Articolo pubblicato su IUA n° 10, Anno II, Novembre 2015

È questo il secondo articolo che dedichiamo alla trentina Val di Pejo, nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio, prendendo in esame la biforcazione nord-occidentale di essa, chiamata Val del Monte.

È, questo, un angolo di Trentino che confina con la Lombardia, e perciò si trovò a essere, sin dall’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, zona di prima linea. Chi ne subì le conseguenze fu la popolazione locale, da sempre suddita dell’Impero asburgico, che, un po’ perché di lingua italiana, un po’ perché intralciava le operazioni belliche, fu deportata in altre regioni, anche lontanissime.

Sui versanti contrapposti della Val del Monte, si fronteggiarono per più di tre anni Alpini e Kaiserjager, affrontando una vita durissima ad alta quota, cui, ai bombardamenti contrapposti, si unirono disagi e privazioni d’ogni genere, specie durante l’inverno.

Ora, invece, sembra d’essere in un piccolo paradiso: gli unici spari che è dato di sentire sono quelli del fucile di qualche bracconiere che va a camosci.

Il nostro percorso parte a valle del Forte Barbadifior, un fortilizio costruito dagli austriaci tra il 1906 e il 1908, in calcestruzzo, ora abbandonato: probabilmente non ebbe nessuna importanza nelle vicende belliche perché posto in fondo valle, ma sembra ancora mostrare i muscoli a un ipotetico nemico. In breve, raggiungiamo il Fontanino di Cellentino, con acqua ferruginosa e leggermente frizzante, per poi ascendere, piuttosto faticosamente, a quelli che un tempo erano i prati della Malga Palù, e che ormai da svariati decenni sono diventati un vasto e bellissimo lago artificiale, dalla cui diga fuoriesce il torrente Noce, che poi percorrerà tutta la Val di Pejo e la Val di Sole. Larici e abeti rossi fiancheggiano il sentiero, assieme ai pini mughi. Non è difficile immaginare che, a fine agosto, il sottobosco brulicherà di mirtilli e sarà buono anche per i porcini…

Alla fine della salita (ci troviamo a circa 1900 metri), la vista del lago Palù ripaga ampiamente dello sforzo fatto. Circondato dalle abetine e dai lariceti, il bacino si corona in alto, verso nord, delle splendide vette del Gruppo del Monte Vioz (mt.3600), mentre a occidente si profila il Corno dei Tre Signori, così chiamato perché si trovava all’incrocio tra la Repubblica di Venezia (di cui faceva parte la Valtellina), il Canton dei Grigioni (Valfurva), e il territorio del Principe-Vescovo di Trento.

Il sentiero costeggia il lago sulla riva alla nostra sinistra. Ogni punto è adatto per scattare splendide foto, o per sostare sulle spiaggette di sassi e ghiaia… poco dopo, s’incontra il sentiero che sale al Passo del Montozzo e al Rifugio Bozzi, sul versante che corrispondeva alla prima linea italiana.

Ho trovato una foto che ritrae, nel Luglio del 1915, quindi esattamente cento anni fa, proprio qui sopra, due famosi irredentisti italiani di origine austriaca, arruolatisi nel nostro esercito: uno è Cesare Battisti, l’altro Guido Larcher, cui è intitolato il Rifugio omonimo, di fronte al ghiacciaio del Cevedale. Compagni d’idee e d’armi, i due ebbero un destino molto diverso: Battisti, com’è noto, fu fatto prigioniero dagli imperiali, processato e impiccato come traditore; Larcher invece portò a casa la pelle, continuò a far politica e divenne un alto gerarca fascista.

Arriviamo infine a capo della semicirconferenza lacustre, dove il torrente si getta nel lago con un ampio estuario. Ci troviamo in un ambiente veramente bellissimo, dove vi è un luogo di sosta che corrisponde all’antica Malga Palù, con tanto di sorgente. L’itinerario poi si biforca: verso sinistra ci s’inoltra nella valle, verso il Passo della Sforzellina (metri 3000), da cui poi si può raggiungere la mitica strada del P. Gavia, teatro di tante imprese ciclistiche; verso destra invece prosegue il sentiero che compie il periplo del lago. L’interesse naturalistico ci spingerebbe a continuare il cammino nella prima direzione, per esperienza sappiamo che, salendo per le tracce di sentiero che s’inerpicano verso le vette dove si annidavano le postazioni austriache, incontreremmo certamente molti animali, in primo luogo le marmotte, ma anche i camosci e molti rapaci, tra i quali l’aquila reale e l’astore.

Infatti, quei luoghi sono scarsamente frequentati dai turisti, ci arrivano solo bracconieri, guardie forestali e qualche arrampicatore interessato alle pareti rocciose sovrastanti. Purtroppo non abbiamo il tempo necessario, quindi ci accontentiamo di completare il giro del lago giungendo a Malga Giumella, poco sopra la diga di sbarramento, e discendendo poi per la vecchia strada militare predisposta durante il conflitto dai soldati austro-ungarici. Qui avevano progettato di costruire un secondo fortilizio, gemello del Forte Barbadifior che è situato sul versante opposto; ma il comando imperiale si accontentò poi di predisporre solo le immediate retrovie del fronte, dal quale giungevano i morenti, i feriti e le truppe distrutte dalla stanchezza e dai combattimenti, che venivano sostituite da rinforzi ancora freschi. I morti ad alta quota per lo più venivano lasciati sul posto, sommariamente sepolti nel fango e nella neve. Moltissimi la montagna ne ha restituiti negli anni successivi al 1918, e, purtroppo, ancora continua a restituirne, a un secolo di distanza, il ghiacciaio in costante ritirata. Negli ultimi quindici anni, ben sette salme senza nome, tutte appartenenti a soldati austro-ungarici, sono state portate nella chiesetta di San Rocco, poco sopra a Pejo, dove vi è un cimiterino di guerra, e seppellite nella nuda terra vicino all’ingresso, in tombe contrassegnate da semplici croci di legno. Su un cartello bilingue compare la scritta: “Qui sono sepolti militari ignoti caduti durante la più alta battaglia della Storia, il 2 settembre 1918” (cioè solo un mese e mezzo prima della fine della guerra). L’epigrafe conclude: “La loro presenza in questo luogo sia monito perenne agli uomini incapaci di pace”.

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