Articolo pubblicato su IUA n° 3 e 4, anno IX, Marzo e Aprile 2022

Verso il Mille, la Sardegna, dopo aver respinto gli attacchi Arabi, riprende i suoi rapporti commerciali, politici, religiosi e, uscendo dal suo isolamento, si inserisce nelle correnti artistiche europee. Nella fase medievale europea si sviluppa l’arte romanica che deriva dal romano antico da cui prese la spazialità e la monumentalità, arte che ha cessato però di essere romana e non è ancora gotica. Prende le mosse alla fine del X sec., sino a metà del XII sec., quando si avvia lo sviluppo del Gotico. In tutta la civiltà europea nasce questa nuova architettura; villaggi e campagne si popolano, quindi, di chiese di struttura romanica sino ai primi secoli del secondo millennio. Questo stile architettonico portò nuove decorazioni di portali, chiostri, lunette, capitelli in tutta l’Europa, ma con differenze e adattamenti peculiari in ogni regione e nazione con il diverso uso dei materiali edilizi locali. Rimasero degli elementi comuni, come l’arco a tutto sesto, le volte a crociera specie nelle cripte, i pilastri e le colonne, l’impianto planimetrico a croce latina. In Italia, i maestri comacini con lo stile lombardo e poi lo stile toscano fecero sì che l’architettura riflettesse la storia dei popoli. Questi influssi sono riconoscibili anche in Sardegna, quando in epoca giudicale arrivarono diversi ordini religiosi dall’Italia e dalla Francia e ancora maestranze provenienti dalla penisola iberica di cultura islamica. Monaci e non solo, ma mercanti, armati e politici delle repubbliche marinare italiane, cercano espansioni commerciali e predominio politico in Sardegna. Nel 1063 Barisone I, giudice del Logudoro, inviò ambasciate all’abate di Montecassino Desiderio, sollecitandolo a mandare in Sardegna i suoi Benedettini per fondarvi un monastero. Fu così che i primi Benedettini scesero in Sardegna a seguito di donazioni fatte da Barisone, con aggiunta di terre e servi. Anche nel cagliaritano si riattarono edifici religiosi e nuovi luoghi di culto. Chiese e monasteri sorsero sotto i Giudici, munifici di donazioni e servi. Ai Benedettini di Cassino si affiancheranno i monaci Benedettini di San Vittore di Marsiglia, che verso il 1089 si stabiliranno nella parte meridionale dell’Isola restaurando e costruendo ex novo in stile romanico provenzale. Tutto ciò ebbe inizio quando Costantino I Salusio II, giudice di Cagliari, donò a Riccardo, abate di San Vittore di Marsiglia, la Basilica di San Saturnino e altre proprietà perché i monaci fondassero un monastero. Da allora in poi, per decenni, arrivarono nell’isola diversi ordini religiosi tra cui camaldolesi e vallombrosani, cistercensi e vittorini. Sorsero chiese medievali diverse nello stile, sia di provenienza lombarda sia toscana o provenzale, differenziandosi dai modelli originari a cui si ispiravano, per cui furono singolari e originali nelle soluzioni architettonico-decorative, con risultati finali che risulteranno dei veri capolavori. Quelle di poco posteriore all’anno mille sono sobrie, modeste, di semplice fattura, ma nel periodo di contatto con Genova e Pisa si ebbero un risveglio e una spinta stilistica diversa. La munificenza dei giudici di Sardegna, infatti, fecero affluire maestranze toscane che portarono in Sardegna un’esperienza artistica già matura. Le chiese vengono così arricchite di colonnine, intarsi e decorazioni. Le chiese medievali in Sardegna sono di dimensioni modeste, data la scarsità degli abitanti. Non esistono chiese a cinque navate. Le varie cave di pietra condizionarono l’architettura degli edifici. A Cagliari venne usata la bianca pietra calcarea, a Dolianova le arenarie, ad Ardara la roccia vulcanica, mentre manca la muratura in cotto. Caratteristiche di alcune chiese sono le scale a sbalzo fatte da gradini in pietra, incastrati nei muri esterni. Un’ altra caratteristica delle chiese sarde è il fregio ad archetti a tutto sesto, ornamento della parte superiore dei muri esterni, di absidi e frontoni, completato da mensole e lesene. Le finestre sono monofore o bifore e più raramente trifore: quest’ultime si trovano prevalentemente sulla facciata come elemento decorativo. Anche la torre campanaria può essere alleggerita dalle trifore. Le colonnine e gli archi delle bifore e trifore assolvono solitamente a una funzione statica, girando per tutto lo spessore del muro, gli archi delle finestre scaricano sulle colonnine con capitelli che si allargano superiormente, onde ricevere tutto il carico dell’arco. Notevole la diffusione dei campanili a vela più semplici, poggianti sulla facciata, sino a quelli più complessi separati, dalla chiesa. Tutte queste chiese, senza tante decorazioni o maestosità, ma nella loro sobrietà austera, sono dei veri gioielli inseriti nel contesto del paesaggio sardo e, oltremodo, ne esprimono la fede profonda e primitiva che le ha accompagnate e abitate nei secoli. Nel 1323, quando sbarca a Cagliari il re d’Aragona, inizierà una nuova cultura artistica che darà origine allo stile romanico-gotico aragonese. Benedettini, Camaldolesi, Vallombrosani e Vittorini, artefici di nuova cultura in Sardegna dal 1000 al 1300 circa, verranno completamente superati dalle corporazioni monastiche dei Mendicanti. Finisce anche l’influsso toscano-romanico e lombardo a vantaggio dell’architettura aragonese.

