Colloquio con Massimo Gavazzi

Ambrogio Lorenzetti, “La Pace”, particolare dell’Allegoria del Buon Governo, affresco, 1338-1339, Palazzo Pubblico di Siena, © Comune di Siena, foto eseguita da Gabriele Antonacci

La Pace è la figura che Ambrogio Lorenzetti pose al centro della raffigurazione dell’Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, che l’artista dipinse nel palazzo Pubblico di Siena dal febbraio del 1338 al maggio del 1339, donando alla sua opera un valore universale e al di fuori del tempo. Il grande ciclo di affreschi, uno dei più importanti della Storia dell’Arte, è oggi al centro di un’importante operazione di restauro. Ho avuto modo di intervistare sul cantiere, nel marzo 2024, Massimo Gavazzi, maestro restauratore e responsabile dei restauri degli affreschi del Lorenzetti, a cui sono legato da antica amicizia. Massimo è figlio di Giuseppe Gavazzi, artista e anche lui maestro restauratore, di cui abbiamo parlato nel numero di marzo illustrando la recente mostra delle sue opere, tenutasi a Siena nel complesso di Santa Maria della Scala.

IUA: Massimo buongiorno, ti ringrazio se fai una tua breve presentazione. Hai una grande esperienza come restauratore e come artista, ti prego raccontarci qualcosa della tua esperienza e della tua vita.

Massimo Gavazzi: L’artista direi di no, perché io non ho capacità artistiche nel senso esatto del termine. L’artista è una persona che ha dentro delle idee e riesce a renderle concrete: questa è una natura che io non ho. Ho l’esperienza e le capacità del restauratore, che vengono dalla bottega, mentre oggi i restauratori hanno un percorso scolastico imposto anche dalle normative del Ministero dei Beni Culturali. Quando ho iniziato io nell’ottantacinque non c’era questa obbligatorietà, esisteva la “bottega” come nel passato. Per cui i ragazzi si affacciavano alla bottega e poi, se avevano un futuro, avrebbero proseguito la loro carriera artistica e di restauro all’interno delle botteghe stesse, oppure sarebbero usciti del tutto. Il mio profilo di restauratore nasce proprio dalla bottega, dalla conoscenza della materia. E, da un certo punto di vista, è stata sicuramente la scelta migliore, perché io vengo da una formazione scolastica di tutt’altro taglio, non umanistica ma molto tecnica, sono un perito industriale con specializzazione meccanica. Questa mentalità, questa forma mentis, mi è servita da un punto di vista tecnico e tecnologico quando il restauro da una modalità più artigianale si è trasformato in qualcosa con un taglio più tecnico, per cui ci è stato richiesto delle attestazioni anche a livello di ISO 9000. Con queste modalità, con una mentalità prettamente “meccanica”, mi sono trovato a mio agio, era quello che avevo studiato da sempre. La parte umanistica, comprensiva di tutta la parte della storia dell’arte e di una conoscenza artistica delle superfici in cui fin dall’inizio mi dovevo in qualche modo imbattere e confrontare, me la sono studiata da solo. E l’altra fortuna è stata avere più maestri, perché in questa bottega non c’era solo mio padre che faceva il restauratore dal ‘56, ma c’erano anche i suoi colleghi. Altre quattro persone che erano artisti, perché l’idea della bottega da restauratore era proprio una bottega che nasceva dagli artisti, in cui coesistevano scultori e pittori che poi si erano messi a fare il restauratore, come da sempre. Nella storia dell’arte i restauri ci sono sempre stati e sono sempre stati fatti da artisti. Che potesse essere il solito artista o artisti diversi era quello. Per cui, come dico sempre, c’era un fuoco sacro dentro. Cosa che mi si sarà accesa anche a me nel tempo. Per cui questi maestri insegnavano non solo a me, ma a una serie di allievi, quelle che erano le informazioni della materia e il modo di approccio sulle varie superfici, perché all’inizio la bottega aveva pluri-modalità di intervento: non c’era solo quello della pittura murale, c’erano interventi su tele e su tavole. Io ho scelto poi un solo indirizzo, quello del murale, perché mi sembrava l’approccio migliore. Mantenere una sola materia su cui approfondire e trovare anche le soluzioni per la conservazione era per me la soluzione ideale. In ogni caso sono sempre il primo a congratularmi con i miei colleghi che riescono a intervenire su tele, tavole e altri manufatti.

