L’eremo del Cerbaiolo è un agglomerato pietroso, aereo e isolato. Acerbus locus, come la tradizione vuole che venisse definito da sant’Antonio da Padova, da cui l’attuale toponimo. Sulla carta geografica è un puntino perso tra grandi masse rocciose e macchie di verde, che delimitano campi coltivati o pascoli. In posizione strategica, domina l’alta Val Tiberina, stagliandosi, confuso nel bosco, in una collocazione panoramica e impervia, ad un’altezza di 861 metri.

 

Eremo del Cerbaiolo

Può apparire improvvisamente dall’alto a chi, quasi planando sulla piccola chiesa e sul campanile, proviene dal santuario della Verna. Oppure, più facilmente, si rivela dal basso per il viaggiatore, o il pellegrino, che percorre la strada che parte da Pieve Santo Stefano o dal valico di Viamaggio. Sorge su una rupe di imponenti brecce che mostrano al loro interno grotte e anfratti naturali. Un insieme di rocce fratturate sedimentarie, calcaree e basaltiche con formazioni ofiolitiche, attorno alle quali e, fondendosi a queste, si sviluppa il complesso. Ammassi rocciosi spaccati e sovrapposti che ricordano quelli della Verna di uguale natura e formazione. Ma, sebbene un vecchio adagio pievano reciti: “chi ha visto la Verna e non il Cerbaiolo, ha visto la mamma e non il figliolo”, si deve a quest’ultimo il primato di anzianità che è di cinquecento anni precedente alla costruzione della Verna e di trecento a quella di Camaldoli. L’inizio della sua storia si fa risalire all’anno 706 quando Tedaldo, principe longobardo e signore di Città di Castello, Pieve Santo Stefano e Massa Trabaria, lo fece erigere per la figlia convertitasi al cristianesimo, affidandolo ai monaci benedettini, ai quali confermò la donazione con atto pubblico del 722, cui seguì nel 723 la concessione di tutto il bosco circostante. Studi recenti hanno rilevato come la maggior parte dei complessi monastici benedettini, sorti tra l’VIII e il IX secolo in terra aretina, seguissero nella scelta dell’ubicazione criteri indirizzati alla gestione delle risorse territoriali, piuttosto che volti alla ricerca incentrata unicamente sull’isolamento e sulla distanza dalla società. Fa eccezione l’eremo del Cerbaiolo, uno dei primi insediamenti benedettini in Val Tiberina, sorto forse su una preesistente comunità monastica di tipo basiliano. Intitolato a san Paolo e priorato della potente abbazia di san Michele arcangelo al Presale (Badia Tedalda), risulta essere stato fondato con la precisa intenzione di creare un cenobio di ascesi e preghiera.

In quelle realtà accomunate dalla regola di san Benedetto, oltre ad esprimere la propria fede, era tuttavia necessario creare condizioni funzionali al mantenimento di un’economia di sussistenza. In tal senso, l’eremo viene ricordato in due bolle pontificie: quella del 1150 di Eugenio III e quella del 1170 di Alessandro III, in cui veniva disposta la scomunica per chi avesse recato danno alla foresta del Cerbaiolo, proprietà dei benedettini, cui competeva appunto la cura e lo sfruttamento delle grandi foreste di Viamaggio e dell’Alpe della Luna. Il ruolo di confine di quest’area, crocevia di antiche strade di comunicazione in bilico tra la Toscana e la Romagna, ne ha segnato la storia. La maggior parte degli snodi viari tardoantichi e altomedievali attraversavano proprio il territorio aretino per raggiungere da Roma l’esarcato di Ravenna; oppure, per recarsi in pellegrinaggio ad Assisi e a Roma attraverso il valico di Viamaggio.

La via Flaminia minor, che collegava Arezzo con Bologna attraverso il Casentino, e la via Ariminiensis o Livia, che collegava Arezzo con Rimini e Ravenna, passando per le valli del Marecchia e del Tevere.

