Articolo pubblicato su IUA n° 3, Anno V, Marzo 2018

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Di Dragons flight at the English language Wikipedia, CC BY-SA 3.0, Collegamento

È vero che è già iniziata una grande estinzione di massa che sta portando alla scomparsa di elevate percentuali delle specie viventi sul nostro pianeta?

È vero che la causa di questo disastro è l’attività dell’uomo? Potremo sopravvivere alla Sesta Estinzione di Massa?

Le estinzioni di massa sono fenomeni che hanno interessato il nostro pianeta anche prima della comparsa dell’uomo. Per cinque volte la Terra e la Vita sono sopravvissute, pur attraverso grandi cambiamenti. Se è vero che è iniziata la Sesta Estinzione di Massa, possiamo, se non altro cominciare a ragionarne con un pizzico di “ottimismo”: magari l’umanità scomparirà dal pianeta, ma non è detto che questo si riduca per sempre a un deserto desolato. Non vi sembra molto ottimistico. Bene. Allora è tempo di ragionare su quali scenari si stiano prospettando, perché ce ne potrebbero essere anche di peggiori. Per quel che posso, nel seguente articolo, vorrei cominciare una riflessione che altri più autorevoli e qualificati di me spero possano riprendere e approfondire.

Le estinzioni di massa sono anche dette “transizioni biotiche” e sono periodi geologicamente brevi durante i quali si assiste a un massiccio sovvertimento dell’ecosistema terrestre, con scomparsa di un grande numero di specie viventi e, sinora, sopravvivenza di altre che divengono dominanti.

È chiaro a tutti che cosa intendiamo con “specie”?

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Di University of Konstanz – Meyer A. (2005). “On the Importance of Being Ernst Mayr”. PLoS Biology 3 (5): e152. DOI:10.1371/journal.pbio.0030152., CC BY 2.5, Collegamento

Che cosa vuol dire che una specie si sta estinguendo? Il concetto di specie è alla base della classificazione degli organismi viventi, trattandosi del livello tassonomico obbligatorio gerarchicamente più basso. Secondo Mayr (1983): «Una specie è una comunità riproduttiva di popolazioni, riproduttivamente isolata dalle altre, che in natura occupa una nicchia specifica». Le specie sono poi raggruppate in generi e i generi in famiglie. I raggruppamenti successivi sono: ordini, classi, phylum, regno e dominio.

Per intenderci, noi siamo la specie Homo Sapiens, unico rappresentante vivente del genere Homo, appartenente all’ordine degli ominidi, che fa parte della famiglia dei primati (assieme a scimpanzé, gorilla e altri). Quando si dice che una specie si è estinta, credo sia utile immaginare che quella specie potrebbe essere la nostra e che quindi sia come dire che tutti gli esseri umani siano spariti. Forse parlare della fine dell’homo sapiens fa più effetto che dire che i dodo si sono estinti.

Per individuare una transizione biotica, occorre valutare il tasso di estinzione, che è dato dal numero di famiglie biologiche di invertebrati e vertebrati estinte in ogni milione di anni.

Nella vita del pianeta si stima che tale tasso sia di solito intorno a 2-5 famiglie. Fanno eccezione cinque grandi picchi di estinzione, definiti appunto “estinzione di massa”. Alcuni studiosi sostengono che sia in corso la sesta.

In epoca preistorica si estinguevano tra 100 e 1.000 specie di mammiferi ogni millennio. I mammiferi estinti in epoca storica sono stati circa 90.000 per millennio. Le stime per il futuro sono di tassi di estinzione (per tutte le specie) tra i 1 milione e i 12 milioni per millennio (ovvero da grande Estinzione di Massa).

Con la Prima Estinzione di Massa, circa 450 milioni di anni fa, si stima che scomparve circa l’85% delle specie allora esistenti. Con la Seconda, 375 milioni di anni fa, l’82%. Con La Terza, 250 milioni di anni fa, il 96% delle specie marine e il 50% delle famiglie animali. Con la Quarta, 200 milioni di anni fa, si estinse il 76% delle specie viventi.

Infine, con la Quinta, 65 milioni di anni fa, scomparve il 75% delle specie viventi, compresi i dinosauri.