Il primo romanico si può così suddividere:

Gruppo arcaico – (sec. XI e inizio del sec. XII). A questo gruppo appartengono S. Pietro di Bosa, San Michele di Plaiano (SS), S. Sabina di Silanus, San Michele di Salvenero (Ploaghe),  S.Antioco di Bisarcio ad Ozieri.

 Gruppo Vittorino – (fine X sec. – metà del XII sec.) Ne fanno parte le chiese che sorsero a imitazione di quelle romaniche della Provenza, ad opera dei monaci Vittorini e delle loro maestranze. Appartengono a questo gruppo la parrocchiale di S. Antioco, S.Efisio di Nora, S. Lussorio di Fordongianus, San Giovanni di Sinis, San Saturno di Cagliari, S.Maria di Sibiola (Serdiana), San Platano di Villaspeciosa, S. Maria di Uta. La Parrocchiale di S.Antioco, consacrata nel 1102,  fu però costruita su un primo impianto del V sec. e sulle catacombe, uniche nell’isola, che i primi cristiani ricavarono dal riutilizzo di una necropoli punica. Poco distante dall’area archeologica di Nora, S. Efisio di Nora, costruita dai Vittorini sul luogo del martirio del santo, ha influssi franco provenzali.

Gruppo pisano – (sorto contemporaneamente al vittorino, si estende fino alla prima metà del XII sec.) A questo gruppo appartengono le chiese costruite da architetti e maestranze che importarono in Sardegna lo stile architettonico toscano, anteriori alla riforma di Buscheto per la costruzione della cattedrale di Pisa. In questo gruppo stilistico rientrano:  la Basilica di San Gavino di Portotorres, San Simplicio di Olbia, il prolungamento di San Michele di Plaiano (SS), San Nicola di Silanis presso Sedini.

Gruppo romanico lombardo – A questo stile architettonico appartengono S. Maria del Regno di Ardara (1107), San Niccolò di Trullas (Semestene), S.Pietro di Bosa, Chiesa di San Pietro di Zuri

Gruppo romanico pisano lombardo – A questo stile appartengono la Cattedrale di S. Giusta (Oristano), San Paolo di Milis, S.Antioco di Bisarcio di Ozieri, S. Maria di Bonarcado, San Leonardo di Santulussurgiu, San Nicola di Ottana, la Parrocchia di Orotelli

Corrente francese cistercense – L’arrivo dei monaci cistercensi, inviati da san Bernardo, portò in Sardegna un nuovo linguaggio architettonico con le forme borgognone delle chiese cistercensi. A questa corrente appartengono S.Maria di Corte o di Cabuabbas a Sindia, S. Maria di Paulis a Ittiri, San Pietro di Sindia, San Lorenzo di Silanus, S. Maria di Coros a Ittiri, San Pietro di Bosa.

Nuovo Romanico o toscano-buschetiano – Si trova a fine sec.XII e primi del XIII sec. Vengono introdotti in Sardegna nuovi modelli architettonici maturati a Pisa, Lucca e Pistoia, dopo la riforma buschetiana. Disegni, sculture, intarsi, cromatismo alternato, archi, accompagnano le costruzioni di questo periodo. Il primo edificio che rispecchia il nuovo stile post buschetiano è San Pietro di Sorres a Borutta, la parte superiore di S. Antioco di Bisarcio di Ozieri, S. Michele di Salvenero a Ploaghe, San Paolo di Milis.

