La vita al tempo del Coronavirus
di Gabriella Costa

Siamo tutti chiusi in casa ormai da un mese, dobbiamo affrontare per la prima volta nella nostra vita qualcosa di nuovo, di tragicamente mortale, un virus per cui non c’è né una cura specifica né tantomeno un vaccino. E così dobbiamo rispettare
‘ l’isolamento forzato’ impostoci dal Governo per il nostro bene, allo scopo cioè di evitare o almeno diminuire i contagi.
Sembra l’inizio di un romanzo di fantascienza, invece lentamente abbiamo compreso che siamo tutti coinvolti e che sarà dura uscirne. Ognuno di noi dunque fatica ad adattarsi a nuovi ritmi, nuove abitudini, spazio ristretto, arresti domiciliari volontari.
In questo tempo sospeso non mi accorgo di che giorno è, mi pareva giovedì e invece la mia amica mi telefona dicendomi che non andrà più a fare la spesa di sabato perché ha fatto due ore di coda, eppure aveva messo la sveglia per essere davanti al supermercato alle otto in punto. E invece aveva già dieci persone davanti.


Io da quando sono in pensione metto la sveglia per andare a fare le analisi del sangue e d’estate per alzarmi in tempo per il trekking con le amiche che sennò mi lasciano a casa, perché una soffre d’insonnia e l’altra ama alzarsi all’alba.
Il contrario di me che nei giorni migliori amavo fare le ore piccole.
Adesso mezzanotte mi sembra già una meta, spesso mi addormento sul divano, complice l’ennesimo film thriller il cui assassino ho già individuato fin dalle prime scene. Modestia a parte, sono diventata un’esperta oppure semplicemente gli sceneggiatori di tali prodotti TV usano gli stessi schemi, triangoli amorosi, eroe in azione per vendicare morti violente di intere famiglie, denaro sottratto e povere fanciulle belle ma ingenue facili prede innamorate di giovanotti psicopatici che si vedono da lontano.
Ma tant’è, a me piacciono i thriller e i gialli perché alla fine il bene trionfa e giustizia è fatta.
Insomma la mia amica mi ha ricordato che è sabato, e io che mi stavo preparando a mettere come sottofondo ai miei esperimenti culinari la ” Signora in giallo” su Rete 4, ho una cocente delusione, infatti non amo più di tanto il programma del sabato con Luca Sardella e quel suo cappellino vintage che vaga per l’Italia in cerca di non so cosa. In fondo non riesco mai a sapere se alla fine trova o no quello che cerca perché cambio canale e mi lascio tentare da quei dieci minuti scarsi di Beautiful, la soap opera, si diceva così una volta, secoli fa quando fu creata, e che io ovviamente, come l’indimenticabile Nanni Moretti di Caro Diario disprezzavo deridendo chi la guardava, adesso faccio parte, almeno ogni tanto, di quel pubblico.
Come si cambia e come si diventa diversi, estranei persino a noi stessi. Cambiamo così tanto nel corso della vita che ci vuole un sacco di fatica per riconoscerci, e ora grazie al Coronavirus e a questo forzato stare in casa con tanto tempo a disposizione, posso cominciare a provarci.
Mi metto a pranzo e osservo che anche nella puntata di oggi non è successo niente di nuovo, come del resto non succede ormai quasi niente per settimane nella famiglia Forrester di Los Angeles. Sembra di bere un brodino lungo e trasparente intervallato da qualche residuo vegetale galleggiante, un pezzetto di patata, Ridge, uno zucchino, Thorne, qualche carota avvizzita, Brooke e le sorelle sempre più gonfie di botox, qualche pisellino verde, i nuovi figli e nipoti molto simili d’aspetto e di cui non ricordo il nome. 
Per il caffè mi sposto in terrazza, mi siedo sulla seggiolina appena scartata e riverniciata che sembra nuova, come ho riverniciato il tavolino, il legno della porta- finestra e la ringhiera.


