiata da pestilenze e carestie, non potesse disporre della propria manodopera ai catalani, neanche per il trasporto e carico sulle navi di merce preziosa come il sale. Ci fu un grave squilibrio tra città e campagna.
Crollo di produzioni agricole e abbandono delle terre coltivate dovute anche alle rigide misure regie, a vantaggio del fisco e dell’annona, che portarono all’esproprio dei feudatari con il monopolio del grano, che inesorabilmente poi, ne favoriranno il contrabbando.
Da qui, crescenti opposizioni tra città e campagne e tra feudatari e Corona. Si va a mettere in ginocchio un’economia che sotto i Pisani era fiorente sana ed equilibrata per trasformarsi in un’economia di guerra che vede salire il ceto mercantile, cambiando chiaramente anche la politica. Situazione che andrà gradatamente a migliorare per i Sardi nel Cinquecento quando accederanno ai vertici dei gremi e i mestieri diventeranno patrimonio sardo. Il raccontarlo alle prossime esposizioni di storia sarda.
Bibliografia:
Francesco Manconi La società sarda in età spagnola Quart Valle d’Aosta 1992
Omar Onnis-Manuele Mureddu Malos CA 2021
Natale Sanna Il cammino dei sardi CA 1986
Jordi Carbonell – Francesco Manconi I Catalani in Sardegna MI 1984

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CC BY-NC-ND 4.0 Storia sarda: La Sardegna da Aragonese a Spagnola by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.