Gruppo arcaico

Alla chiesa di San Michele di Plaiano (nella fotografia a sinistra) si lega un’antichissima fondazione da parte di una comunità monastica di origini orientali. La chiesa fu donata nel 1082 dal giudice di Torres all’Opera di S. Maria di Pisa e divenne poi un possesso sardo dell’ordine benedettino dei monaci camaldolesi. S. Sabina di Silanus rappresenta un caso unico nel panorama romanico sardo, a ragione della sua pianta ad aula circolare absidata e cupolata, comunicante con due camere rettangolari affiancate a nord e a sud.costituita da una sola navata con transetto a tre absidi. Ai suoi possedimenti in epoca medievale fa riferimento il “Condaghe di S. Michele di Salvenor” (XII-XIII sec.)                                                     

S. Antioco di Bisarcio ad Ozieri (nella foto a destra) fu sede vescovile; evidenzia stili e forme d’influsso pisano-francese. La basilica venne costruita in conci di tufo e trachite, conserva poche testimonianze di un primo impianto che risale all’XI sec. In un secondo periodo, tra il 1150 e il 1160, venne riedificata seguendo la planimetria a tre navate della prima costruzione e venne eretto il poderoso campanile che ora appare svettato da un fulmine. In un terzo momento (1170-1190) venne aggiunto un avancorpo a due piani di stile francese, fatto nuovo e unico per il romanico in Sardegna (Botteri).

Gruppo vittorino

 S. Lussorio di Fordongianus (foto a sinistra), fu trasformata in stile gotico aragonese nel XV sec. è in pietra vulcanica dalle tonalità rossastre, a navata unica. Alla fase edilizia più antica, del XII sec. , risalgono l’abside, il fianco nord e il basamento. Ha robuste lesene che nascono da una base con sculture legate alle crociate e al pellegrinaggio. L’antica volta a botte subì un crollo e nel XIII sec. fu coperta in legno. San Giovanni di Sinis: il suo primo impianto è bizantino, del VI sec. Sorge su un piccolo cimitero di origini pagane, probabilmente punico e successivamente cristiano, ha pianta rettangolare con abside in blocchi di arenaria. La sua forma attuale risale al IX /X sec.: ha tre navate separate da archi e volta a botte. S. Saturno di Cagliari: sono romaniche la navata maggiore e le navate laterali, su basi paleocristiane. Sorse nella zona del cimitero orientale della città romana, ai piedi del colle di Bonaria, sulle cui pendici furono scavate tombe cristiane del IV sec. La chiesa è intitolata a S. Saturnino, martire cagliaritano nel 304, all’ epoca delle persecuzioni di Diocleziano. Nel 534 fu ricostruito il primo santuario, che conservava ancora le strutture archeologiche, quando l’imperatore Giustiniano riconquistò la Sardegna, già controllata dai Vandali. La chiesa bizantina aveva pianta a croce con bracci divisi in tre navate e cupola centrale. Nel 1089 il figlio del giudice Torchitorio la donò, insieme ad altri edifici religiosi, ai Padri Vittorini di Marsiglia, che la ricostruirono usando tecniche romaniche.

Santa Maria di Sibiola (Serdiana – vedi foto a destra), sopravvissuta all’antico villaggio scomparso, si trova al centro di un recinto, in una piana campestre, bella da vedere anche per il contesto naturalistico. È costruita in pietra arenaria, il suo primo impianto risale al 1100, ha pianta a due navate e due absidi di cui una con monofora. Le navate sono divise da arcate su pilastri quadrangolari e volta a botte con sottarchi. Sul fianco sinistro si trova una scala esterna. La facciata in blocchi calcarei e motivi ornamentali a intarsio geometrico presenta due ingressi ad arco circolare tra i quali si trova una formella con decorazioni geometriche bicrome. Sopra gli ingressi si aprono due ampie finestre centinate, di cui quella a nord è bifora. Archi semicircolari lungo tutto il perimetro della chiesa poggiano su peducci decorati con figure umane e animali.

San Platano di Villaspeciosa (vedi fotografia sotto il testo), fusione di elementi provenzali e toscani con due portali. Fu edificata nel 1141 con materiale di spoglio proveniente da una vicina area archeologica tardoromana e paleocristiana, per cui è costruita in pietra calcarea e marmi. Il tetto con volta a botte crollò e fu sostituto da uno in legno. E’ molto simile a S. Maria di Sibiola, la parte più interessante è la facciata costruita con blocchi calcarei bianco e grigio, tasselli vulcanici, decorazioni scultoree, due portali con elementi marmorei e arco semicircolare e, originariamente, due finestre: ora resta solo quella di sinistra. Tra i portali si trova un architrave murato, in marmo, su cui sono scolpiti motivi paleocristiani. Alla base del campanile a vela due rosoni geometrici con decorazioni marmoree eseguiti secondo la scuola pisana. E’ binavata, le navate sono divise da colonne romane modificate secondo la scuola toscana e i marmi decorativi provengono dalle terme romane poco distanti. Ha due absidi munite di monofora. La chiesa è dedicata a San Platano, che la tradizione popolare asserisce essere il fratello di S.Antioco del Sulcis. L’appartenenza all’ordine dei Vittorini è menzionata in un documento del 1141.

