Castel de Tor

Quando ero piccolo, ci insegnavano fin dalle elementari che in Italia si parlavano, oltre che l’italiano, altre tre lingue: il francese in Val d’Aosta, il tedesco in Alto Adige e il ladino in alcune zone alpine non meglio identificate. Dell’albanese, del sardo (ancora classificato come dialetto), del friulano (come il precedente) e di altre minoranze linguistiche presenti in Italia non si aveva alcuna cognizione. Se sollecitate a proposito del ladino, le maestre rispondevano tutt’al più che, come il francese e lo spagnolo, era una lingua derivata dal latino, e la dizione lo confermava. Altro, era evidente, non sapevano. Come, del resto, tutti gli italiani che non fossero coinvolti direttamente nelle vicende di quelle cinque valli alpine che, seppure geograficamente confinanti, erano relegate in tre diverse provincie e regioni: la Val Gardena e la Val Badia (Bolzano), la val di Fassa (Trento), Ampezzo e Livinallongo (Belluno).

Tutte queste zone sono paesaggisticamente unite dall’incredibile massiccio dolomitico, che si irradia dal Gruppo del Sella; inoltre, usi, costumi e lingua, il ladino appunto, parlato da un gran numero di abitanti, sono più o meno gli stessi. Il nome di Ladinia attribuito a questa terra, a questa nazione, è pienamente giustificato.

1) Un tratto del torrente Seres nella Val dei Mulini

Il Sass de Putìa, che sovrasta la zona

Il ladino fa parte del gruppo delle lingue retoromanze, cui appartengono anche il romancio (Canton dei Grigioni, in Svizzera) e il friulano. Tutte zone di montagna, soggette prima alla conquista romana, al tempo di Augusto, e poi, a partire dal crollo dell’Impero romano d’Occidente (V sec. d. C.), alla penetrazione dei popoli di lingua germanica: la loro spinta costrinse le genti parlanti latino in quelle fortezze naturali che sono le zone più impervie dell’arco alpino.
Sopravvissuto quindi a queste vicende storiche, e a quelle successive, non meno turbolente, il Ladino è oggi confinato nelle zone prima citate, ed è oggi ancora utilizzato da circa 30.000 persone.

Dopo essere stato ignorato e/o perseguito dalle diverse autorità statali, prima l’Impero austriaco e il Regno d’Italia, poi solo da quest’ultimo dopo la fine del primo conflitto mondiale, con il controllo ancora più rigido del regime fascista e la sua pretesa di voler “italianizzare” a qualsiasi costo le zone finite sotto il suo potere, il Ladino fu infine accolto con pari dignità nell’insegnamento scolastico a partite dal 1948. Attualmente, la lingua ladina è usata prevalentemente nella scuola dell’infanzia, dopodiché, dalle elementari, l’insegnamento viene impartito, in modo per quanto possibile paritetico, in italiano, ladino e tedesco. Cosa che, ovviamente, non è semplicissima e richiede docenti con competenza plurilingue, appositamente formati. Si pensi poi che, a partire dalla quarta elementare, si aggiunge l’inglese. Con le adeguate modifiche, si continua anche per le medie e le superiori l’insegnamento in tre lingue-base. Sembrerebbe complicato per i ragazzi, e sicuramente richiede da parte loro uno sforzo aggiuntivo, ma ha l’indubbio pregio di conferir loro, al termine del ciclo di studi, una competenza linguistica altrove impensabile. Ciò vale per le zone appartenenti alla provincia di Bolzano, ma, seppur con modalità un po’ diverse, anche per quelle delle province di Belluno e Trento.