Il cantiere di restauro dell’Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico di Siena, © Comune di Siena, foto eseguita da Gabriele Antonacci

Ritengo che una specializzazione sia una modalità migliore.  Ma questo è un pensiero personale. Comunque, lavoro ormai da 35 anni e devo dire che non si finisce mai di imparare, le superfici murali sono sempre così complesse e articolate che nonostante questa lunga esperienza e tutto quello che ho raccolto da questi maestri, poi ti trovi a confrontarti con novità, anche piacevolmente inattese.

Ambrogio Lorenzetti, “Allegoria del Buon Governo”, particolare, affresco, 1338-1339, Palazzo Pubblico di Siena, © Comune di Siena, foto eseguita da Gabriele Antonacci

IUA Puoi raccontarci qualche cosa che ritieni significativa nel tuo cammino?

Massimo Gavazzi: il mio cammino, come si può immaginare non avendo una conoscenza e un approccio scolastico di base, è stato un po’ tortuoso, ma ho la mente aperta. Forse mi ha dato la possibilità di attingere, di assorbire qualunque cosa mi venisse detta, perché per me era una novità assoluta, alle volte anche un po’ difficile da comprendere, proprio perché la modalità meccanica mentale imparata nella scuola si scontrava proprio, in modo cruento, con una modalità umanistica che tutt’altro era scientifica. Questo però è stato un percorso che si è trasformato in una modalità molto scientifica: oggi il restauro ha un’impronta scientifica molto spinta che aiuta il restauratore a comprendere meglio quelle che sono le dinamiche della conservazione e anche le tecniche esecutive e a fare delle scelte molto mirate e molto consapevoli. Non che nel passato non lo fossero, perché poi i restauri che seguo, a distanza di più di trent’anni, fatti da mio padre o dalla bottega dove lavorava, sono ancora validi. Però l’approccio è totalmente diverso. E soprattutto le risposte che troviamo a certe domande, a certi quesiti, a certe riflessioni, trovano un’applicazione reale, scientifica, soprattutto molto divulgativa. Importante, fondamentale. Prima le pubblicazioni erano molto settoriali e soprattutto legate alla storia dell’arte, oggi le pubblicazioni si fanno anche a livello scientifico per far comprendere al mondo che cos’è una tecnica o le conservazioni, per cui è fondamentale avere quell’approccio. Chiaro che ha dei canoni che non possono e che non devono essere messi in discussione.

Ambrogio Lorenzetti, “Allegoria del Cattivo Governo”, particolare, affresco, 1338-1339, Palazzo Pubblico di Siena, © Comune di Siena, foto eseguita da Gabriele Antonacci

Ho avuto la fortuna di poter toccare opere d’arte di inestimabile valore e una di quelle occasioni che capitano, credo una volta nella vita, di poter partecipare in prima persona al ritrovamento delle pitture sotto il pavimento del Duomo di Siena nel 2000. Una cosa molto casuale, che ha messo in luce una pittura tra 1260 e il 1280, di circa 180 m² attraverso uno scavo archeologico. Questo ambiente era sotterrato, completamente riempito di detriti e serviva da solaio per il pavimento intarsiato del Duomo di Siena, nella zona presbiteriale, a fianco dell’attuale posizionamento del pulpito di Giovanni e Nicola Pisano. Questo scavo è andato avanti per un anno e mezzo; seguito da me e da mio padre, ci ha dato la possibilità di ritrovare un pezzo della storia inestimabile.

Ambrogio Lorenzetti, “Allegoria del Buon Governo”, particolare, affresco, 1338-1339, Palazzo Pubblico di Siena, © Comune di Siena, foto eseguita da Gabriele Antonacci

Nessuno sapeva quello che sarebbe emerso e tutto quello che emergeva, anche solo nella rimozione dei detriti, era qualcosa di fantastico, come in una tomba di Tutankhamon in Egitto. Credo di dover ringraziare la fortuna, ecco e non solo d’aver impattato positivamente e piacevolmente con una scoperta di questo genere.

Ambrogio Lorenzetti, “Allegoria del Buon Governo”, particolare, affresco, 1338-1339, Palazzo Pubblico di Siena, © Comune di Siena, foto eseguita da Gabriele Antonacci

IUA: Comunque senz’altro una fortuna aiutata da una curiosità e da una competenza che ha permesso di fare certe scoperte.