S. Maria di Uta (nella foto a sinistra), chiesetta di grande fascino, eretta nella prima metà del XII sec.dai Vittorini con forme composite e lavoro di maestranze arabe e pisane. Appartenne all’ordine degli Ospedalieri di S.Giovanni, che lasciarono il loro simbolo, la croce a testate bifide, inciso sull’abside. Fu costruita con blocchi calcarei, marmi grigi e bianchi e piccoli inserti decorativi in pietra vulcanica. E’ a tre navate coperte in legno, divise da arcate su colonne di reimpiego. I capitelli sono quasi tutti romanici. Sia sulla facciata che sui fianchi e sull’abside, corrono una serie di archetti su peducci (188) che variano per motivi geometrici, vegetali, animali e umani. Compongono un messaggio sacro e simbolico, indirizzato alla salvezza dell’anima cristiana

Gruppo pisano

La basilica di San Gavino di Porto Torres (a destra) rappresenta un tipico esempio di vera bellezza in stile romanico pisano, la più grande della Sardegna, costruita in conci calcarei tra il 1030 e il 1080, però su un impianto paleocristiano del V-VII sec. La sua pianta ha i lati brevi chiusi da due absidi (secondo la tradizione carolingio-renana) che danno alla chiesa una forma insolita (maestranze lombarde). Nel XV sec. fu aperto il maestoso portale gotico catalano nel lato sud, sovrastato da un arco a tutto sesto retto da colonnine. Sotto l’edificio si aprono due cripte con i sarcofagi dei martiri turritani Gavino Proto e Gianuario. La chiesa custodisce una lapide bizantina del VII-VIII sec. che celebra la vittoria dei Sardi sui Longobardi.

La chiesa di San Simplicio di Olbia è la più antica chiesa cristiana della Gallura, ha i caratteri architettonici del XII sec.con conci di granito locale: fu eretta su probabile necropoli romana. Ha tre navate con abside ad ovest. La facciata è ripartita da due lesene. Il portale architravato è sovrastato da un arco di scarico a tutto sesto. Le navate sono divise da arcate su colonne, la navata centrale è coperta con capriate in legno, le laterali con volta a botte; esse subirono un crollo e furono ricostruite in mattoni per alleggerire le volte. Alcuni capitelli sono ornati con motivi antropomorfi, altri con foglie a motivi geometrici e con angoli smussati, un altro a teste d’ariete. Nell’abside, pannelli con affreschi purtroppo molto deteriorati. La Chiesa di San Nicola di Silanis a Sedini, a tre navate con volte a crociera in stile tipico del romanico toscano, fu donata nel 1114 dagli Zori, famiglia dell’aristocrazia turritana, ai monaci benedettini di Montecassino. Oggi si conserva allo stato di rudere, minacciata dalla vegetazione infestante. Aveva la volta a crociera anche nella navata centrale.

Gruppo romanico lombardo

S. Maria del Regno di Ardara (foto a sinistra) fu costruita come cappella palatina del castello giudicale, secondo schemi stilistici romanico pisani, ma con influssi lombardi. Ha orientamento a sud. Possiede la bellezza delle forme romanico-pisane, severa ed elegante, con paramento murario realizzato con conci di basalto nero. È divisa in tre navate, la facciata è suddivisa in cinque specchi da esili lesene, al centro il portale, sormontato da architrave mono blocco, da arco ornamentale a sesto rialzato e da una bella bifora. La facciata termina con timpano triangolare, con una piccola luce cruciforme e archetti pensili a tutto sesto ornamentali. All’interno opere di pregio. La Chiesa, sorta per volontà di donna Giorgia, sorella di Comita I, giudice di Torres, nel quadro del romanico sardo ha una certa singolarità (Serra). In primis, per la qualifica di chiesa palatina e, ancora, per la rilevanza di memorie storiche che documentano la presenza di un Maestro di grande stile. Sull’altare di questo tempio i giudici di Torres prestavano solenne giuramento (Liber Judicum Turritanorum ), si univano in matrimonio  sotto la volta lignea del tetto a capriata. Da unepigrafe si risale alla data di consacrazione: 7 maggio 1107.

San Nicolò di Trullas (Semestene) fu costruita nel 1114 per volontà della famiglia aristocratica degli Athen e donata, dagli stessi, ai monaci benedettini di Camaldoli, che vi stabilirono un proprio monastero di cui abbiamo notizia nel Condaghe (documento col quale si disponeva un lascito o una donazione a favore di una chiesa. Libro nel quale sono trascritti gli atti relativi all’amministrazione di un monastero medievale della Sardegna). Ha navata unica e due volte a crociera con ciclo pittorico di età romanica, mentre i cicli pittorici delle pareti sono andati persi e nell’abside si intravede un Cristo in trono, molto rovinato, affiancato da Pietro e Paolo e altri santi. Nell’arco frontale dell’abside busti di profeti, nella crociera contigua ventiquattro seniori dell’Apocalisse con il tetramorfo. Nella crociera vicino all’ingresso, a raggiera, gli arcangeli. Tutti questi affreschi di buona qualità appartengono a maestranze, provenienti da Roma e dal Lazio, che operarono in Sardegna nel XIII sec. 