Durante le prime settimane di questa forzata reclusione, anche io, come molti di noi, vivevo caricata a molla, sembravo una pentola a pressione, parole di mia figlia. Dovevo assolutamente fare cose sia la mattina che il pomeriggio perché così ero abituata. Perciò invece del corso di pilates nella mia palestra ora chiusa, ho riverniciato il portone del nostro condominio, invece della passeggiata in salita verso le Ville Medicee dietro casa, ho ballato la zumba in salotto seguendo il video che la mia amica mi ha inviato via watsapp. Poi non ancora sazia e con un po’ di fiato residuo nei polmoni, ho fatto lunghe telefonate, salutando con affetto e nostalgia anche coloro che avevo giurato di eliminare dalla mia vita per i più svariati motivi, offese, incomprensioni, differenze di opinione politiche o religiose.
Presa da un attacco di nostalgia per il mio paese natale, dove ho la seconda casa, ho addirittura mandato un saluto virtuale su Facebook a tutti gli abitanti, non tralasciando di salutare anche coloro che si dilettano nell’attività che odio di più e che combatto con tutta l’anima, i cacciatori.
Potenza dell’istinto di sopravvivenza e della solidarietà in stato di bisogno.
Poi è iniziata la fase numero due, piano piano mi sono sgonfiata come un palloncino, ho iniziato a muovermi più lentamente, in modo più consapevole, forse. All’inizio ero terrorizzata che mi venisse il mal di schiena, io che faccio gli esercizi per la cervicale, gli addominali, i dorsali, mi sentivo in colpa e temevo la giusta punizione del mio organismo.
Invece devo ammetterlo, la schiena sta benone, il collo pure, le anche mi fanno dormire beatamente coricata sul fianco e persino quel doloretto al nervo sciatico sembra scomparso.
E i sogni ?
Ho ricominciato a sognare, faccio sogni in quantità industriale e me li ricordo pure. Dicono che ricordare i sogni sia il segno del ritrovato rapporto con noi stessi.
E io l’avevo già sperimentata questa clausura forzata per molti mesi quando mi ruppi una gamba in malo modo, ed ero in balìa degli altri. Adesso è diverso, sto bene fisicamente, mi muovo bene, e mi sento unita agli altri come mai prima perché siamo accomunati dagli stessi timori e paure.
Insomma mi aggiro in questa mia casa troppo pulita, coi vetri brillanti, le piante così felici di avermi intorno ad annaffiarle regolarmente che mi hanno regalato una super-fioritura.


E i gatti?
All’inizio si sono sentiti sorvegliati, mi guardavano sorpresi nel vedere che mi precipitavo con la paletta in mano a pulire la lettiera appena loro ne uscivano, anzi addirittura ero lì ad aspettare che finissero, cosa sbagliatissima perché non esiste niente di più intimo e privato di un gatto intento ai suoi bisogni fisiologici.
Ho rischiato di farli diventare stitici o malati di reni.
Per fortuna ho smesso anche questa abitudine e loro mi ripagano con fusa e coccole.
Insomma in questo piccolo mondo sospeso si può fare tanto, ma soprattutto si può cercare di dare un senso a questo isolamento che siamo obbligati a rispettare per il bene comune, riflettendo su molte cose, primo fra tutti il nostro eccessivo narcisismo, il nostro sentirci invulnerabili e al centro dell’universo.
Non siamo invulnerabili, un nemico invisibile può acchiapparci e punirci attaccando proprio l’organo simbolo che ci permette di respirare, parlare, dunque vivere.
E questo nemico fa in modo che la morte sopraggiunga nel silenzio più totale, senza il conforto di parenti, amici, di un funerale, quel rito che ci distingue dagli altri animali.
Ritroviamo il senso del limite, e di conseguenza il bisogno di legami veri, di solidarietà.
Chissà se alla fine di questa catastrofe che ha spezzato il nostro tempo programmato e ci ha fatto piombare in questo presente sospeso, donandoci un formidabile senso di inadeguatezza con inevitabile senso di colpa – potevo fare, potevo dire, potevo accontentarmi – fino alla domanda peggiore – perché è capitato a lui e non a me,
chissà se alla fine non ci sentiremo nuovi e più forti come dei veri ” reduci” di un mondo obsoleto e capaci di crearne finalmente uno nuovo, più etico ed ecologico, ricordando le fantastiche giornate senza tanfo e inquinamento ma piene del cinguettio degli uccelli.

Gabriella Costa
Firenze Aprile 2020

Share Button
Please follow and like us:

CC BY-NC-ND 4.0 REDUCI by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.