Massimo Gavazzi: No, in questo caso è stata una serie di fortune, perché la dinamica e la genesi della scoperta è proprio una serie di casualità che hanno portato a questo. Piuttosto l’intervento di restauro successivo, in considerazione che queste superfici erano rimaste chiuse per 600 anni in assenza di ossigeno, umidità, per recuperarle e conservarle è stato un lavoro non indifferente, anche perché avevamo superfici fondamentalmente intonse, intoccate quasi inviolate, rimaste probabilmente visibili per un centinaio di anni, forse anche meno. Era una superficie a noi nuova, sconosciuta per gli spessori dei colori, per cui è stato un lavoro lunghissimo, fatto in collaborazione con l’università di Siena con cui ormai collaboriamo da più di trent’anni. Un lavoro di restauro di cinque anni che ha messo veramente in condizioni sia la parte scientifica che la parte umana di conoscenza veramente ai limiti, cioè ci ha spinto veramente a trovare anche soluzioni fuori dal comune.

Ambrogio Lorenzetti, “Effetti del Buon Governo nella Città”, particolare, affresco, 1338-1339, Palazzo Pubblico di Siena, © Comune di Siena, foto eseguita da Gabriele Antonacci

Ma come in altri contesti, anche quello in cui sto lavorando in questo momento, all’interno del palazzo pubblico di Siena, nella Sala della Pace, con il ciclo del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti è un altro di quei cicli fondamentali.

IUA: Massimo, se ci introduci se queste meravigliose pitture?

Ambrogio Lorenzetti, “Effetti del Buon Governo nella Città”, particolare, affresco, 1338-1339, Palazzo Pubblico di Siena, © Comune di Siena, foto eseguita da Gabriele Antonacci

Massimo Gavazzi: questo ciclo pittorico di Ambrogio Lorenzetti e del Fratello Pietro, dipinto nel 1338 fa parte di un manifesto politico che l’organo dei “nove” della Repubblica senese, i politici di Siena con definizione moderna, chiedono ad Ambrogio Lorenzetti – diventato il pittore civico dopo che Simone Martini era andato con il Papa ad Avignone due anni prima – di narrare quello che la Repubblica di Siena ritiene il proprio modello di vita e di politica. I “nove” rimangono in carica solo per due mesi, per cui è un avvicendarsi piuttosto rapido e ritmato. E chiedono appunto a questo pittore straordinario di raccontare la politica e gli effetti della politica, cioè del buon governare. Per cui abbiamo una stanza formata da due pareti lunghe e da una parete corta. In una delle due pareti lunghe ci sono gli effetti del buon governo in città e in campagna. Dalla parte opposta, speculare, sempre la parete lunga gli effetti del cattivo Governare sia nella città che nella campagna. Nella parete più corta, invece, il racconto è, diciamo, strutturato da un punto di vista politico e sociale e in più nel Medioevo l’interazione tra la parte laica e la parte religiosa ha una continuità. Non c’è un momento in cui le due cose sono distaccate, distinte. Vediamo un travasarsi di informazioni.

Ambrogio Lorenzetti, “Effetti del Buon Governo nella Campagna”, particolare, affresco, 1338-1339, Palazzo Pubblico di Siena, © Comune di Siena, foto eseguita da Gabriele Antonacci

Ed è una parete con tutta una serie di caratterizzazioni molto importanti. Ora, da un punto di vista storico artistico, questa pittura è stata raccontata veramente a trecentosessanta gradi, ci sono pubblicazioni in tutto il mondo, perché è una delle sue dieci pitture più importanti. Ed è molto conosciuta proprio perché parla di un contesto civico che nonostante essere una pittura medievale, poi si trasporta con tutta facilità e semplicità in qualunque momento dell’uomo.

IUA: Massimo ti volevo chiedere di illustrarci alcuni aspetti del restauro.

Massimo Gavazzi: questo intervento nasce come intervento di manutenzione conservativa. L’ultimo restauro è stato eseguito dal 1985 al 1987, e a distanza dei trent’anni normalmente si fa una revisione conservativa della superficie, soprattutto in un ciclo così importante e così visitato. L’idea progettuale che avevamo suggerito all’Amministrazione era quella di fare questo intervento conservativo sfruttando tutta una serie di nuove tecnologie. Come spesso accade, la tecnologia avanza e ci dà la possibilità di fare indagini non invasive, non distruttive, per cogliere quelle che sono non solo gli stati di conservazione ma anche le tecniche pittoriche.