Per queste strade san Francesco giunse a Pieve Santo Stefano nel 1216, durante la sua terza peregrinazione al santuario della Verna, luogo di numerosi e prolungati periodi di ritiro, dove la sua presenza è attestata dal 1214 al 1224.

La santità di Francesco era ben nota e in questa occasione (fu ospitato dalla famiglia Mercanti al castello della Pieve) gli venne fatto dono da parte della comunità dei pievani dell’antico romitorio non più abitato dai benedettini. Abbandonato da circa settanta anni, a causa di liti di confine e di incursioni vandaliche, rimase comunque di proprietà dell’ordine per lungo tempo anche dopo la partenza dei monaci e l’insediamento dei francescani. Non è certo se san Francesco vi abbia soggiornato, è probabile piuttosto che sia andato a visitare il posto e, come riportano le fonti: “trovatolo consentaneo ai suoi divisamenti, ne aggradì l’offerta e in breve periodo poté essere ridotto a dimora dei frati” i quali, dopo aver ricostruito il convento su quanto rimaneva del precedente monastero, vi si stabilirono nel 1218.

Vi resteranno ininterrottamente fino al 1783, lasciando alcune tracce ancora visibili del loro passaggio, come gli affreschi del refettorio con medaglioni di santi francescani e tre altari rinascimentali nella chiesa, che fu intitolata prima a san Francesco e successivamente alla Vergine.

Mentre era in cammino verso Assisi e Roma, proveniente dalla Verna, sostò al Cerbaiolo anche sant’Antonio da Padova, la cui permanenza è ricordata almeno nel 1226 e nel 1229. Alcuni sostengono che qui abbia scritto i suoi Sermones.

Il santo, per il quale perdura ancora una fortissima devozione nelle popolazioni locali, condusse qui una vita di estrema ascesi e solitudine. Pare che “fosse uso prendere ricovero presso una vicina grotta (…), prendendo scarso e disagiato riposo notturno sovra uno dei massi”.  Nel 1716, a poca distanza dall’eremo e isolata nel folto della macchia, fu costruita una piccola chiesa proprio sopra la grotta dove si ritirava in preghiera. Presenza architettonica singolare, questa cappella è costituita da un edificio a torre, libero a valle e appoggiato su un fianco ad una grande emergenza rocciosa. Conserva al suo interno il masso incavato dove, secondo la tradizione, Antonio dormiva e dentro il quale, come ricordano testimonianze orali, i fedeli si adagiavano in segno di devozione.Ma un altro sasso particolare, oggetto di una radicata e tramandata credenza popolare, è quello che si trova a poca distanza dalla chiesetta. Si racconta che gli animali del bosco si radunassero intorno a lui per ascoltarlo mentre pregava, lasciando impresse le loro impronte, che ancora si cerca di decifrare negli strani segni che solcano la pietra.

Col trasferimento dei frati nel 1783, fu istituita una parrocchia dedicata a sant’Antonio, che contava nel 1833 ottantuno abitanti. Nell’agosto del 1867, Giosuè Carducci, accettando l’invito della famiglia Co­razzini, andò a trascorrere una breve vacanza a Pieve San Stefano col proposito di salire sul monte Fumaiolo fino alle sorgenti del Tevere. Di quel soggiorno il poeta ne parla con allegria ed entusiasmo nelle lettere alla moglie e all’amico Giuseppe Chiarini. L’illustre ospite fu festeggiato con banchetti e concerti, partecipò ad allegre scampagnate e a partite di caccia. Visitò la Verna, vide le sorgenti del Tevere e non mancò di andare al Cerbaiolo, cui dedicò alcuni versi nell’ode Agli amici della valle tiberina, pubblicata in Giambi ed epodi (1867-1879): “E tu che al ciel Cerbaiol riguardi/discendendo dai balzi d’Appennin,/come gigante che svegliato tardi/s’affretta in caccia e interroga il mattin”.