Tribuna e ampliamenti di S. Pietro di Bosa (vedi foto sotto il testo), antica cattedrale di Bosa, che sorge solitaria sulla sponda sinistra del fiume Temo, fu edificata in trachite rossa tra il 1062 e il 1073. La Chiesa è considerata uno dei più antichi monumenti romanici dell’isola e si trova nel sito dove sorgeva la Bosa Vetus, già frequentato dall’età fenicia sino al Medioevo. Presenta tre navate, nella navata centrale, vicino all’acquasantiera in calcare, spicca l’epigrafe che ricorda la costruzione del tempio ad opera del vescovo Costantino de Castra, nel 1073. La volta è a capriate lignee, mentre quelle laterali sono a crociera. La facciata è segnata da tre arcate gotiche a sesto acuto, con altorilievi erosi che rappresentavano i simboli dei quattro evangelisti. Si trova ancora una caratteristica edicola sulla cuspide e tre rosoni quadrilobati. Venne costruita nella seconda metà del XIII sec. ed è probabile, come sostiene Renata Serra, che ne sia stato artefice lo stesso architetto di San Pietro di Zuri, Anselmo da Como. Sul portale vi è un architrave in calcare, sul quale sono raffigurati san Pietro, la Madonna con Bambino, San Costantino e San Paolo. Il campanile a canna quadrata è frutto di un rifacimento. La Chiesa di San Pietro di Zuri, edificata nel 1291, fu opera del maestro comacino Anselmo, per ordine della badessa donna Sardinia de Lacon, in stile romanico lombardo, un romanico gotico impreziosito da decorazioni dello stesso Anselmo di Como. La chiesa fu smontata e ricostruita più a monte nel 1923, quando la vallata venne sacrificata alle acque del lago Omodeo. San Pietro di Sindia è invece un raro esempio di romanico francese in blocchi di scura pietra vulcanica, a navata unica coperta da volta a botte ogivale.

Gruppo romanico pisano lombardo

La Cattedrale di S. Giusta (foto a sinistra) A questo stesso stile appartengono la parte inferiore di San Paolo di Milis, con pianta a croce commissa (forma a T) che rivela due fasi costruttive: appartengono al XII sec. abside transetto e fianchi, al XIII secolo la facciata bicroma con tre alte arcate.fu edificata intorno al 1135 e il 1145 con conci di arenaria del Sinis e fu sede vescovile sino al 1503. È ancora simile alle altre chiese romaniche fino a quel momento costruite in Sardegna, ma si aggiunge qualcosa di nuovo, nuove forme che derivano dalla Cattedrale di Pisa dove Buscheto aveva operato sino al 1100, dando una riforma architettonica evidenziata dalla snellezza delle colonne e degli spessori e quindi maggior slancio in altezza, maggior luce, più variazioni cromatiche e più armonia di elementi nei muri esterni, nel prospetto e all’interno delle navatelle. Colpisce per l’eleganza e la maestosità delle forme e fu presa a modello per numerose altre chiese dell’isola. Presenta pianta basilicale absidata e vi si accede dal sagrato tramite un’ampia scalinata. La facciata è tripartita da una grande arcata che sale quasi fino al timpano. Al centro, un bel portale in marmo bianco sormontato da due leoni sempre in marmo, che stringono tra gli artigli un cervo, e ai lati del portale due colonne romane troncate. Sopra l’architrave si trova un arco di scarico che delimita una lunetta con una croce di basalto e trifora. La basilica è trinavata, la navata centrale coperta da capriate lignee, le navate laterali con volte a crociera. Le colonne culminano con capitelli di ordine corinzio, composito e ionico ricavate dai resti dei centri romani di Neapolis, Othoca e Tharros. Gli ingressi sui lati presentano un ampio architrave trapezoidale. La basilica è illuminata da monofore a doppio strombo. Il campanile fu edificato nel 1908 su progetto di Dionigi Scano. Sotto l’edificio si apre una cripta con quattro navate, dove si vuole che fosse la prigione della Santa cui la chiesa è dedicata. A questo stesso stile appartengono la parte inferiore di San Paolo di Milis, con pianta a croce commissa (forma a T) che rivela due fasi costruttive: appartengono al XII sec. abside transetto e fianchi, al XIII secolo la facciata bicroma con tre alte arcate.

