Articolo pubblicato su IUA n° 11, Anno IV, Dicembre 2017

Il complesso del creato tangibile, amministrato secondo le leggi divine: questo è la Natura per il poeta-pellegrino (a rigore di Paradiso X 28) che ogni gradino di tale creato, sotterraneo, montanino e celeste afferma di aver percorso.

Ma qual è la sua percezione e considerazione dell’ambiente naturale, e quale la collocazione dell’uomo in esso? E soprattutto, quali forme di rispetto deve l’uomo alla Natura, secondo l’Alighieri?

La Natura produce, genera da cause già esistenti (cause prime create da Dio, per cui quelle della Natura sono generazioni definibili cause seconde); è quindi figlia di Dio, e noi dobbiamo riconoscerci inevitabilmente come parte di essa: mancarle di rispetto significa mancare di rispetto a una madre e quindi, in definitiva, a noi stessi.

Natura naturante è dunque Dio, Natura naturata il creato da Dio: è in lei il nucleo dell’essenza umana; se l’uomo viola il complesso delle leggi naturali, come accade per esempio per gli usurai (come ricordato a Inferno XI 99 e 110), mostra di “dispregiare” sia per sé Natura (cioè la Natura per se stessa) che la sua seguace, cioè l’arte.

Come ricongiungersi, quindi, a una serena dimensione naturale, quella ricordata, ad esempio, nel momento in cui il viandante esce dalla cupa e terribile realtà infernale e riconquista la visione del dolce color d’oriental zaffiro/ che s’accoglieva nel sereno aspetto/ del mezzo, puro infino al primo giro (Purgatorio I 13-15)?

Non c’è altra via che riconoscere il legame indissolubile uomo-Natura, come dimostra il superbo penitente (e quindi destinato con certezza a una futura beatitudine) conte Umberto Aldobrandeschi quando riconosce la necessità di ricordarci che siamo figli tutti di una comune madre (Purgatorio XI 63), la natura, la terra, e come dimostra il santo che meritò la mercede, il premio divino, nel suo farsi pusillo, piccolo, umile (e umile viene da humus, terra, che ci genera e alla quale siamo davvero legati): Francesco, ricordato con questi termini da san Tommaso d’Aquino ai versi 110-111 del canto XI del Paradiso, così come sùbito dopo si ricorda che al proprio corpo il santo assisiate non volle altra bara che la nuda terra, per sancire, sottolineo ancora una volta, il legame indissolubile con l’ambiente naturale dal quale nasciamo e al quale torniamo.

Solo una decisa presa di coscienza, un chiaro riconoscimento di questo può permettere all’uomo sviato di ristabilire un equilibrio appagante e sereno tra mondo, corpo e anima.

[Massimo Seriacopi]

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