Durante la Seconda guerra, l’eremo fu teatro di scontri a fuoco tra partigiani e truppe tedesche, che ne avevano fatto un punto di avvistamento per il controllo dei territori dove correva la Linea Gotica. Il 28 agosto 1944, i tedeschi, incalzati dall’avanzata alleata, prima di iniziare la ritirata lo fecero saltare, minando la chiesa e parte del convento. Non rimase che un cumulo di rovine, rese sempre più vaste dal totale abbandono. Fino a quando un’esile e caparbia donna decise nel 1966 di fare del Cerbaiolo il suo luogo di eremitaggio e di ricostruirlo completamente. Chiara Barboni, una consacrata laica, intraprese anzitutto un’operazione ‘certosina’, se così si può dire, di ricomposizione attraverso indagini catastali delle diverse proprietà in cui il complesso e l’area circostante erano stati frazionati negli anni.

 

La sua tenacia fu premiata da varie donazioni, che furono intestate all’istituto secolare al quale apparteneva; tra queste, quella di oltre 45.000 metri quadri da parte di una società privata che deteneva parte dei fabbricati e il bosco con la cappella di sant’Antonio.  I lavori di ricostruzione e restauro iniziarono nel 1968 e terminarono nel 1976 sotto la direzione della Soprintendenza di Arezzo. Furono mantenute le antiche strutture e le volumetrie. Fu ricostruita la chiesa, reso abitabile il convento (odierna foresteria) e furono rese accessibili le terrazze che si aprono su un paesaggio pressoché intatto, che degrada sfumando verso il lago di Montedoglio, perfetto sfondo di dipinti rinascimentali. La pastora-eremita, come veniva chiamata Chiara, visse qui fino alla sua morte nel 2010, con una comunità, fatta di trecento capre, sessanta gatti, due cani e un allocco.

Oggi, grazie al nuovo rettore e ai tanti volontari toscani e romagnoli che si impegnano per la sua manutenzione, l’eremo è raggiunto da molti visitatori. A piedi, con una deviazione dal percorso della Via di Francesco, che dalla Verna porta ad Assisi, passando da Pieve Santo Stefano come seconda tappa; oppure, in auto (dalla SP77 Tiberina) e poi a piedi nell’ultimo tratto.

Luogo di antica spiritualità, ancora dopo tanti secoli, il Cerbaiolo ne mantiene lo spirito primitivo. Appartato e, ugualmente, aperto a tutti e, in particolare – come si legge in una recente recensione su TripAdvisor – “per chi sa che il silenzio ha voce intensa”.

Articolo inserito nella rivista L’Italia, l’Uomo, l’Ambiente n° 10, anno VIII, Novembre 2021

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Riferimenti bibliografici

  • Archivio Provincia Toscana frati Cappuccini, Piccola compagnia di sant’Elisabetta, busta 1598
  • Di Miglio, Nuovo dialogo delle devozioni del Sacro Monte della Verna, Stamperia ducale, Firenze, 1568, p. 193
  • Savelli da Stia, Breve dialogo nel quale si discorre come quel S. Monte della Verna essere stato prima donato a S. Francesco, in Fiorenza & ristampata in Perugia, nella stampa Augusta, 1617, p. 81
  • Pulinari da Firenze O.F.M., Cronache dei Frati Minori della Provincia Toscana secondo l’autografo d’Ognissanti, Cooperativa Tipografica, Arezzo, 1913, pp. 508-509
  • F. Di Pietro, G. Fanelli, La Valle Tiberina Toscana, edizioni EPT, Arezzo, 1973, pp. 269-271
  • San Francesco e i Francescani a Pieve S. Stefano. Cenni commemorativi nell’VIII centenario della nascita del santo, 1982
  • Sacchi, Compendiosa descrizione istorica della terra di Pieve S. Stefano, trascrizione dal manoscritto originale a cura di E. Fontana e V. Pannilunghi, Città di Castello, 2000
  • Cerbaiolo 706-2006, a cura di Centro ricerche archeologiche, Pieve santo Stefano, 2006

 

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