Articolo pubblicato su IUA n° 3, Anno IV, Marzo 2017

Il comitato di Redazione e il direttore della rivista l’Italia, l’Uomo, l’Ambiente salutano il nuovo amico e collaboratore Carlo Menzinger di Preussenthal ringraziandolo per il suo bellissimo articolo.

LA SCOPERTA DEL NUOVO SISTEMA SOLARE DI TRAPPIST-1 DIMOSTRA CHE SIAMO STUPIDI

di Carlo Menzinger di Preussenthal

La scoperta del sistema solare di Trappist-1 ha generato in me, come in molti altri, innanzitutto un senso di felicità e soddisfazione.

La visione antica di una Terra come unico luogo abitabile, al giorno d’oggi, infatti, è drammaticamente desolante e triste. Quando credevamo che questo pianetucolo su cui viviamo fosse il centro dell’universo e, anzi, la sola e unica terra in cui vivere poteva forse ancora sembraci grande.

Oggi, però, sappiamo tutti che è solo un granello infinitesimale nel sistema solare, nella galassia e nell’universo.

Se questo fosse il solo mondo abitabile tra miliardi e miliardi di galassie, vorrebbe dire che siamo solo un errore della natura, che la vita è qualcosa di ancor più fragile di quanto già sappiamo, qualcosa che se finisse qui non si ripeterebbe mai più altrove.

La scoperta della piccola nana rossa e del suo codazzo di pianeti con dimensioni e composizione simile al nostro, con ben tre di loro in una fascia di temperatura in cui l’acqua non gela e non evapora, in cui dunque i medesimi meccanismi che hanno dato origine alla vita da noi potrebbero duplicarsi apre nuove prospettive.

La speranza, dunque. È di poter un giorno avere notizia di altre forme di vita. Come saranno? Simili a noi o del tutto diverse? Si baseranno sulla stessa biochimica o su altre? Quesiti affascinanti.

L’anno scorso, però, avevo anche fatto delle considerazioni in senso opposto, che questa scoperta mi pare possano corroborare.

Mi ero chiesto, infatti, come mai, se i pianeti sono così tanti, non riusciamo a entrare in contatto con civiltà aliene. La risposta che mi ero dato era qualcosa che non mi piaceva affatto: non riusciamo a trovare altre civiltà tecnologiche, perché queste sono errori dell’evoluzione, qualcosa che la natura cancella nel giro di pochi secoli. Insomma, civiltà come la nostra finiscono per autodistruggersi o per infettare l’ambiente in cui vivono annientandolo e così perendo esse stesse.

Riporto, allora le considerazioni che avevo fatto in tal senso, aggiungendo che la presenza di un intero sistema planetario forse abitabile, per giunta attorno a una stella tanto diversa dalla nostra, fa pensare che le opportunità per sviluppare civiltà tecnologiche siano persino maggiori (e di molto) rispetto a quelle che avevo ipotizzato.

La visione dell’universo, negli ultimi anni, grazie all’uso di telescopi sempre più potenti, è radicalmente cambiata.

Sappiamo ora che nella nostra galassia, la Via Lattea, ci sono dai 200 miliardi ai 400 miliardi di stelle. Sappiamo anche che nell’universo c’è un numero almeno altrettanto sconfinato di galassie, dai 300 ai 500 miliardi o, secondo stime ancora più recenti, 2.000 miliardi, ma qui la stima è ancora più difficile, anche perché sembrerebbe che di queste stelle noi si riesca a vedere solo il 10%.

Non m’interessa qui stabilire un numero esatto e neppure un ordine di grandezza preciso, mi basta sapere che di sicuro, le stelle nell’universo sono migliaia di miliardi di miliardi ovvero un numero sterminato.

Stiamo ora scoprendo anche un gran numero di pianeti, sia giganti, sia delle dimensioni del nostro. Sembrerebbe quindi che la formazione di un sistema planetario attorno a una stella sia più la norma, che non l’eccezione.

Inoltre, i meccanismi con cui si forma la vita non sembrerebbero poi così irripetibili e rari, anche se non abbiamo ancora prove concrete e sperimentali di questo. Forse questo è il punto debole dell’intero ragionamento che segue.

Con un così gran numero di mondi, parrebbe, anzi, strano che su molti di loro la vita non si sia sviluppata. Vogliamo immaginare che nella nostra galassia possano esserci, per esempio, 50 miliardi di pianeti simili al nostro? Probabilmente, anche alla luce della scoperta del sistema di Trappist-1, sono molti di più, ma accontentiamoci di questa stima. Possibile che a parità di condizioni di elementi, temperatura e atmosfera, la vita non si sia sviluppata almeno sull’1% ovvero su mezzo miliardo di pianeti?

Se i processi evoluti seguono le stesse regole che conosciamo qui, su almeno l’1% di questi mondi, non potremmo aspettarci, che, in un dato periodo, si sviluppi una razza con un’intelligenza confrontabile con la nostra? Sarebbero 5 milioni di mondi e sono stime al ribasso. 5 milioni solo nella nostra galassia. Da moltiplicarsi per il numero delle galassie, per 2.000 miliardi, magari. Ovvero 10 miliardi di miliardi di civiltà aliene!

