In un precedente numero ho parlato dell’ulivo e di alcune sue citazioni letterarie, in particolare la sua presenza nell’Eneide di Virgilio, dimostrazione dell’importanza che questo tipo di pianta aveva per la cultura greco-romana (vedi numeri precedenti in PDF).
Ma questo è solo uno degli esempi di come l’importanza di alcune piante e vegetali nella cultura di un popolo abbia avuto come risultato la consacrazione nella letteratura, ed essendo impossibile da circoscrivere in un unico articolo mi limiterò a descriverne alcune tra le più caratteristiche.
Cominciamo dal Decameron di Giovanni Boccaccio: nella novella Lisabetta da Messina, quinta novella della quarta giornata raccontata da Filomena, l’omonima protagonista, a cui i fratelli uccidono l’innamorato Lorenzo, ne recupera la testa e la conserva in un vaso di basilico passando le sue giornate ad occuparsi della pianta, la quale di fatto prende il posto del suo amato.

Il fatto che Boccaccio usi proprio il basilico come mezzo di conservazione della testa di un morto non è un caso: i primi testi in cui se ne parla risalgono al tempo degli Egizi e non era, come oggi, una pianta culinaria bensì rituale, in quanto utilizzata per le imbalsamature e di conseguenza usata per accompagnare il defunto nell’aldilà.
Nelle culture successive mantenne, nel bene e nel male, un legame con la morte.
Per alcune la evitava, in quanto si trattava di un antidoto ai veleni, in particolare contro quello del Basilisco, creatura mitologica quasi omonima. Tale somiglianza deriva dalla parola basileus, che significa “re”, che renderebbe il basilico “la regina delle piante” mentre il mostro mitologico è conosciuto come “Re dei Serpenti”. Proprio l’omonimia con il rettile dallo sguardo pietrificante avrebbe contribuito alla diffusione di credenze negative su questa pianta, rendendola famosa presso i Romani come pianta velenosa, capace anche di provocare malanni e persino la pazzia, idea che potrebbe essere derivata dal fatto che fin dai tempi antichi era usata per scacciare gli insetti.
Nel caso della novella di Giovanni Boccaccio, il basilico permette alla giovane Lisabetta di tenere in vita Lorenzo, e sarà proprio la separazione dal suo amatissimo vaso a provocarne la morte per il dolore.
Esempio meno drammatico di pianta letteraria è il cacao, utilizzata da Roahl Dahl in quella che forse è la sua opera più famosa anche per via delle tre trasposizioni cinematografiche del 1971, 2005 e 2023: La fabbrica di cioccolato.

Nel libriccino Willy Wonka racconta di come la pianta da cui deriva il cioccolato fosse sacro per gli Umpa-Lumpa, piccoli gnomi provenienti da Lumpalandia (dove il cacao è raro e quindi prezioso), isola misteriosa in cui gli abitanti vivono sugli alberi per sfuggire ai predatori terrestri. Sarà proprio grazie all’amore per questa pianta che il cioccolataio riuscirà a convincere gli indigeni a venire a lavorare per lui nella sua fabbrica.
Roahl Dahl, come Boccaccio, riporta nella sua opera una tradizione passata. Prima della conquista europea delle Americhe, il cacao era effettivamente una pianta sacra per le popolazioni mesoamericane: secondo la mitologia azteca era un dono del dio Quetzalcoatl per alleviare i suoi sudditi dalla fatica. Era un bene di lusso, concesso solo a pochi al punto che poteva essere usato come moneta, e Roahl Dahl riporta nel suo libro entrambe le tradizioni, mostrando il cacao sia come oggetto di venerazione che come stipendio degli Umpa-Lumpa.
Sia il cacao che il basilico sono oggi piante soprattutto culinarie, mentre una che non lo è mai stata ma ampiamente utilizzata nella cultura popolare è sicuramente la Nicotiana. A livello letterario non posso non citare uno dei pilastri della letteratura fantasy, J.R.R Tolkien, che nella sua opera Il Signore degli Anelli ha introdotto una variante di questa pianta di nome Galenas, meglio conosciuta come Erba-Pipa.
È risaputo che ai tempi in cui Tolkien scrisse le storia ambientate nel mordo di Arda ancora non si conoscevano o non erano di pubblico dominio i gravi effetti del tabacco sulla salute, quindi nei suoi testi i personaggi fumano con grande piacere e in gran quantità: Gandalf, Merry e Pipino in particolare.
Tolkien si è impegnato nei suoi libri a descrivere l’erba pipa non come una pianta totalmente inventata, ma come una varietà un tempo realmente esistita (ricordiamo che Arda non è un mondo inventato, ma il nostro mondo in un’era completamente diversa): la descrive come arrivata da Ovest, dove un tempo sorgeva l’Isola di Numenor (la versione tolkeniana di Atlantide) e piantata dai loro discendenti a Gondor, dove viene usata come pianta ornamentale invece di essere fumata.