 Il gruppo di lavoro è multidisciplinare, ormai il restauratore non è solo affiancato dallo storico dell’arte o dallo storico o dal chimico, ha una serie di ampliamenti professionali. Uno di quelli più importanti è un archeologo. Ora uno si potrebbe domandare, cosa ci fa un archeologo sulle pitture murali? Di solito noi abbiamo l’idea dell’archeologo che fa scavi per cercare rovine, in realtà l’archeologia ha strutturato una branca molto particolare e molto interessante che è l’archeologia delle strutture medievali, della costruzione medievale, che è entrata a far parte del linguaggio del restauratore. Fra l’altro è una disciplina che nasce in Italia, a Siena e non solo; viene applicata in Spagna come una delle modalità principali dove nel restauro c’è un obbligo di legge, cosa che qui da noi, ancora non c’è. Questa unione tra il restauratore e l’archeologo di strutture medievali legge non solo la superficie pittorica, che è una sorta di epidermide, ma legge e si interessa in particolare, con una metodologia dell’archeologia, dell’unità stratigrafica, del contenitore.

Ambrogio Lorenzetti, “Effetti del Buon Governo nella Campagna”, particolare, affresco, 1338-1339, Palazzo Pubblico di Siena, © Comune di Siena, foto eseguita da Gabriele Antonacci

Perché il contenitore è fondamentale per la conservazione della superficie, del suo involucro ed è uno degli aspetti su cui le difficoltà o le problematiche poi riverberano sulla superficie stessa, per cui, come si potrebbe pensare una risistemazione di una casa, se non parto dal tetto non posso poi pensare al mobilio. Per cui prima devo fare il tetto e le facciate o guardare le fondazioni e poi posso pensare all’arredamento nuovo. Così l’intervento di restauro. Prima mi devo guardare intorno, devo verificare lo stato di conservazione, le dinamiche anche costruttive. Tant’è che in questo intervento si sta facendo anche una mappa del degrado delle architetture per pensare a quello che può essere, a esempio, l’interazione con i terremoti, con la conseguente mappa del rischio. In considerazione dell’importante evoluzione del restauro, non si conserva solo la superficie pittorica, si prende cura anche della conservazione della struttura che lo contiene. Abbiamo una collaborazione con il CNR di Firenze per due metodologie non distruttive di indagine e di verifica dello stato di conservazione. Una che riguarda le indagini non distruttive con tutta una serie di strumentazioni particolari che verificano i pigmenti e i loro leganti. E un’altra sul multispettrale, cioè quello che l’immagine nel campo del visibile ci può fornire come informazione sulle tecniche. Altro punto sono anche le prove micro-distruttive che con l’università di Siena di petrografia affrontiamo nel quotidiano. Andiamo a fare una verifica su microscopici campioni della superficie per interagire con i dati che abbiamo raccolto con la parte non distruttiva. Il gruppo è quasi al completo, perché ci manca la parte fotografica, quella di cantiere, che si basa su un rilievo metrico. Le immagini sono metricamente misurate e sono inserite dentro una struttura GIS con una base tridimensionale. Per cui abbiamo la prima parte della documentazione dello stato di conservazione fatta con un rilievo, cosa che viene dalle esperienze dei rilievi architettonici.

 Quando entri in un contesto di questo genere, hai due sensazioni, uno è quello dello stupore, della meraviglia, l’altra il peso della responsabilità. Il pensiero più grande è stato quello di essere stato presente nel primo restauro di metà anni 80 come un giovanissimo allievo, appena entrato nella bottega. Ho ricordi di questi cantieri che erano un po’ diversi anche da un punto di vista solo della struttura in metallo che ci permetteva di avvicinarsi alle pitture; a distanza di più di trent’anni, tornare non più come allievo, ma come la persona responsabile di tutto quello che avviene e di tutte le fasi che sono in itinere ti lascia un brivido. Perché avrei tante domande a cui non avrò risposta e tanti pensieri di non aver raccolto in quel momento. Purtroppo, delle informazioni oggi mi sarebbero sicuramente d’aiuto perché la documentazione fotografica per quanto possa essere vasta non è mai come l’esperienza di chi tocca. Tutta la tecnologia che ho illustrato serve al restauratore per avere a 360 gradi tutte le informazioni possibili e immaginabili: poi è solo al restauratore, alle sue mani, alla sua esperienza, alla sua capacità di visione è data la responsabilità di portare avanti quello che la parte scientifica ti ha indicato. A esempio utilizzare una sostanza o un supportante per un tempo X piuttosto che Y è una decisione solo ed esclusivamente del restauratore. Per cui alla fine, su di lui ricadono tutte le responsabilità della conservazione.

IUA: Massimo grazie davvero perché poterti intervistare è stato un privilegio, questa è l’unica cosa che posso dire.