S. Antioco di Bisarcio a Ozieri (nella foto a destra), costruita in pietra vulcanica, nell’XI sec. fu distrutta dal fuoco e ricostruita nel secolo successivo. Ha tre navate, abside e campanile. L’aula è divisa da arcate su colonne e capitelli con decori prevalentemente vegetali. Esternamente l’abside si caratterizza per il decoro a losanghe con tasselli di pietra tufacea verde, in contrasto con la pietra vulcanica bruno-rossa. Alla facciata, nel XIII sec., venne addossato un portico su due piani. Il piano superiore, a cui si accede da una scala a sinistra, fungeva da cappella vescovile con tre sale e volte a botte. La cappella risulta comunicante con l’episcopio. In una delle sale della cappella si conserva un camino con cappa a forma di mitria. In un’altra sala è conservato un altare davanti al quale si trova una bifora superstite dell’età romanica. Il portico conserva inferiormente tre arcate e volte a crociera.

Santa Maria di Bonarcado (vedi fotografia sotto il testo), sorta nel XII sec. e annessa a un convento camaldolese per volontà del giudice di Arborea Costantino I de Lacon-Gunale. Fu edificata in conci di basalto scuro con inserimenti di conci trachitici, inizialmente aveva pianta a croce commissa a navata unica, poi fu ampliata a tre navate divise da arcate su pilastri. La facciata è divisa da tre alte arcate, in quella centrale si apre il portale con arco bicromo. I lati e l’abside sono ornati da archetti poggianti su peducci su cui sono scolpiti uomini e animali. A renderla famosa è anche il suo “condaghe” l’antico registro patrimoniale legato alla vita del convento, prezioso documento medievale sardo in pergamena custodito nella Biblioteca Universitaria di Cagliari. Contiene anche notizie di tipo storico economico sociale ed è anche un antico testo in lingua sardo campidanese. San Leonardo di Santulussurgiu in pietra vulcanicadi trachite rossa mononavata realizzata nella metà del XII sec.in stile romanico pisano come chiesa di un monastero. Nel XIII e XIV sec fu modicata in base al nuovo gusto gotico.

San Nicola di Ottana (vedi foto a sinistra) in stile romanico pisanodel XII sec. in conci di basalto e trachite. La facciata è suddivisa in tre ordini. Nel primo e nel secondo ordine lesene formano tre arcate a doppia ghiera decorate. Il portale presenta un architrave sovrastata da arco bicromo a sesto rialzato. Nel secondo ordine si trova una bella bifora. Il frontone è abbellito da cinque arcate che contengono bacini ceramici. La chiesa custodisce all’interno un prezioso polittico della prima metà del trecento di scuola toscana conosciuto come “Pala di Ottana” raffigurante storie di San Francesco e San Nicola da Bari e tra i personaggi compare Mariano IV di Arborea, padre di Eleonora e il Vescovo Silvestro. La parrocchia di Orotelli, edificata nel 1116 in stile romanico pisano con l’uso dei conci di trachite, faceva parte di un monastero benedettino. La struttura originaria aveva pianta a croce commissa con abside, aula mononavata con capriate lignee, transetto con volte a crociera. La facciata è suddivisa in tre ordini, nel secondo ordine un oculo sormontato da archetti e così pure i prospetti laterali.

Corrente francese cistercense

S.Maria di Corte o di Cabuabbas a Sindia, fudonata all’ordine di San Bernardo di Chiaravalle dal Giudice di Torres Gonario II. La si incontra in aperta campagna, avvolta da un recinto, vicino ai binari delle ferrovie complementari. Sorta nel 1147-48 viene considerata uno degli esempi più arcaici di abbazia in Europa e il più antico nell’isola. Del complesso monastico, sconvolto dalla costruzione della ferrovia, sopravvivono solo le fondamenta dell’aula capitolare e del chiostro (Renata Serra), mentre dell’abbazia si conserva, oltre al tracciato delle navate, il braccio sud del transetto con relative cappelle con volte a botte, parte dell’alzato del coro ed un ambiente contiguo alla testata meridionale. L’impianto originario, costruito da maestranze borgognone, si sviluppava su tre navate; fu abbandonata agli inizi del XV sec. e andò in rovina. Restaurata nelle parti superstiti, rimane come preziosa testimonianza delle prime costruzioni romaniche sorte in Sardegna ad opera dei monaci di Citeaux. S. Maria di Paulis a Ittiri oggi allo stato di rudere, in aperta campagna, si componeva di un’aula a tre navate con volte a botte, ampio transetto e presbiterio quadrangolare. San Pietro di Sindia, costruitaintorno al 1150-60, richiama nelle forme i modelli cistercensi dell’abbazia di Cabuabbas,e costituisce un interessante esempio di architettura medioevale minore. Sorge dentro l’abitato a fianco di un asilo e mostra sulla facciata che guarda ad occidente l’architrave monolitico dell’ingresso, la lunetta delimitata da un ampio arco di scarico, l’apertura cruciforme del primo romanico, il campaniletto a vela. Sull’abside, archetti romanici a ghiera con piccole rosette e altre decorazioni, lunette sulla facciata e la fiancata sinistra. San Lorenzo di Silanus, S. Maria di Coros a Ittiri, del XIII sec. forse sede di priorato annessa a un monastero dipendente dall’Abbazia Nostra Signora di Paulis. Probabilmente è stata l’ultima chiesa cistercense della Sardegna, San Pietro di Bosa.