A rammentarci che il Ladino non è solo una lingua, ma anche, più diffusamente, una cultura, sono varie istituzioni appositamente create. Abbiamo visitato il Museo Ladino “Ciastel de Tor” (Castel della Torre), situato in Val Badia, nei pressi della località San Martino. Non siamo molto lontani dalla confluenza di questa lunga, e molto diramata, valle nella Val Pusteria, ma già ci troviamo in pieno territorio dolomitico. A rammentarcelo, sulla nostra destra spicca la mole del Sass de Putia (mt. 2875), che fa parte del Parco naturale Puez-Odle.  (a destra, interno del Castel de Tor)

Il Castello della Torre è già di per sé molto suggestivo, costruito come è attorno alla massiccia Torre centrale, elevata dai Vescovi di Bressanone, signori del luogo, nei primi decenni del 1200.  Ha avuto una storia particolare, perché da “sentinella” dei potenti è passato ad essere, all’inizio del 1800, dimora di contadini che l’avevano acquistato. E tale è rimasto per due secoli, finché nel 2001 è stato trasformato in Museo. Merita davvero, anche per il turista frettoloso, di farci una sosta, magari sfruttando una giornata non particolarmente adatta per camminare sui sentieri più alti, e dedicandoci almeno due o tre ore.

Dal suggestivo cortile (dopo aver pagato il biglietto nell’annesso esterno, che offre la vendita di materiale librario, oltre a un bar) ha inizio l’itinerario di visita, che comprende tre piani. ll Museo è attrezzato con le più moderne tecnologie informatiche, ed è perciò che anche i più giovani lo apprezzeranno. Oltre a ripercorrere la storia delle valli ladine (tra cui la storia geologica della formazione delle Dolomiti), e in particolare della Badia, Ciastel de la Tor ci offre uno spaccato delle attività artigianali che costituiscono il patrimonio indiscusso di questo territorio: dalla lavorazione del legno, in cui si ritaglia uno spazio tutto suo la creazione di burattini che venivano esportati ben oltre i confini del Sudtirolo, a quella dei tessuti e all’oreficeria di alto pregio. Altri settori sono naturalmente dedicati all’arredamento tipico delle case, comprendente la tipica stube che permetteva di alleviare i rigori dei lunghi mesi invernali, all’abbigliamento e all’insegnamento, argomento sul quale ci siamo già soffermati, per il quale è stata ricostruita una tipica aula dei primi anni ’50 del secolo scorso.

Il museo di Castel de Tor
Il museo di Castel de Tor

Una sezione staccata del Museo, che si trova a San Cassiano, è dedicata al ritrovamento dei resti di decine di Orsi delle Caverne, vissuti qui qualche decina di migliaia di anni fa; tali plantigradi appartenevano a una nuova specie mai descritta in precedenza, cui fu attribuito il nome di Ursus ladinicus. Questa sezione offre temi che certo appassioneranno il naturalista che si trovi a visitarlo: dagli studi condotti sui resti si è accertato, ad esempio, che l’Ursus ladinicus non era onnivoro come i suoi simili, ma esclusivamente vegetariano; un mistero è rappresentato dalla ragione per cui tanti orsi vivessero e morissero dentro o nei pressi di una grotta (quella delle Conturines) posta a 2800 metri di altezza. Si può ipotizzare che 40.000 anni fa il clima fosse più caldo di quello odierno (Era interglaciale) e che gli “orsi ladini” non seppero poi adattarsi all’ultima glaciazione, trasferendosi in territori caratterizzati da temperature più miti, come fecero i loro colleghi appartenenti alla specie Ursus Spelaeus. Fu probabilmente questa la ragione per cui si estinsero.

Infine, per il viaggiatore curioso, a qualche decina di minuti di auto da Ciastel de Tor, presso Longiarù, si apre la Valle dei Mulini (in ladino, Val de Morins) dove, lungo il torrente Seres che scorre impetuoso a valle, sorgono ancora otto mulini idraulici, in gran parte restaurati. Risalire la stretta valle è una passeggiata che consente di visitare il primo della serie, aperto al pubblico, e di ammirare comunque tutte queste ingegnose costruzioni dall’esterno, in un ambiente bellissimo.
Per meglio organizzare le vostre visite, proponiamo in calce al presente articolo i vari recapiti.
 
Musei Ciastel de Tor: 0474524062
 
Valle dei Mulini: 0474523175

Costume tradizionale femminile
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CC BY-NC-ND 4.0 Il museo della civiltà ladina di San Martino in Val Badia by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.