Racconto pubblicato su IUA n° 4, Anno III, Aprile 2016

Esausta, dopo una corsa tutta d’un fiato, Lei si spogliò e si buttò sul letto sfatto dove lenzuola stropicciate tessevano onde di andata e ritorno che affioravano dal cuscino.

Onde di lacrime asciutte e salate delle parole non dette di Lui.

Esausta si spogliò e le dita sottili che pizzicavano con passione le corde del violino asciugavano un sorriso appena abbozzato al pensiero di Lui.

Esausta, dopo una corsa liberatoria, si buttò sul letto come sulla strada di polvere bianca della sua giovane vita attraversata dalle note di violino dell’infanzia.

Lui diceva che Ella era metà, era metà di tutto, metà di uno spartito su cui mancava la chiave di sol, metà della chiave di volta attorno alla quale ruotava il binomio io-tu, la sfera che copriva la luce della sua lampada da tavolo, metà della parola sempre, perché sempre è sempre solo per un po’, metà degli spazi che espirava, mentre inspirava l’altra metà.

Che cosa è l’amore, chiedeva Ella ?

Non lo so, ma ci penso, rispondeva Lui

Che cosa siamo noi, ribatteva Lui?

Un punto e a capo, concludeva Lei

Ho premuto una nota, il tasto di una semplice nota ed ho visto il dito della mano nascondere il viso della luna per riflettere i suoi raggi sul mio di viso.

Ho lasciato andare la nota ed ho sentito svanire la paura del buio senza luna.

Ho premuto e rilasciato più volte fino a quando la nota si è fusa nell’alba ed io mi sono persa nello specchio, in bianco e nero.

La tazza sul tavolino accanto al letto sprigionava volute di vapore di pensieri che la rimandavano al loro primo incontro.

Dita che intrecciavano dita pizzicate su corpi riversi nel letto osso di seppia.

Sussulti di emozioni pulsanti nella sequenza della loro passione scrivevano la partitura degli strumenti, del violino di Ella e della bacchetta di Lui.

“Tu sei il mio maestro”, diceva Ella.

Ognuno è maestro si se stesso, rispondeva Lui, non si insegna nulla se non si vuole imparare nulla.

Tu giochi, ho giocato, giochiamo e il gioco è la dimensione interiore di quello che siamo; è l’espressione dell’adulto bambino dentro di noi.

Ma noi siamo noi, solo se respiriamo e ci respiriamo, non ci siamo ieri perché è già nel passato, non ci siamo domani che è ancora nell’attesa.

Quando Ella si svegliò, Lui non c’era più ed anche le sue parole se ne erano andate.

Esausta si vestì e si rispogliò, si ributtò sul letto che bagnò col suo pianto di solitudine e di occhi abbandonati al soffitto in bianco e nero.

Poi…

Lui bussò e bussò alla porta sempre più intensamente, batteva pugni e pugni fino a farsi male e più sentiva bruciare la mano, più urlava sei tutto, sei l’anima che incontra se stessa, sei il libro che si scrive da solo, sei la punta di un desiderio e la fine di un dolore, sei l’orchestra delle mie note inventate, sei la rima dei miei versi preferiti…

Ma ad Ella mancava quella parola che racchiudeva il significato del loro stare e non stare insieme, del loro viversi talvolta senza comprendersi, guardando gli occhi l’uno dell’altra oltre lo sguardo addosso.

Scusa

Scusa per tutte le volte che ho lasciato cadere nel vuoto i puntini di sospensione che portavano a te, le virgole frapposte tra i ma e i se, i punti interrogativi sul silenzio fuggente, sull’imbarazzo di una frase che non hai saputo dire.

Scusa sai, scusa non so, non lasciarmi, scusa , aspetta.

Scusa, ci sei e mi confondi, scusa, ci sono e ti confondo, ma siamo qui in un “quando” che ha il sapore di “a volte”.

Scusa

A volte ci amiamo e scusa se mi illudo che sia per sempre.

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CC BY-NC-ND 4.0 La giovane violinista by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.