Racconto pubblicato su IUA n° 8, Anno III, Settembre 2016

cannetoA conclusione del pranzo se ne stavano tutti sazi sulle loro sedie, allentando la cintura dei pantaloni. Sui tavoli la tovaglia bianca era macchiata dai sughi e dal vino. Rimanevano disordinati i piatti del dolce affiancati dai tovaglioli stropicciati. Una parte della colomba pasquale avanzava e andava a braccetto con i bicchieri vuoti del vin santo appena sorseggiato. Nell’attesa del caffè i parenti così riuniti si scambiavano pareri, ricordando i tempi della giovinezza. Sono in piedi a sgranchirmi le gambe con Marco, così lo incito a uscire fuori in cortile con me, gli rivolgo la parola e gli dico: ” Vieni fuori a giocare con me?”. “Sì, andiamo” mi risponde. Per un po’ giochiamo a rincorrerci poi improvvisamente mi abbandona e così mi trovo da solo, in quell’ampia aia del convento. Incomincio così a vagare, con i vestiti della festa: camicia bianca e pantaloni corti. Prima passo per la stalla ad infastidire con un ramo le bianche vacche maremmane dalle lunghe corna; poi entro nella cappella dei frati che è zeppa di fieno. Ad un lato osservo l’epigrafe con l’elenco dei frati morti di vecchiaia. C’è una forca appoggiata al muro, scorgo e raccolgo l’uovo ad una gallina, ne spacco la punta e me lo bevo, assaporo il forte gusto di freschino che mi invade il palato e mi soddisfa. Aggiro la stalla dove il cavallo, al mio arrivo, nitrisce. Il ferro reclinato della meridiana segna l’ora del tardo pomeriggio. Sotto, il canneto di bambù, di fronte l’ampia aia in pietra per l’antica battitura del frumento, il letamaio, un fico e un noce. Poi campi su campi, delimitati da file di viti, e coltivazioni di erba medica e patate in fiore. All’orizzonte, oltre la pianura pratese, si stagliava d’azzurro la catena montuosa della Retaia dove a fronte scorre il fiume Bisenzio, che confluisce nell’Arno e poi attraversa la magica Firenze.

Così mi ritrovo solo a giocare infilandomi tra le canne di bambù.

Vorrei giocare con qualcuno, ma non c’è nessuno! Vorrei tanto prendere in braccio e coccolare una di quelle belle paperelle che scorrazzano libere. Le inseguo, ma poi loro scappano veloci nel canneto. Penso: “Come faccio ad acchiapparne almeno una? Il mio braccio è corto! Per afferrarla mi serve un braccio più lungo! Quello che ci vuole è una canna di bambù!”. Ne trovo una già tagliata, ma è pesante, la tengo su a fatica, barcollo, tenendola a stento orizzontale al terreno come un pescatore. La allungo di qua e di là, mentre il gruppo di papere scappa spaventato. Sono irritato e irrimediabilmente aggressivo, alzo la canna sopra la testa del pennuto e faccio per calarla per fermarlo; ma la gravità è pesante e gli arriva giù in testa come una mazzata…   Quel corpicino, ora è immobile mentre le altre sono già tutte scappate starnazzando. Non si muove, mi avvicino lentamente, mi piego in ginocchio, cerco di rianimarlo tenendogli su la testa ma ha la testa che gli ciondola, gli occhi sono chiusi anche se il corpo è ancora caldo. Mi rendo conto di aver combinato un guaio e di averla uccisa, piango, e mi sembra di essere Caino con Abele. Per quel piccolo amico così cercato, mi sento colpevole per quella morte così inaspettata.   Immagino la sgridata a cui sarei stato sottoposto ma mi guardo in giro. Non c’è nessuno che mi ha visto, posso passarla liscia se nascondo bene il corpo. Mi affretto a seppellirla senza neanche una cerimonia. Sotto il fitto fogliame secco delle canne, sarà cosi impossibile scorgerla. E mi avvio con aria spavalda verso la sala da pranzo. Ma poi ci ripenso, le gambe s’irrigidiscono, il fiato è corto, sento il cuore che mi pulsa sotto le costole e torno indietro sui miei passi.   Guardo il prato verde e osservo che il carro agricolo trainato dal cavallo con le ruote di legno con i cerchioni in ferro avevano solcato parallelamente il terreno. Eravamo passati in quel luogo prima del pranzo, in allegria, guidati dalle robuste braccia del nonnino, che con disinvoltura ed il sorriso in bocca, aizzava con le briglie il cavallo al rientro, verso l’aia. “Un diavoletto soffia prudentemente sulla stoppa”. L’orecchio ascolta e mi illumino della luce fatua dell’inferno parlando a me stesso: “se mettessi la paperella tra quei solchi, potrei accusare il nonnino di averla schiacciata mentre passavamo e accidentalmente uccisa, con le ruote del carro”. Poi l’intenso cigolare provocato delle ruote in legno lo avrebbe distratto dall’incidente.