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Di Julian Fong – Carnatosaurus Uploaded by FunkMonk, CC BY-SA 2.0, Collegamento

Ogni transizione biotica determina una drammatica e drastica perdita di biodiversità (che rende la vita sul pianeta ancor più vulnerabile). Per ritornare al livello di biodiversità del passato sono serviti sempre parecchi milioni di anni. Se è vero che, in passato, la vita ha sempre prevalso, la strada è stata lunga. Davvero lunga. Gli ominidi, per esempio, si sono separati dagli scimpanzé circa 4-6 milioni di anni fa. Il primo Homo compare 2 milioni di anni fa. L’Homo sapiens circa 200.000 anni fa. Sembra che in media, ogni specie di vertebrati dia origine a una nuova specie una volta ogni 10 milioni di anni. Distruggere una specie può essere questione di pochi anni, ricrearne una nuova è tutt’altra questione.

Alcuni ricercatori sostengono che le estinzioni possono essere sostenute dagli ecosistemi fino ad un certo punto, poi si ha il collasso senza possibilità di ritorno, anche se per ogni ecosistema non si conosce quale sia il punto di non ritorno. “Quel che è certo – dice Stuart Pimm della Duke University a Durham (che ha sostenuto nel 2014 una stima del tasso di estinzione pari a 1.000 volte quello naturale) – è che le estinzioni ad un tasso 1.000 volte superiore a quello naturale non possono essere sostenute a lungo da tutti gli ecosistemi noti”.

Ancora non abbiamo tassi di estinzione storici tali da dire che la Sesta Estinzione di Massa sia davvero iniziata, ma non mancano analisi che indicano che questa sia la direzione che stiamo prendendo.

Due studi inglesi del 2004, per esempio, sembrerebbero supportare l’ipotesi dell’avvio della Sesta Estinzione di Massa. La differenza rispetto alle precedenti transizioni è che questa volta la colpa sarebbe di una specie animale: l’homo sapiens. Noi.

La sesta estinzione – Fonte della fotografia: https://www.uaar.it/uaar/ateo/archivio/106/verso-sesta-estinzione-massa/

Jeremy Thomas, direttore del centro per l’ecologia di Dorset in Inghilterra, che ha condotto uno di questi studi, ha analizzato le informazioni relative a uccelli, piante e farfalle inglesi degli ultimi 40 anni, raccolte attraverso i dati di oltre 20.000 naturalisti. Da quest’analisi emergerebbe che il 71% delle specie di farfalle sono drasticamente diminuite negli ultimi 20 anni. Lo stesso è avvenuto per il 54% degli uccelli e il 28% delle piante studiate. Due specie di farfalle e sei di uccelli si sarebbero completamente estinti. Chi come me ha superato la cinquantina forse ricorderà, anche da noi in Italia, quante farfalle c’erano quando eravamo bambini. Dove sono finite?

Secondo Thomas, il declino della popolazione è uniforme in tutta l’Inghilterra e sembrerebbe causato dalla perdita di un habitat in cui non interagiscano l’attività dell’uomo e, in particolare, l’inquinamento.

Secondo l’altro studio, l’inquinamento da azoto starebbe provocando la riduzione del numero di specie. Il suolo inglese (e quello dell’Europa centrale) ricevono una media di 17 chilogrammi di composti d’azoto per ettaro all’anno. Troppi per i ricercatori che mettono in guardia: potrebbero uccidere il 20% delle specie di piante erbose.

Avete mai sentito parlare delle “zone morte” dell’Oceano? Sono quelle in cui manca l’ossigeno. Sono determinate dal nostro impiego di fertilizzanti, visto che l’azoto usato nei campi finisce nei fiumi e da lì in mare.

Secondo uno studio pubblicato nel 2015 su Science Advances e riportato da National Geographic, l’attuale tasso di estinzione sarebbe di circa 100 volte più elevato del normale (ma come vedremo ci sono stime assai più pessimistiche). E questo tenendo conto solamente di quel tipo di specie che conosciamo bene. Gli oceani e le foreste ospitano un numero inimmaginabile di altre specie, molte delle quali probabilmente scompariranno prima ancora di essere state descritte.

Copertina del libro di Elizabeh Kolbert “La sesta estinzione”

Secondo Elizabeth Kolbert, autrice del saggio “La sesta estinzione”, almeno i tre quarti delle specie animali potrebbero essere estinte nel giro di poche generazioni umane. Secondo quanto riporta la Kolbert, già nel 1500 il tasso di estinzione era molto elevato e nel tempo non ha fatto che peggiorare. Per la studiosa sarebbe sicuro che “viviamo in un momento storico in cui il tasso di estinzione è estremamente elevato, proprio nell’ordine in cui si verifica una perdita di specie in un’estinzione di massa”.

