È un “brutto” periodo. Accendo la TV e subito il telegiornale mi aggiorna, con dovizia di particolari macabri e strappalacrime, sulle guerre in corso minacciose e vicine a noi, i vari contendenti poco intenzionati a giungere ad una tregua più o meno giusta. Il Neopresidente Trump si insedierà alla Casa Bianca fra pochi giorni accompagnato dall’ingombrante ed estremamente divisivo Elon Musk mentre l’assetto mondiale con i suoi pesi e contrappesi sta velocemente cambiando sotto i miei occhi.
Mi sento come su un’auto lanciata a velocità fortissima e non trovo il tempo per orientarmi, per leggere i cartelli indicatori, i nomi delle strade perché all’interno dell’abitacolo il navigatore (peraltro utilissimo in certi casi) mi sollecita a sbrigarmi: “…fra cinquanta metri lascia la statale 112 e prendi Via Giuseppe Verdi direzione Est ecc. ecc…” e se io rallento per cercare di capire dove sia l’Est o dove sta scritto il nome della strada che devo imboccare, dietro gli altri conducenti iniziano a suonare il clacson con rabbia facendomi sentire inadeguata e lenta come una lumaca. Avverto anche io come tanti una accelerazione dal tempo dal Covid in poi.
Oggi ho sentito dire: “Si sono aperte le cateratte del tempo”. E ora con l’Intelligenza Artificiale che futuro ci aspetta? Ci saranno sempre più manipolazioni, fake news, interazioni fra reale e virtuale tanto da farci perdere anche questo punto di riferimento fra i pochi che ci sono rimasti? Sembra non ci sia più tempo per la riflessione, per il dialogo, per la collaborazione. Sembra che ognuno sia diventato il nemico dell’altro o almeno serpeggia nei rapporti umani grande sfiducia e delusione. E il senso di inadeguatezza aumenta.
Eppure ogni cosa che esiste sulla terra è unita, collegata, a cominciare dall’atmosfera che respiriamo. Tutte quelle bombe scambiate con sempre maggiore accanimento fra i vari nemici, i droni, questa nuova invenzione usata immediatamente in campo militare per colpire restandosene al sicuro, il fumo, i metalli pesanti, il vapore, le plastiche disciolte e dunque la diossina, i vari gas fino ad arrivare alla radioattività, tutto si spande nell’ atmosfera e arriva ovunque, anche a noi.

La bellissima California sta bruciando, Los Angeles, la città degli angeli, luogo simbolico e conosciuto nel mondo per Hollywood, per le ville dei vip, per il costo esorbitante dei prezzi delle case di legno (ma tutte le case americane hanno la struttura in legno) per il Sunset Boulevard, tutto è ormai un rogo, una devastazione, un Day After. E anche in quel caso tonnellate di vapore, calore, ceneri e nubi tossiche, tutto si sparge nell’atmosfera.
Lasciando da parte gli inevitabili J’accuse dei politici dei due opposti schieramenti sulle responsabilità, siamo di fronte a una tempesta perfetta conseguenza dei cambiamenti climatici in corso. I politici americani di destra negano i cambiamenti climatici, ne fanno una questione di migliore organizzazione, di messa in sicurezza. Qualche testa salterà, qualche Governatore verrà allontanato mentre la siccità continuerà ad essere un problema sempre più grave così come la mancanza di acqua e i venti non si placheranno soltanto perché lo si desidera o lo si ordina.
Molte persone, almeno fra quelli che conosco, sono stanche e cercano di ritirarsi nel proprio guscio (un tipico atteggiamento animale di fronte alle difficoltà che si percepiscono insormontabili), alzano barriere psicologiche, non vogliono sapere, non reagiscono per paura e senso di impotenza. Di fronte a questi eventi catastrofici, a queste tragedie quotidiane si è impreparati mentalmente e il cervello si rifiuta di ragionare. È un po’ come di fronte ai dati scientifici che ci dimostrano senza ombra di dubbio la gravità e l’urgenza della situazione climatica: i dati da soli non bastano. Che fare?
Comunicare la crisi climatica è un processo complesso, la chiave sta nel modulare il messaggio, incentivando risposte propositive senza cadere nel rischio di una narrazione catastrofica. E prendere esempio dalla natura, dal mondo vegetale.
È innegabile che il problema maggiore e più grave che il genere umano deve affrontare è il cambiamento climatico altrimenti tutto il resto sarà illusorio, inefficace e momentaneo. Ed è seguendo questa via di collaborazione con l’ambiente che è nato a Milano un progetto che coniuga natura e tecnologia, e pone al centro dell’attenzione le piante nel contesto urbano.