Mi sembra una buona idea! Anzi un’ottima idea! E mi sento sicuro e rinfrancato; faccio un respiro profondo e mi incammino spavaldo. Poi ci ripenso, torno sui miei passi e raccolgo quel corpicino; e lo schiaccio nel solco, dando pressione al piede per simulare meglio l’accaduto. Per un momento sono sicuro di ciò che ho fatto, ma poi mi viene su un magone da orbi e mi sembra di aver combinato un guaio ancor più grande. Lungo il breve tragitto di ritorno, percepisco occhi che mi osservano da tutte le parti. Entro in casa e la mamma e tutti quanti si accorgono che c’è qualcosa d’insolito in me. In effetti, mi sento addosso un’aria strana, e mi atteggio a dare prova di candida innocenza. Gli adulti percepiscono qualcosa e mi osservano con occhi ampi, come il giudice con Pinocchio. Immediatamente una brillante idea mi balena nella mente come a voler affermare con l’assunto che dice: “ l’assassino torna sempre sul luogo del delitto”. E racconto che, capitando per caso sull’aia, avevo visto quella povera bestiola schiacciata dal carro. Il nonnino mi guarda imbarazzato, e tutti mi guardano increduli. Si mette una mano sulla bocca quasi a nascondere con un mezzo sorriso una delusione che scorrendo come un fiume in piena dai suoi occhi mi falcia di netto le gambe, poi dice: “Non è costì possibile!” Dopo un attimo di esitazione, ribadisco: “Andiamo là sull’aia che vi faccio vedere!” Ci alziamo dalle sedie e ci incamminiamo verso il canneto seguito dai miei, sento che qualcuno sogghigna alle mie spalle, dicendo: “Ma chi se lo aspettava dal Robertino?” M’irrito ma mantengo forte la parte stringendo i pugni. Siamo giunti nel luogo del delitto. Pietro è in piedi che guarda dall’alto l’anatra, poi mi osserva con un’aria di compatimento e dice: ” non è per la povera bestiola, ma cosa ti ho fatto per accusarmi in questo modo?” Anche papà mi guarda con aria severa e dice: “Faremo i conti a casa.”

Crollo, mi sento meno di niente, frigno accenno a delle scuse, e balbettando dico: ” Non l’ho fatto apposta. Volevo abbracciare la paperella, ma lei fuggiva, la canna, la morte.” Tiziana mi guarda e dice: “Ma Roberto come hai potuto farlo?” Mi sento sprofondare nel fango fino alla testa. Poi la zia leli, la giovane fidanzata dello zio Aldo sdrammatizza: “Ma è solo un bambino!“ e teneramente mi abbraccia, stringendomi al suo petto. Anche il nonnino sorride e dice: “Ma sì costi è solo un bambino”. Mi rinfranco!   E sorrido, mi sento già meglio confortato dai grandi seni turgidi della zia, in cui affondo la testa.

In pochi attimi, sono cresciuto poco poco, come il naso di Pinocchio. Dicono che la crescita corporea sia impercettibile e costante; anche la bontà accompagnata a braccetto dalla cattiveria cammina scambiandosi battute divertenti, lungo i sentieri della vita dove la propria ombra cammina libera.

Roberto Zeloni

(Un toscano socio dell’Associazione dei Toscani in Friuli Venezia Giulia)

Dati anagrafici. Roberto Zeloni – nato il 30.10.1956

Abitante a Udine in Via Liguria 245

tel, 0432/565117 cell. 3208306824

mail nautilus1956@yahoo.it

Curriculum.

Ho incominciato a scrivere racconti da tre anni.

Assieme ad altri sette scrittori, nel 2015 ho pubblicato

Sorprendenti storie di nonni. Fra ottocento e novecento.

stampa a cura di arti grafiche manzanese.

Alcune copie sono depositate presso l’archivio di stato di Udine

e le biblioteche comunali di Udine e Tavagnacco.

Ho altresì pubblicato in formato e-book il racconto Fiori di Gardenia.

Ho partecipato a diversi concorsi letterari.

Share Button
Please follow and like us:

CC BY-NC-ND 4.0 Il Canneto by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.