Articolo pubblicato su IUA n° 8, Anno VI, Settembre 2019

Questo è un ricordo di famiglia del quale non ho mai parlato, tanto meno scritto.

Risale all’estate del 1947, un’epoca in cui probabilmente ero già presente, ma allo stadio di feto, nella pancia di mia madre, e perciò non posso essere definito testimone oculare…

Riporto quindi, soltanto, quanto mi fu raccontato, qualche anno dopo, sia da mio padre che da mia madre, che furono molto precisi nel situare l’evento e le circostanze.

Dunque: Guido Marucelli e Teresa Mauri si erano sposati nella primavera precedente, a Firenze, città nella quale lui era nato e aveva sempre vissuto e lei si era trasferita, da Torino, ancora adolescente. Non erano più molto giovani: la guerra e quel che comportava aveva ritardato la loro conoscenza e il loro matrimonio, come per molte altre coppie, era avvenuto nel momento in cui, passata la bufera, si cominciava a ricostruire; magari il futuro non era in realtà così radioso ma, per chi aveva vissuto i momenti funesti del conflitto, dei bombardamenti, dell’occupazione nazista, doveva apparire per lo meno dipinto di un rosa acceso.

Quell’estate, la prima dopo le nozze, e forse proprio per questo, erano andati a “villeggiare” non lontano dalla città, in un paesino che si chiama Montepiano, posto a ottocento metri di altezza sull’Appennino tosco-emiliano, nell’alta valle del fiume Bisenzio. Una località che forse aveva conosciuto tempi migliori, se è vero che era frequentata già verso la fine del XIX secolo dalla buona borghesia fiorentina e pratese; comunque le strade, dopo la guerra, erano malmesse e anche il viaggio di poche decine di chilometri sui vecchi e scomodi pullman di linea poteva essere considerato una piccola avventura.

Non so dove alloggiassero; se in una pensioncina o, come spesso a quei tempi capitava, presso una famiglia che affittava una camera per brevi periodi; dalla mia esperienza personale, fatta nella primissima fanciullezza, posso però indovinare che si trattava di una sistemazione semplice, senza bagno privato (si trovava solo negli Hotel di gran lusso) e senza acqua corrente in camera. Un lavabo con la classica catinella di ferro smaltato e una brocca piena era il massimo delle comodità consentite in un borgo appenninico.

Vi erano però, e in abbondanza, aria buona, boschi e verdi panorami, cibo magari modestamente cucinato ma, almeno, non più strettamente razionato. Praticamente, il paradiso, per chi era scampato ai lutti e agli orrori e aveva trovato per giunta l’amore.

Teresa aveva 32 anni, era snella, coi capelli scuri e ondulati, molto carina anche per i canoni attuali.

Guido, trentaseienne, non ancora toccato dalla pinguedine che lo avrebbe poi contraddistinto, già un po’ stempiato, faccia da bonaccione che non lo avrebbe mai abbandonato, non aveva certo un fisico atletico, ma il fatto che fosse ancora vivo e integro non era affatto da sottovalutare.

Chissà se Teresa sapeva di essere già incinta, seppur da pochissimo, e se glielo aveva rivelato: voglio sospettare che conservasse quel piccolo segreto – enorme per lei che aveva perso il padre appena dopo la nascita e aveva subito molte angherie dalla sorte, tra le quali un patrigno questurino e manesco – per farne dono al marito proprio durante quella loro prima vacanza insieme.

Penso – e spero – che quei giorni a Montepiano siano stati davvero felici : presto il destino, oltre alla gioia per la mia nascita, avrebbe riservato alla coppia sventure a iosa e una vita davvero difficile.

Però, su quei monti si stava al fresco, si camminava mano nella mano, si scambiavano quattro chiacchiere coi paesani e con le altre coppie venute a villeggiare; dopo il tramonto, e la cena che immagino piuttosto parca, si andava ad ammirare il sorgere delle stelle, così diverse, allora, perché non ancora offuscate dall’inquinamento luminoso.

Fu in una di queste sere tranquille che accadde. Riporto, quasi parola per parola, ciò che mi è stato narrato più volte durante l’infanzia e l’adolescenza.

A un tratto, nell’oscurità incombente, una gran luce si accese: un oggetto a forma di piatto rovesciato, roteante lento sul proprio asse, la emanava, sospeso nell’aria all’altezza degli occhi di quei pochi giovani innamorati che si trovavano sul luogo. Nessuno sapeva di che si trattasse, nemmeno per sentito dire, e nessuno si immaginava che di lì a qualche mese quel fenomeno si sarebbe ripetuto più volte, in Italia e nel resto del mondo, e avrebbe affascinato l’immaginario collettivo. Rimasero dunque a guardare, più stupiti che sgomenti: di cose brutte ne avevano viste e provate sulla propria pelle fin troppo, negli ultimi anni, ma questa… questa era bella!

A quale distanza si trovasse, quali fossero le dimensioni dell’oggetto, a nessuno venne in mente di stimare. Forse Teresa si strinse al marito, a cercare protezione, ma soltanto perché in un angolo della sua mente c’ero io, il suo bambino di cui ancora nessuno sapeva…

Durò pochi secondi, un minuto, molti: non me lo hanno precisato. Si cronometrano i miracoli?

Poi il disco luminoso ebbe una vibrazione e, a velocità inconcepibile, sparì dietro le montagne.

Probabilmente le coppie presenti si guardarono, forse scambiarono qualche breve commento, ma nessuno, almeno così pare, ne parlò nei giorni successivi. Niente di niente apparve sui giornali locali, e la radio aveva ben altre notizie da comunicare.

 

La coppia tornò alla sua stanza. Vorrei immaginare che la notizia del mio concepimento sia stata data a mio padre proprio quella notte, fra un bacio e l’altro, così da potermi considerare, un po’, anche figlio di altri mondi… ma non lo saprò mai.

Nota:

In quello stessa estate accadde – se è vero – negli USA il famoso “incidente di Roswell”, nel quale un UFO andò a schiantarsi a terra coi suoi occupanti. Materiale e corpi furono recuperati dall’Esercito e dall’Aviazione degli Stati Uniti, e da allora hanno costituito uno dei più grandi enigmi del nostro tempo.

Un secolo innanzi – esattamente il primo novembre del 1864 – la Contessa Gertrude Baldelli si trovava sul terrazzo della sua villa di Montespertoli. Alle 22,53 (la contessa era evidentemente una persona precisa) avvistò “un bianco globo di fuoco molte volte più grande della luna piena”, immobile nel cielo. Scomparve dopo circa un minuto. La notizia fu riportata qualche tempo dopo dalla rivista inglese “Astronomical Register”.

Il 27 ottobre del 1954, nel pomeriggio, si giocava, allo Stadio Comunale di Firenze, l’incontro Fiorentina-Pistoiese, alla presenza di diecimila spettatori. All’inizio del secondo tempo, un oggetto voluminoso si materializzò sopra la Torre di Maratona. “Era scuro”, precisa il terzino della Fiorentina e poi della nazionale Ardico Magnini. Tutti volsero lo sguardo al cielo, compresi i giocatori e l’arbitro. La partita fu sospesa. Dopo un po’, l’oggetto scomparve a gran velocità.

Quella sera, ricaddero sulla città e sui dintorni filamenti argentei, silicei.

Una splendida tavola di Walter Molino, sulla Domenica del Corriere, immortalò l’avvenimento.

 

 

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