Insomma, sembrerebbe che l’universo sia alquanto affollato di razze intelligenti. Perché non le abbiamo ancora incontrate? Forse semplicemente perché il limite della velocità della luce è davvero insuperabile e per raggiungere la stella più vicina a questa tecnologicamente improbabile velocità ci vogliono 4,367 anni. Figuriamoci le stelle più lontane o altre galassie. Da Andromeda, la più vicina, ci separano 2.537.000 anni luce. Tornando indietro di tanto tempo, ancora eravamo poco più che scimmie!

Comunque la nostra tecnologia è ancora ben lontana da queste velocità. Lo Space Shuttle viaggiava a 29.000 km orari. New Horizon, nel suo viaggio verso Plutone ha toccato 58.338 km orari e la sonda Juno ha viaggiato a 265.000 km orari. Velocissime, eppure la luce viaggia a 299.792.458 metri al secondo ovvero 1.079.252.848,8 km orari. Insomma, siamo ancora piuttosto lenti ed è probabile che questo valga anche per altre civiltà.

Ci sono, però, le trasmissioni radio, televisive e altri tipi di onde che il nostro pianeta emette ormai da vari decenni. Si pensa che lo stesso dovrebbero fare varie altre civiltà.

Stiamo cercando questi segnali. Per esempio, il SETI, acronimo di Search for Extra-Terrestrial Intelligence, è un programma, iniziato negli anni ’60 del secolo scorso, dedicato alla ricerca della vita intelligente extraterrestre, abbastanza evoluta da poter inviare segnali radio nel cosmo. Il programma si occupa anche di inviare segnali della nostra presenza a eventuali altre civiltà in grado di captarli.

A eccezione del “segnale Wow!” del 1977, gli esperimenti SETI condotti fino ad ora non hanno rilevato nulla che possa somigliare a un segnale di comunicazione interstellare. Per dirla con le parole di Frank Drake, del SETI Institute: “Ciò di cui siamo certi è che il cielo non è ingombro di potenti trasmettitori a microonde”.

Tra gennaio e febbraio 2011, il SETI segnala però la ricezione di 2 segnali “non naturali” e “di probabile origine extraterrestre”, puntando le antenne su 50 candidati pianeti scoperti pochi mesi prima dalla Missione Kepler. Non essendosi più ripetuti i segnali, si suppone che fossero dovuti a interferenze terrestri. Tuttavia il SETI continuerà a osservare quella regione di cielo su altre frequenze radio.

Il fisico Enrico Fermi osservò nel 1950 che se ci fosse una civiltà interstellare, la sua presenza ci sarebbe evidente. Ciò è noto come il paradosso di Fermi.

E qui vengo al punto: forse Fermi aveva ragione. Se ci fosse una civiltà “tecnologica”, dovremmo già aver colto segnali della sua esistenza. Forse non ci sono altre civiltà “tecnologiche”. Forse altre razze intelligenti hanno capito che la tecnologia non è la strada corretta per il bene della propria specie e del proprio mondo.

C’è, però, un altro fattore da considerare: il tempo. Da quanto l’uomo è in grado di trasmettere e ricevere segnali radio? In termini di vita dell’universo, da un istante appena.

Se immaginiamo che l’intera esistenza dell’universo dall’inizio a oggi sia racchiusa in un anno terrestre, vedremmo che le prime forme di vita sono comparse solo qualche giorno dopo l’equinozio di primavera e che il sistema di calcolo occidentale che si basa su ciò che avvenne prima e dopo la presunta nascita di Cristo prevede come anno 1 qualcosa che è accaduto un paio di minuti prima del nuovo anno (ore 23,59,54 del 31 dicembre). Dunque 2016 anni reali terrestri corrispondono agli ultimi 6 secondi di vita dell’universo in questa scala che la ricomprende tutta in un solo anno. Da quanto tempo c’è la radio? Gli esperimenti di Tesla e di Marconi sono del 1891 e 1895. Nel 1901, Marconi rivendicò di aver ricevuto segnali transatlantici in radiofrequenza. In quel periodo, certo non stavamo inondando il cosmo di segnali, ma immaginiamo il 1901 come momento iniziale. 115 anni su 2016 ovvero il 5,70% di tale periodo, cioè il 5,70% dei 6 secondi finali del nostro anno cosmico immaginario, dunque 0,34 secondi.

Bene. Provate a telefonare, sul fisso, a qualcuno che sta in casa sua solo 0,34 secondi all’anno! Che probabilità avreste che vi risponda?

Beh, però, a noi non interessa parlare proprio con quel dato signore. A noi basterebbe parlare con uno dei 5 milioni di individui (le presunte civiltà della nostra galassia di cui sopra). Anche così, però, le nostre probabilità sarebbero piuttosto ridotte: 19,81 giorni all’anno. Ammesso che ogni civiltà abbia trasmesso per gli ultimi 0,34 secondi di questo anno immaginario e che ciascuna l’abbia fatto in momenti diversi, avremmo solo una ventina di giorni su 365 in cui trovare qualcuno, uno chiunque dei nostri 5 milioni di vicini della galassia, in casa! Magari però molti erano a casa nello stesso momento, in un periodo in cui noi non li stiamo cercando.