Parrebbe incontrovertibile che davvero pochissime estinzioni dell’ultimo secolo (forse nessuna) si sarebbero verificare in assenza di attività umane. Insomma, finora la causa delle estinzioni siamo noi.

La Kolbert individua così le cause di questa perdita di biodiversità: “Abbiamo cacciato, abbiamo importato specie invasive e ora stiamo modificando il clima molto, molto rapidamente se ci si basa su standard geologici. Inoltre abbiamo cambiato la chimica di tutti gli oceani e plasmato a nostro piacimento la superficie del pianeta. Tagliamo foreste e insistiamo con la monocoltura, nociva per molte specie. Peschiamo selvaggiamente. La lista potrebbe continuare all’infinito.”

La Kolbert si chiede, e noi con lei, se possano oltre 7 miliardi di persone (che presto saranno otto e poi nove) convivere su questo pianeta con tutte le specie che lo abitano ora.

Anche secondo un gruppo di ricercatori del MIT di Boston, sarebbe già iniziata la lenta scomparsa di specie animali e vegetali e la scadenza per la Sesta Estinzione di Massa sarebbe il 2100. Le cause individuate sarebbero principalmente l’inquinamento e le emissioni di CO2 nocive per l’ambiente.

Lo studio, pubblicato sulla rivista “Science Advances” e condotto presso il Lorenz Center del MIT, è basato su modelli matematici: gli studiosi hanno preso in esame le cinque precedenti estinzioni. Il professor Daniel Rothman, che co-dirige il Centro, ha ipotizzato che le alterazioni nel ciclo naturale del carbonio nell’atmosfera, negli oceani, nella vita di piante e animali abbiano giocato un ruolo determinante nella scomparsa massiccia delle varie forme viventi.

Il professor Rothman ha riscontrato che quattro su cinque delle estinzioni di massa passate si sono avute quando le emissioni di CO2 nell’atmosfera hanno superato una certa soglia.

In realtà le ipotesi sulle cause delle precedenti Estinzioni di Massa sono le più disparate, anche se questo potrebbe essere vero, in particolare, per la Terza grande estinzione, del permiano-triassico (250 milioni di anni fa): a seguito di un periodo di intenso vulcanismo, la percentuale di anidride carbonica presente in atmosfera potrebbe essere aumentata oltre un valore limite stimato in 1.000 ppm. In conseguenza di ciò, il chemioclino (zona di equilibrio tra acque sature d’acido e ricche d’ossigeno) avrebbe lambito la superficie oceanica, rendendo di fatto anossico (privo di ossigeno) il mare e liberando tremende bolle di gas venefico su tutto il pianeta. Il gas avrebbe avuto in seguito effetti deleteri anche sullo scudo dell’ozono.

Al termine del Triassico (200 milioni di anni fa), la temperatura salì di circa 5 gradi Celsius. Tra le cause proposte per spiegare questa Quarta estinzione, oltre a impatti di corpi extraterrestri, ricordiamo variazioni climatiche verso una crescente aridità, variazioni del livello del mare e diffusa anossia dei fondi marini a causa della divisione di Pangea o, con l’ultima ipotesi in ordine di tempo, rilascio di grandi quantità di metano dal fondo degli oceani, come suggerirebbe una recente ricerca sviluppata da Antony Cohen e colleghi della Open University.

La causa della Quinta Estinzione rimase un mistero a cui si diedero le spiegazioni più diverse e assurde, finché, nel 1980, il premio Nobel per la fisica Luis Alvarez, suo figlio Walter e Frank Asaro misurarono in alcuni livelli geologici risalenti al limite K-T (abbreviazione per Cretaceo-Terziario), campionati vicino a Gubbio, la presenza di una concentrazione insolita di iridio, un elemento chimico piuttosto raro sulla Terra, ma comune nelle meteoriti. Si avanzò pertanto l’ipotesi che l’estinzione di massa fosse stata provocata dall’urto con un meteorite.

Le specie, di solito, non scompaiono all’improvviso. Ci sono dei segnali che ne annunciano la fine, innanzitutto la riduzione della numerosità della sua popolazione. I segnali in tal senso, purtroppo, sono molteplici.