Nuovo Romanico o toscano-buschetiano

Si trova a fine sec.XII e primi del XIII sec. Vengono introdotti in Sardegna nuovi modelli architettonici maturati a Pisa, Lucca e Pistoia, dopo la riforma buschetiana. Disegni, sculture, intarsi, cromatismo alternato, archi, accompagnano le costruzioni di questo periodo. Il primo edificio che rispecchia il nuovo stile post buschetiano è San Pietro di Sorres a Borutta, la parte superiore di S. Antioco di Bisarcio di Ozieri, S. Michele di Salvenero a Ploaghe, San Paolo di Milis. San Pietro di Simbranos o del Crocefisso a Bulzi, a navata unica e transetto. Ha pianta a croce commissa, la facciata bicroma in pietre calcaree chiare e pietre vulcaniche scure. Nella lunetta del portale in facciata è inserita una formella con figure umane. SS. Trinità di Saccargia, in territorio di Condrogianus . Costruita nel XII sec. con l’impiego alternato di basalto e calcare, vanta all’interno importanti dipinti di scuola pisana del duecento, S. Maria di Tergu a Castelsardo, san Palmerio di Ghilarza, San Giorgio di Suelli, la Cattedrale di Cagliari, la chiesa che i pisani costruirono in Castello in cui risalta il pulpito di maestro Guglielmo, i quattro leoni che si trovavano alla base del pulpito, il campanile, e l’esterno del transetto. La Cattedrale di S.Maria di Tratalias. Ritornerò in futuro sulla descrizione di queste importanti chiese che continuano a prolungare quel filo rosso che unisce Sardegna e Toscana. Non essendo né storica né archeologa, ma solo appassionata della mia terra, rilevo espressioni parziali nei campi letterari artistici architettonici archeologici folkloristici e quant’altro, affidandomi ai vari illustri studiosi che hanno scritto di più e di più e vado ad insistere nel mio intento di motivare e stimolare la curiosità del lettore a ben disporsi alla conoscenza di questa terra, isola amabile non solo per il bel mare che la circonda.

Su quest’ultimo periodo romanico toscano-buschetiano ho piacere di scrivere ancora qualche riga, su S.Pietro di Sorres che occupa per me, quel posto speciale dell’anima maturato negli anni 95/99 quando nei pochi momenti “liberi” da impegno totale al lavoro e alla famiglia, andavo cercando in quel periodo, sintonia e armonia interiore e trovare risposte più consone alle mie domande. Aiutata da quei profondi silenzi attorno alle colline basaltiche del territorio di Borutta, a cui si aggiungevano voci lontane, spalmate lungo le dorsali e le valli, il canto del gallo, il latrato dei cani, il raglio degli asini, i campanacci delle greggi, le taccole sul campanile. Unici rumori che si univano a quei ritmi rallentati, quando il sublime interseca ancora le parole della preghiera gregoriana. Il salmo diviene melodia. La meravigliosa scoperta di questa preghiera salmodiata che scandiva dentro di me un’ emozione spirituale non ancora provata, quell’interiorizzazione che ripiega nella riflessione: mi aiutava a capirne il significato profondo e a conciliarmi con la Parola ritrovata e le mie scelte di vita che, dal dubbio, dall’incertezza e dall’insicurezza, proprio lì, nel silenzio del Mistero, presero più forma, nella consapevolezza e nella conferma. Ecco perché S.Pietro di Sorres mi è cara. Non ha rappresentato la ricerca di Dio. Tutta l’infanzia e la giovinezza trascorsa nella frequenza assidua dell’oratorio Salesiano della mia parrocchia di appartenenza a Cagliari, avevano lavorato dentro me, in maniera fertile,  tanto da inculcare una profonda spiritualità fermentata nello spirito di Don Bosco, nelle gare catechistiche di A.C. sul catechismo di Pio X, nello studio delle encicliche di Paolo VI, nei nuovi fermenti ecclesiastici del Concilio Vaticano II , nei campi di lavoro nel sociale, e non solo, mi avevano tanto più avviato verso quella direzione spirituale, quello studio, quella cultura e quella maturità che mi resero ricettiva a credere nella Parola, nel Verbo incarnato, nell’Alfa e l’Omega della vita e dell’intero universo e a credere nel Mistero. Per cui il monastero ha rappresentato semplicemente, in quel momento, non il tempo di Dio ma il tempo dell’ascolto. Dovevo riascoltare semplicemente un pezzo della mia vita e comprenderla, abbracciarla con più forza, dentro l’odore di quella campagna, della legna che arde, dentro quel silenzio, dentro il rumore delle cicale e seguendo verso il cielo un volo di falco in solitudine. Ed ecco i Vespri, il Mattutino, l’Ora Media i Salmi le Lectio Divina, quelle ore della giornata così scandite mi vennero incontro. Avevo ritrovato il senso della libertà più profonda nelle conferme della mia esistenza.                                  

