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Qualcuno ci dirà di che morte dovremo morire?

Tra le tante notizie che sono apparse sulla stampa nazionale e internazionale in queste ultime settimane, due mi hanno colpito. La prima è la dichiarazione del segretario generale dell’ONU, Antonio Gutiérrez, che, alla luce dei dati che drammaticamente confermano come il 2023 sia stato l’anno più caldo degli ultimi tre secoli a livello globale, ha ripetuto parole che invano sta spendendo negli ultimi anni: “Il nostro pianeta è ormai sull’orlo dell’abisso” e il tempo disponibile per invertire questa tendenza quasi scaduto. La seconda è legata al discorso pronunciato dal Presidente francese Macron, in cui si ventila.la possibilità di intervenire con forze militari nel conflitto Ucraina-Russia, di fatto creando le premesse di una guerra diretta.tra Unione Europea, e ovviamente NATO, e la Russia.
Tutto ciò mentre Netanyahu, che per chi scrive è ormai da citare col titolo di criminale di guerra, sta massacrando a decine di migliaia donne e bambini nella striscia di Gaza.
Ormai, sembra solo che si tratti di sapere di quale morte dobbiamo morire: la progressiva distruzione degli ambienti della Terra per l’inquinamento e i cambiamenti climatici; oppure una guerra sul suolo europeo che non potrebbe non risultare, alla fine, conflitto nucleare. Senza escludere (anzi, io lo ritengo probabile) che la bomba possa essere usata da Israele per primo, se i paesi arabi confinanti dovessero reagire con le armi all’espansionismo di Gerusalemme.
Voglio subito dire che personalmente ho grande ammirazione, mista a riconoscenza, per gli israeliani. In anni lontani, dopo l’alluvione di Firenze del novembre 1966, molti ragazzi delle scuole superiori fiorentine, colpiti dalla catastrofe, tra cui il sottoscritto, furono accolti per una quindicina di giorni in Israele, e ebbero così modo di visitare buona parte del Paese e fare amicizia coi coetanei di laggiù. Una fantastica esperienza che mi è rimasta nel cuore. In seguito, ho avuto molti amici di religione ebraica. Ahimè, ogni popolo può cadere nelle mani di personaggi che sarebbe stato meglio eliminare politicamente, e ciò è accaduto con l attuale premier israeliano.
Insomma, infine rimane la domanda: ce la farà la razza umana a distruggere se stessa e il pianeta Terra coi mezzi che possiede, oppure dalla fine la Natura riuscirà a difendersi annientando quella parte malata di essa che ha nome Umanità? I mezzi non le mancano, basti pensare all’esempio del COVID.
Di fronte a queste due possibilità, possiamo anche sorridere dei caratteri dittatoriali che in controluce possono leggersi nelle caute decisioni del nostro governo, guidato da colei che appare molto più virilmente decisa dei maschietti che la circondano, a dominare l’Italia per il prossimo ventennio. O, per meglio dire, quel che rimarrà dell’Italia e degli italiani.

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Le stagioni, come sappiamo, corrono e si avvicendano, prestando i loro cambiamenti all’ispirazione poetica da tempo immemore.
Eppure, nel tempo che adesso viviamo, questo scorrere è soggetto all’ira funesta (tra virgolette ma non troppo) di guerre e tormenti, e anche l’animo sensibile e ricettivo di chi scrive assorbe come una spugna i tratti dolenti del quadro che abbiamo di fronte, e prontamente tenta di riprodurlo in parole, versi o prosa, per metterlo nero su bianco, come si usa dire, ma anche, forse, per riuscire, sia pure parzialmente, a esorcizzarlo.
La ruota del tempo nel suo viaggiare perenne sta soggiornando al momento in questo quadrante, in cui molte speranze sembrano schiacciate dal peso di eventi problematici e che non esiterei a definire oscuri.
Eppure, proprio come la primavera regala segnali di vita sotto terreni ancora poco o affatto rigogliosi, così la penna di chi scrive cerca, grattando sotto la superficie, con forza e levità insieme, un campo fertile, un segno di ripresa e di bellezza.
L’impresa è ardua, difficile anche solo da immaginare, a volte, ma tra le righe anche più spesse si possono trovare nuovi germogli, un sentiero d’acqua, un riflesso azzurro del cielo che è sopra e dentro di noi.
Le poesie e il racconto scelti per questo numero offrono un quadro realistico di ciò che accade vicino e in mezzo a tutti noi, ma, tra le righe, appunto, è doveroso e giusto cercare un colore di speranza, un barbaglio di luce nuova, che possa regalarci un respiro in più, come quando siamo di fronte all’eterna bellezza di un’opera d’arte che ci viene offerta in dono e ci consola, ci abbraccia, rendendo la vita un attimo di inspiegabile immensità.
Come sempre, buone letture.
Iole Troccoli

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