Secondo una ricerca sulla rivista scientifica Pnas e condotto da tre biologi dell’università di Stanford, il numero di animali che ci circonda in poco più di un secolo (dal 1900 al 2015) si sarebbe dimezzato.

I ricercatori hanno analizzato la distribuzione geografica di 27.600 specie di vertebrati. A cui hanno aggiunto i dati dettagliati di un campione di 177 esemplari di mammiferi, ben studiati, dal 1900 al 2015. Utilizzando la riduzione dei luoghi in cui si possono trovare questi animali sono arrivati alla conclusione che “il calo demografico è estremamente alto, anche nelle specie considerate a basso rischio”. In particolare, i risultati mostrano che più del 30% dei vertebrati è in declino, sia in termini di dimensioni sia di distribuzione geografica. Dei 177 mammiferi presi in considerazione, tutti hanno perso almeno il 30% delle loro aeree di residenza, mentre oltre il 40% ne ha abbandonato più dell’80%.

Il fenomeno del depauperamento progressivo di popolazione e areali dei vertebrati viene descritto dagli autori come un “annichilimento biologico” e conferma il possibile avvio della Sesta Estinzione di Massa della storia della Terra.

Secondo quanto riportato sulla rivista “Le scienze”, sotto accusa sono la perdita di habitat, la diffusione di organismi invasivi, l’inquinamento, la dispersione di sostanze tossiche e il cambiamento climatico.

Secondo i dati raccolti dal Wwf nel mondo le popolazioni di pesci, uccelli, mammiferi, anfibi e rettili si sono ridotte del 58% tra il 1970 e il 2012 ed entro il 2020 la popolazione globale di specie animali e vegetali potrebbe crollare del 67%. Un importante indicatore delle condizioni ecologiche del pianeta è, infatti, l’Indice del pianeta vivente (Living Planet Index) che misura lo stato della biodiversità attraverso i dati sulle popolazioni di varie specie di vertebrati. L’indice si basa su dati scientifici ottenuti da 14.152 popolazioni monitorate di 3.706 specie di vertebrati (mammiferi, uccelli, pesci, anfibi, rettili) provenienti da tutto il mondo. “Dal 1970 al 2012 – rileva il report – questo indice mostra un calo complessivo del 58% dell’abbondanza delle popolazioni dei vertebrati”. I dati, inoltre, mostrano un calo annuo del 2% e non vi è ancora alcun segno che questo tasso possa diminuire. Negli ultimi 4 decenni le popolazioni terrestri sono diminuite complessivamente del 38%, le specie di acqua dolce dell’81%, mentre l’indice ‘marino’ delle specie mostra per lo stesso periodo un calo complessivo del 36%. Sia chiaro che qui parliamo della numerosità degli individui che compongono le specie, non della riduzione del numero delle specie. Più, però, una popolazione animale o vegetale si riduce, più diventa a rischio di estinzione.

Lista Rossa IUCN (in inglese: IUCN Red List of Threatened Species, IUCN Red List o Red Data List) è stata istituita nel 1948 e rappresenta il più ampio database di informazioni sullo stato di conservazione delle specie animali e vegetali di tutto il globo terrestre. I dati tecnici e scientifici sono raccolti e analizzati da una grande quantità di esperti (circa 7.500 in tutto il mondo), generalmente scienziati o esperti nei vari ambiti della zoologia, della botanica o altre discipline affini. La Lista Rossa del 2006, valutava 40.168 specie complessivamente. Delle specie valutate nel complesso, 16.118 sono risultate minacciate: di esse 7.725 erano animali, 8.390 erano piante e 3 erano funghi e licheni. Questa lista riportava anche le 784 estinzioni di specie registrate dal “CE 1500”, che dal suo rilascio nel 2004 era rimasto invariato, anche se un incremento si era già verificato rispetto al rilascio del 2000, in cui si enumeravano le estinzioni di 766 specie. Questi dati seppure attendibili non sono assoluti, poiché può accadere che una piccola percentuale di specie considerate estinte venga “riscoperta” come ancora in via di estinzione, o sia dichiarata come non classificabile in mancanza di dati.