Tale pratica è stata inventata dagli Hobbit e dagli Uomini della vicina città di Brea. I Mezzuomini in particolare, nella città di Pianilungone hanno creato una varietà dalla qualità così alta da ricevere persino un nome informale come “Vecchio Tobia”, influenzando le altre popolazioni degli Uomini, i Nani e gli Stregoni. Nei film di Jackson è possibile vedere infatti Aragorn, Galdalf, Gimli e gli Hobbit fumare, ma non c’è nemmeno una scena in cui gli elfi fumano.
Ciò può essere dovuto al fatto che sia una pianta a loro sconosciuta o da loro ripudiata perché troppo volgare, dato che essendo un popolo legato alla Natura non vedono di buon occhio il consumo di piante morte (così dice Merry a Pipino in una scena della versione estesa del secondo film della saga, Le due torri, affermando che gli Ent, popoli di alberi, non approverebbero).
La nicotina è infatti una molecola capace di legarsi ai recettori collocati nelle sinapsi, ovvero l’area di contatto tra due neuroni nel sistema nervoso. Questo legame provoca il rilascio di sostanze che vanno a stimolare il centro del piacere situato nel cervello. Ciò è in realtà la chiave per la dipendenza, perché il piacere provocato dal fumo diventa così difficile da abbandonare.
Ma nelle opere di Tolkien, anch’egli grande fumatore (in molte foto è possibile vederlo con una pipa) questo aspetto è ovviamente assente e i personaggi quindi non solo fumano con grande piacere ma vedono in questo gesto anche un modo per schiarirsi la mente e vedere tutto con maggior chiarezza, come specificato da Gandalf il Grigio a Saruman il Bianco durante una delle riunioni del Bianco Consiglio descritte ne Le appendici.
Così facendo, Tolkien fornisce alla Galenas una storia simile al vero tabacco, giunto in Europa dall’America dopo la sua conquista e si ispira al suo utilizzo come farmaco: usata dagli indigeni delle Americhe come medicina per i dolori, arrivata in Europa fu inizialmente ignorata finché non venne diffusa la voce che fosse un rimedio universale per molti malanni, conquistando anche sovrani come Filippo II di Spagna e Caterina De’Medici in Francia.
Per concludere, è doveroso citare la pianta considerata più magica del mondo vegetale: la mandragola. La sua presenza in letteratura, tanto scientifica quando narrativa, è dovuta al fatto che per molto tempo non era considerata solo una pianta, ma l’anello mancante tra la vegetazione e l’essere umano. La sua forma ricorda, anche se vagamente, quella di un piccolo corpicino, con i rami che sembrano dare forma a braccia e gambe.
Già celebre nell’antichità come pianta afrodisiaca, la celebrità di questa pianta non ha conosciuto declino grazie alla letteratura fantasy esplosa negli ultimi decenni, ma già in passato era stata al centro di un’opera d’eccezione: La mandragola di Niccolò Machiavelli.
Nel libro, la mandragola, celebre per la cura della sterilità, è l’ingrediente fondamentale di una pozione per curare la presunta incapacità di Lucrezia, moglie di messer Nicia, di avere figli, in realtà espediente per permettere al lussurioso Callimaco di giacere con lei, essendo stato convinto il marito della donna che una volta assunta la pozione il primo ad avere un rapporto con lei morirà.
Molto più recentemente la mandragola è divenuta celebre per essere apparsa nella saga di Harry Potter di J.K Rowling, dove nel secondo libro si scopre essere l’unico antidoto contro i poteri pietrificanti dello sguardo del Basilisco (mentre il basilico era l’antidoto al suo veleno).
Questi sono solo alcuni esempi di come certi autori (nel passato e nel presente) hanno riproposto il rispetto verso la natura delle tradizioni passate, perché come avrebbero potuto queste piante diventare così affascinanti per scrittori e scrittrici, se in passato interi popoli non avessero guardato alla Natura con soggezione e autorevolezza, al punto da vederli come doni divini?

Basterebbe pensare alla mandragola, pianta a forma di bambino, per farci capire che le piante sono esseri viventi come noi, che andrebbero protette invece che distrutte. Ma la letteratura non è ancora riuscita a instillare un pensiero così profondo nelle nostre menti.
Anzi, il tabacco è stato reso veicolo di uno degli oggetti più inquinanti del mondo: il mozzicone di sigaretta, gettato per terra senza rispetto, risucchiato dai tombini dalla pioggia e buttato in mare dove finisce nello stomaco degli animali che lì vi abitano.
Così un dono delle divinità per alleviare la sofferenza è stato trasformato in veicolo di morte, per noi e la natura.
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