Il Monastero benedettino di S.Pietro di Sorres è situato nella regione del Meilogu, regione che si caratterizza per i tanti altopiani originariamente vulcanici.  Il comune di appartenenza è quello di Borutta; sin dall’arrivo all’altopiano calcareo, dove sorge il monastero dalle linee eleganti romanico pisane, si rimane colpiti dall’intensa bicromia in calcare e basalto dei blocchi murari che lo compongono. Sito utilizzato in età del Bronzo e successivamente in età bizantina, fu cattedrale della diocesi di Sorres e riaperta al culto nel 1955. Ciò spiega le vaste proporzioni e la ricchezza iconografica. Nel 1954 si instaurò un cenobio benedettino. Il suo primo impianto risale allo stesso periodo di S. Pietro di Bosa (1073) di S. Michele di Plaiano (1082) e di S. Antioco di Bisarcio (1090). La planimetria è di chiara impronta toscana, con aula rettangolare trinavata senza transetto con abside a est. Al suo completamento tra il 1170 e il 1190, quindi seconda metà del XII sec., risultano evidenti affinità con l’architettura pistoiese.

La prima notizia d’insediamento vescovile si ha nel 1112 da una carta sottoscritta da Attone, vescovo di Torres, per confermare all’ordine camaldolese l’abbazia di Saccargia. Nel 1113 il vescovo di Sorres Alberto, concede il proprio consenso alla donazione di S. Nicola di Trullas ai Camaldolesi. Inoltre risalta il nome di Goffredo, monaco cistercense di Clairvaux, che resse la diocesi dal 1171 al 1178, alla cui sepoltura all’interno della chiesa viene riferito il sarcofago litico e la scultura di un vescovo disteso. All’esterno tratti lisci e monocromi di arenaria bianco dorata con finte logge, arcate e intarsi alla maniera pisana (R.Coroneo) che riportano alla personalità di Gruamonte. L’interno risente dell’influsso borgognone con le volte a crociera per campata e per la bicromia lungo tutto il perimetro murario. Ipotesi tanto più suffragata dall’appartenenza del vescovo Goffredo all’Ordine di Citeaux e dal parallelo con l’abbazia della Maddalena a Vezelay. La facciata è divisa in quattro ordini, i primi tre sono abbelliti da arcate, l’ultimo termina con un timpano a filari bicromi alternati e un oculo circolare. Le lunette degli archi dei primi tre ordini sono caratterizzate da intarsi. Nel secondo ordine si apre una bifora che mostra influssi orientali nella lobatura degli archetti. L’abside presenta tre monofore e archetti pensili. Il frontone è arricchito da una loggia cieca con quattro colonnine reggenti cinque archetti. All’interno elegante bicromia, le tre navate sono impostate da pilastri cruciformi e hanno volta a crociera. Poggiato al terzo pilastro di destra un ambone in stile gotico. Sulla parete nord un sarcofago con scolpito un pastorale e una croce. Si tratta del monumento funerario, di cui sopra, con la scultura di un vescovo, il Goffredo che fece erigere la cattedrale. Sulla stessa parete si trova una statua della Madonna con Bambino del XV sec. Speciale interesse riveste un elemento superstite dell’arredo presbiteriale romanico: un pluteo composto da due quadrati che inscrivono un tondo con bordo e disco centrale in rilievo. La lastra intarsiata è vicina ad analoghi pezzi a Pistoia, e quindi di indubbia fonte pisana. (R. Coroneo) Dall’altare si accede alla sacrestia, formata da ambienti con volta a ogiva, e da qui alla sala Capitolare con volta a botte da cui si ammira parte del chiostro del monastero (foto sotto riportata).

Bibliografia

Gino Camboni l’Architettura Sacra in Sardegna Muros(SS) 1994

Giulio Concu Guida alle chiese e ai santuari della Sardegna Nuoro 2011

Natale Sanna Il cammino dei Sardi Sestu(CA) 2003

Roberto Coroneo Chiese Romaniche della Sardegna Cagliari 2005

Raffaello Delogu l’Architettura del Medioevo in Sardegna Sassari 1988

Roberto Coroneo, Renata Serra Sardegna preromanica e romanica Milano 2004

Immagini:

Sardegnaturismo.it                                                               

Sardegnacultura.it

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