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Di Umberto NURS – Questo file deriva da IUCN Red List 2007.svg: , Pubblico dominio, Collegamento

Inoltre, il numero di specie estinte riguarda solo il campione sotto osservazione, 40.168 specie nel 2006, assai poche rispetto ai 2-9 milioni di specie esistenti. Di conseguenza anche le estinzioni registrate non mi pare si possa considerare un valore indicativo delle estinzioni effettive. Caso mai sarei tentato di fare una proporzione tra le 40.168 allora sotto monitoraggio, sommando quelle già estinte (784) e valutando così che 784 specie su 40.952 si sarebbero estinte, ovvero lo 1,91%. Circa il 2%. Se potessimo applicare questa percentuale a, mettiamo, 2 milioni di specie esistenti, avremmo 40.000 specie estinte! Sarebbe un numero esagerato? Spero di sì.

La Lista Rossa IUCN del 2012 ha valutato un totale di 63.837 specie delle quali 19.817 sono ritenute sotto minaccia di estinzione, 3.947 sono descritte come “critically endangered”, 5.766 come “endangered”, mentre più di 10.000 specie sono elencate come “vulnerabili”. Sotto minaccia sono il 41% delle specie anfibie, il 33% dei coralli delle barriere coralline, 30% delle conifere, 25% dei mammiferi, e 13% degli uccelli. Non si saranno ancora estinte, ma le specie a rischio sono davvero troppe.

Un articolo del Corriere della Sera del 21/03/2006, che faceva riferimento alla Lista Rossa compilata dall’Onu, indicava che almeno 844 specie di animali e piante sarebbero «sparite» negli ultimi 500 anni, dal dodo, l’uccello delle isole Mauritius, al rospo dorato della Costa Rica. Sempre secondo tale articolo, si calcola che attualmente il tasso di estinzione sia mille volte più veloce di quello storico (secondo Science Advance citato prima sarebbe invece solo 100 volte superiore).

Mentre in natura (cioè in assenza di effetti antropici) scompaiono da una a cinque specie ogni anno, gli scienziati del Centro per la Biodiversità, a quanto si legge su Lettera43, stimano che ora si stia viaggiando su ritmi da 1.000 a 10 mila volte superiori, con dozzine di specie estinte al giorno. Andando avanti così, nei prossimi 50 anni, potrebbero scomparire dal 30 al 50% delle specie attualmente esistenti.

Su un articolo del 2013 de La Stampa, che riportava il primo rapporto Wwf sulla biodiversità in Italia e nel mondo, realizzato con il contributo della Società Italiana di Ecologia, si leggeva che viviamo su un pianeta abitato da circa 5 milioni di specie animali e vegetali, con 18.000 nuove specie di piante e animali descritte ogni anno e 49 scoperte al giorno negli angoli più remoti del pianeta. Lo stesso articolo evidenziava allo stesso tempo un tasso di estinzione dovuto alle attività umane di 1.000 volte superiore al tasso di estinzione naturale, con popolazioni di vertebrati diminuite di un terzo negli ultimi quarant’anni. L’«impronta» fisica dell’uomo sul pianeta sarebbe pari a quasi il 50% di tutte le terre emerse, con ormai solo un quarto della biosfera in una situazione ancora «selvatica», quando nel 1700 più della metà della biosfera era in condizioni selvatiche e il 45% in uno stato semi-naturale.

Il rapporto del Wwf fotografa anche la situazione italiana dove, nonostante alcuni miglioramenti, il 31% dei vertebrati in Italia è tuttora a rischio estinzione.

Si valuta che circa 50 specie siano perdute ogni giorno, la velocità alla quale si estinguono animali e vegetali è 100 volte superiore oggi di quanto non sia mai successo nella storia dell’umanità, e la prima causa è la perdita di habitat naturali”. Lo ha dichiarato già dieci anni fa Norman Myers, uno dei grandi nomi dell’ambientalismo mondiale. 50 specie al giorno! Le stime del numero complessivo delle specie vanno dai 3 ai 100 milioni; secondo uno studio recente sarebbero più o meno 8,7 milioni, tra animali, piante e funghi. Secondo alcune stime, le specie animali sulla Terra sono circa 1,8 milioni (secondo altri il doppio). Tra queste ci sono 4.500-5.700 mammiferi, 8.700-10.00 uccelli, 6.300-9.300 rettili, 3.000-7.000 anfibi, 23.000-32.000 pesci, 900.000-1.000.000 insetti e 500.000 appartengono ad altri gruppi tassonomici (tra cui 10.000 aracnidi, 85.000 molluschi, 47.000 crostacei). Le specie di alberi sono solo 60.065 (scrive Focus Junior).