Forse è per questo che ancora non abbiamo colto segnali della loro presenza.

Ma scusa, direte voi, ti stai sbagliando del tutto. È vero che abbiamo la radio solo da poco più di un secolo, ma probabilmente continueremo a trasmettere ancora per centinaia e centinaia di anni, magari per migliaia o milioni di anni. Se anche le altre civiltà lo fanno, allora sarebbe assai più facile sentirli.

Avete ragione. Dovrebbe essere così. Ma perché non li sentiamo?

Forse la risposta è molto semplice. Il conteggio di prima non è poi così sbagliato. Magari i “giorni cosmici” non saranno 20, ma 40, ma più o meno è così.

In che senso? Nel senso che la nostra civiltà magari ha davanti a sé solo un altro secolo prima di collassare e che lo stesso vale per le altre civiltà che hanno fatto l’errore evolutivo di creare una civiltà tecnologica. Insomma, su questi 5 milioni di mondi, le civiltà tecnologiche non durano a lungo!

Personalmente amo la scienza e la tecnologia e sono affascinato dai loro risultati, ma siamo sicuri che non ci stiano portando in una via senza uscita?

L’avere reso la vita più facile e lunga a tanti miliardi di persone parrebbe un bene, ma che effetti ha sul pianeta? Che effetti ha sulle risorse grazie alle quali la nostra razza (e le altre della Terra) si sostentano? Non sarà che tanta tecnologia sta esaurendo il nostro pianeta e che ci sta scavando un baratro sotto i piedi? Non può essere che presto la civiltà tecnologica che ha caratterizzato gli ultimi due secoli della nostra storia si esaurisca?

Segnali in tal senso non mancherebbero solo guardando il nostro mondo, ma non è di questi che voglio parlare ora. La conclusione che la nostra civiltà possa essere prossima alla fine, potrebbe derivare proprio dalla risposta al quesito: se ci sono tante stelle e tanti pianeti nell’universo e, probabilmente, tante razze evolute, perché non ne scorgiamo le tracce? La risposta è, magari, che forse

Radiotelescopio di Arecibo

l’anomalia della Terra esiste davvero. Per secoli abbiamo creduto nella centralità del nostro pianeta e nella nostra superiorità. Forse ragionando così commetto, al contrario lo stesso errore di geocentrismo, ma il quesito che mi pongo è: non sarà che la nostra è una delle razze “evolute” più stupide della galassia? Non è che l’umanità è davvero un errore evolutivo, un cancro di questo pianeta da cui la maggior parte degli altri mondi è esente o che ha già guarito. Non sarà che sulla Terra l’evoluzione ha preso la strada sbagliata?

In passato, mi dicevo che il senso “evolutivo” di una razza tanto dannosa come la nostra, che ha depauperato e devastato l’ambiente, ridotto la biodiversità assassinando intere specie animali e vegetali, portate all’estinzione totale, fosse nella tecnologia.

Credevo, e vorrei poter credere ancora, che se l’uomo esiste, secondo una logica evolutiva, è per portare la vita dove ora non c’è. Se la vita ha potuto tollerare che migliaia di specie fossero distrutte dalla nostra, deve essere perché così l’evoluzione può coprire nuovi spazi finora non raggiunti.

Lo scopo dell’umanità è il viaggio spaziale e la terraformazione di altri mondi, la trasformazione di pianeti sterili in mondi vitali.

Certo questo non è un compito solo della nostra razza. Dovrebbe esserlo almeno per altri 5 milioni di razze nella galassia. Magari solo una minima parte di loro ci riuscirà, ma è questo il senso della tecnologia e di razze come la nostra.

Eppure intorno a noi c’è solo il silenzio. Eppure sembra, ogni anno di più, che questa galassia sia priva d’intelligenza tecnologica.

Più lo spazio attorno a noi si riempie di stelle e di mondi, più ci appare vuoto e più sembriamo soli. Più sembriamo un errore. Più sembriamo la più sciocca delle razze senzienti del cosmo.

Firenze, 04/12/2016- 25/02/2017

CARLO MENZINGER DI PREUSSENTHAL

Carlo Menzinger di Preussenthal, nato a Roma il 3 gennaio 1964, vive a Firenze, dove lavora nel project finance. Ama scrivere storie e ha pubblicato varie opere tra cui i romanzi ucronici “Il Colombo divergente”, “Giovanna e l’angelo”, i thriller “La bambina dei sogni” e “Ansia assassina”, i romanzi di fantascienza del ciclo “Jacopo Flammer e i Guardiani dell’Ucronia” e il romanzo gotico – gallery novel “Il Settimo Plenilunio”. Ha curato alcune antologie, tra cui “Ucronie per il terzo millennio” e pubblicato su riviste e siti web.

Il suo sito è www.menzinger.it (https://sites.google.com/site/carlomenzinger/)

Il suo blog è https://carlomenzinger.wordpress.com/

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