Massimo Gavazzi: con l’occasione di questa intervista c’è la possibilità di interloquire anche con la persona che è più vicina in assoluto, insieme all’archeologo, al restauratore: è l’analista, cioè colui che insieme al restauratore sceglie, in funzione di tutte queste mappature che abbiamo, le aree su cui andare a fare i micro-campioni. Si parla di frammenti infinitesimali, piccolissimi, sotto al millimetro. Questa persona sta con il restauratore, preleva questi microscopici frammenti di superficie per poi andare a fare delle analisi. Questo specialista è fondamentale perché le risposte che dà al restauratore servono poi per progettare le modalità esecutive migliori. Questa persona è Andrea Scala: è una vita davvero che ci conosciamo. che collaboriamo insieme. Ti illustrerà quello che è il suo lavoro sul campo e fuori dal campo.

IUA: È molto interessante vedere in un ambiente di questo tipo, anche una metodologia che è assolutamente tecnico-scientifica che fa un collegamento diretto tra quello che è la bellezza dell’arte e quello che invece una conoscenza di tipo analitico, e avere quindi qualche informazione di questo tipo di lavoro.

Andrea Scala: le analisi che vengono fatte servono tanto per conoscere il materiale, la tecnologia che è stata applicata e il modo in cui il pittore ha lavorato poi, soprattutto se ci sono stati dei ritocchi nel tempo. Soprattutto serve per arrivare alla fase di restauro, cioè come il restauratore può lavorare in sicurezza, come può agire su un pigmento oppure no. Per esempio, se ci troviamo davanti a un bianco la persona comune vede che è un bianco. In realtà potrebbe essere o un carburato di piombo, quindi una biacca, oppure un carbonato di calcio. La differenza è che, se io vado a lavorare con una pulitura su un carbonato di calcio posso andarci tranquillamente, su un carbonato di piombo no, perché rischio di alterare il colore e di portarlo da bianco a scuro. La stessa cosa succede con i rossi, che possono essere ricavati da un’ematite, cioè un ossido di ferro, da un ossido di mercurio, o da un solfuro di mercurio. È sempre un rosso, ma le tecniche da adottare per la pulitura sono diverse. Bisogna andarci con molta più calma.

Ambrogio Lorenzetti, “Effetti del Buon Governo nella Campagna”, particolare, affresco, 1338-1339, Palazzo Pubblico di Siena, © Comune di Siena, foto eseguita da Gabriele Antonacci

 Come funziona il nostro lavoro? Prendiamo un micro-campione quando possiamo, andando dove ci sono naturalmente già delle lesioni, delle cadute o quasi-cadute del materiale, da rendere disponibili piccole pellicole che si sollevano; le portiamo in laboratorio, dove facciamo sia analisi difrattometriche, con uno strumento a raggi X che ci dice il tipo di minerale che compone questo pigmento. È importante il condizionamento del campione. Si immagini un campione di mezzo millimetro che viene suddiviso in vari pezzetti microscopici; viene inglobato dentro una resina epossidica, tagliato opportunamente, e quindi lavorato fino ad arrivare a 30 micron di spessore che chiamiamo sezione sottile. Cosa ci permette di vedere questa sezione sottile? Se il campione è stato prelevato in maniera idonea, dalla parte più esterna, cioè dal colore fino alla struttura muraria e all’intonaco possiamo anche dare informazioni su come è stata eseguita la tecnica, sia fresco, a secco o una via intermedia.                                                                                                                          

 IUA: Quindi in questo modo uno riesce a identificare con esattezza la tecnica del restauro, tutti i materiali, la tecnica del pittore, in modo tale da poter poi finalizzare il restauro.

Andrea Scala: oppure anche allargare anche un discorso di ricerca storica. Per esempio, Lorenzetti utilizzava un certo sistema e altri pittori, magari Duccio o altre persone un’altra tipologia.

IUA: Vi ringrazio di aver concesso questa interessante intervista, a contatto con la grande opera del Lorenzetti.

Si ringrazia la Direzione del Museo Civico del Comune di Siena per aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazione delle foto dell’Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo su L’Italia, l’Uomo, l’Ambiente.

È vietato riprodurre o duplicare con qualsiasi mezzo le immagini contenute nella presente pubblicazione

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CC BY-NC-ND 4.0 A contatto con l’Arte: “Allegoria ed effetti del Buono e Cattivo governo” di Ambrogio Lorenzetti – Il restauro. by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.

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