50 specie scomparse al giorno sono 18.250 all’anno, 182.500 in dieci anni. 1.825.000 in 100 anni! Ovvero, a questo ritmo, nel 2118 avremmo raggiunto una perdita di biodiversità gravissima. Se si dovesse attivare un effetto domino, purtroppo, il fenomeno potrebbe persino accelerare. Anche in questo caso spero che questi siano numeri eccessivi, ma credo che sarebbe importante chiarire quali siano davvero i ritmi di estinzione.

Dunque il tasso di estinzione starebbe subendo una fortissima accelerazione? 100, 1.000, 10.000 volte i tassi naturali? Credo che questo sia ancora tutto da dimostrare e definire, ma se fosse vero anche un incremento “solo” di 100 volte, il rischio sarebbe gravissimo e non possiamo permetterci di perdere un giorno.

La sensazione è che sia urgente, non solo proteggere l’ambiente ma anche fare studi approfonditi in merito, per arrivare, prima che sia troppo tardi a stime attendibili del fenomeno.

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Bandiera dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale – Pubblico dominio, Collegamento

Il mondo sta cambiando velocemente. L’Organizzazione meteorologica mondiale ha annunciato che siamo in una nuova era climatica, dato che nel 2015 e nel 2016 la concentrazione media di anidride carbonica nell’atmosfera ha raggiunto il traguardo di 400 parti per milione, un livello che non scenderà per diverse generazioni.

Il premio Nobel per la Chimica Paul Crutzen e altri scienziati parlano di una transizione dall’Olocene a una nuova epoca geologica, che hanno definito Antropocene. Un passaggio causato proprio dall’impatto delle attività umane sui sistemi viventi.

Potremo sopravvivere in un mondo in cui elevate percentuali di specie si saranno estinte? Se sopravvivremo, in che mondo vivremo?

Troppo spesso ci limitiamo ad un’alzata di spalla o a un attimo di curiosità quando apprendiamo dell’estinzione di una nuova specie, un po’ come se ci avessero detto della morte di qualche attore o politico famoso. Non è, però, lo stesso. A parte che degli attori e dei politici si potrebbe anche fare a meno, ma, comunque, morto uno ne compare subito un altro a prenderne il posto, come si diceva persino dei papi. Con le specie animali e vegetali non è così. Estinta una specie occorrono milioni di anni per crearne un’altra. L’estinzione di una specie non può essere raffrontata alla morte di un individuo: si tratta di una perdita irreparabile.

Non solo. Qui non stiamo solo parlando del ridursi delle specie ma di un impoverimento e dell’indebolimento dell’intero ecosistema e quindi del mondo in cui viviamo.

Ogni specie è legata ad altre in una catena alimentare e non solo. Se ne scompare una, si mette in crisi anche la specie che se ne nutre, si alterano gli equilibri con le specie concorrenti, si rischia la diffusione eccessiva di specie, magari dannose, che la specie ora estinta teneva sotto controllo. È come con le tessere del domino. Ne casca una e crollano tutte le successive.

Non solo. Minor biodiversità significa meno adattabilità. L’uomo sta mutando il mondo. Meno specie ci saranno in questo mondo modificato, meno possibilità ci saranno che qualcuna si adatti al nuovo habitat. L’abbondanza di specie deriva da un meccanismo evolutivo che fa sì che ogni specie si adatti a specifici habitat, a volte anche ristretti. Per creare nuove specie, l’evoluzione impiega però un tempo immenso, mentre noi possiamo eliminarne una in un attimo in termini geologici.

La Sesta Estinzione di Massa è peggio di un genocidio. Sono centinaia di migliaia di genocidi tutti assieme, tante quante sono le specie che stiamo annullando. I colpevoli siamo noi.

Che cosa meritiamo per questo? Abbiamo ancora tempo per ravvederci ed espiare la nostra colpa e, soprattutto, per porvi rimedio prima di rendere il danno irreparabile?

La Sesta Estinzione di Massa sarà l’ultima? La nostra cecità potrebbe portarci a generare una catastrofe quale il nostro pianeta non ha mai conosciuto, annichilendo del tutto la vita sulla Terra?

Sopravvivremo al deserto che stiamo creando e a quale prezzo?

Firenze, 03/01/2018

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