Su 300 alberi della Biblioteca degli alberi della città è in corso una sperimentazione che ha previsto l’installazione di altrettanti sensori in grado di “dare voce” al mondo vegetale. Questi dispositivi sono stati sviluppati da Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di Neurobiologia Vegetale, e dal Pnat, una start up dell’Università di Firenze che si occupa di tecnologia e interazione con le piante. Il progetto si chiama ” Prospettiva terra” ed è partito dall’idea del professor Mancuso e di Omnicom Group con l’obiettivo di conoscere sempre meglio le piante e avvalersi delle loro informazioni per salvaguardare l’ambiente, le piante stesse e di conseguenza noi umani.
I sensori hanno due finalità principali, una legata all’acquisizione di dati ambientali come temperatura, umidità e tutti i benefici che l’albero apporta nel contesto in cui si trova. Oltre ovviamente a rilevare le polveri sottili e i vari inquinanti rimossi dall’ambiente grazie alla funzione clorofilliana.
Ma è la finalità di tipo diagnostico la parte più interessante e sperimentale del progetto: i sensori monitorano in tempo reale anche le vibrazioni dell’albero, perché il modo in cui l’albero oscilla è un indicatore importante del suo stato di salute: quanto robusto è il tronco, quanto forte è la chioma e lo stato delle radici. Una potatura molto radicale o sbagliata o una malattia cambiano la condizione dell’albero e anche le sue vibrazioni. L’obiettivo è in questo caso quello di fornire alle amministrazioni uno strumento in più per avere informazioni in tempo reale nelle zone sensibili delle città: un parco intorno alle scuole, un viale alberato, gli alberi storici da conservare. E come curare e intervenire efficacemente sulle piante presenti.
Gli alberi subiscono le ondate di calore come i lunghi periodi di siccità, i fenomeni atmosferici sempre più estremi che si presentano. Ma la strada non è quella di ridurli, capitozzarli, tagliarli o sostituirli con esemplari minuscoli o a crescita lenta perché sono proprio gli alberi che ci aiutano a contrastare il cambiamento climatico e l’inquinamento. Dunque ne vanno piantati in numero sempre maggiore soprattutto nelle aree urbane. Ma non lasciarli soli, bensì controllarli con una buona manutenzione.
Anche la sturt up Pnat è interessante; è costituita da agronomi, botanici, ingegneri e architetti che lavorano insieme usando le loro competenze e avendo al centro le piante sia allo scopo di migliorare la vita degli organismi vegetali sia affinché le piante diventino dei veri e propri ” collaboratori” potenziandone le capacità. Questo progetto è un ottimo esempio di collaborazione fra la conoscenza del mondo naturale e i supporti tecnologici innovativi usando un linguaggio comune.
Utilizzare, anzi avere le piante come fonte di ispirazione nella tecnologia mi pare un ottimo segno di innovazione e futuro. Possiamo imparare tanto dalle piante, perché essendo organismi statici non possono spostarsi e quindi si scambiano continue informazioni per trovarsi pronte a quello che succederà. Le piante sanno perfettamente come gestirsi e come sopravvivere in ogni situazione.
Mi auguro solo che l’uomo riesca a trovare ancora in qualche recesso nascosto della propria mente e del cuore, l’umiltà per accostarsi alle piante, fermandosi il tempo necessario per ascoltarle e comprenderle.
Io intanto continuo ad abbracciare gli alberi, ne ho bisogno più che mai.

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