Articolo pubblicato su IUA n° 10, Anno IV, Novembre 2017

Lo Stato ha messo all’asta la storica Abbazia di Soffèna: vergogna!

La Strada dei Setteponti si snoda, stretta ma panoramicissima, sulle pendici del Pratomagno, il massiccio montuoso che divide il Valdarno dal Casentino, tra le province di Firenze e di Arezzo.

È un itinerario antichissimo, percorso dagli Etruschi prima che dai Romani, che la battezzarono Via Cassia: si tratta infatti della Cassia Vetus, la vecchia Cassia, che portava da Arezzo a Fiesole, prima ancora che la Città del Fiore fosse edificata dai veterani di Silla.

La badia isolata in un grande prato

Passarono i secoli, caddero imperi e sorsero regni e ducati, che a loro volta finirono in polvere: eppure, la strada era sempre lì, battuta da pellegrini e mercanti, fiancheggiata da castelli, pievi e abbazie. Fino a che l’espansione a sud della Repubblica fiorentina vi organizzò nuovi borghi, dove terreni fabbricabili furono assegnati gratuitamente o quasi, per indurre i propri cittadini a trasferirvisi, popolarli e presidiarli contro l’antica rivale, Arezzo, sconfitta a Campaldino ma non ancora doma…

Quando, probabilmente su progetto di Arnolfo di Cambio, il grande architetto che iniziò la costruzione della Cattedrale di S. Maria del Fiore, fu costruito il borgo di Castelfranco di Sopra, lungo la Cassia Vetus, la Badia a Soffèna c’era già, e vi rimase, poco fuori le mura, fino si tempi nostri. L’avevano fondata i Vallombrosani, la cui Casa-madre, il celebre Monastero di Vallombrosa, si trova a circa 20 km da qui, sullo stesso versante del Pratomagno. Piuttosto ricca doveva essere, questa Badia, se fu in grado di permettersi, attorno al 1400, fior d’artisti della Scuola del Masaccio, per affrescare la chiesa. Parte di questi meravigliosi dipinti ci sono giunti, anche se molto danneggiati dall’incuria e dalla dissennatezza degli uomini. Si pensi che, nel corso del 1700, l’edificio, acquisito da un privato, fu destinato a usi agricoli, e gli operai che lo dovevano rimaneggiare ebbero l’ordine di scalpellare via l’opera dei pittori…via tutto, e imbiancare a calce!

Per fortuna, qualche lavorante particolarmente religioso volle risparmiare il volto della Vergine, la cui figura è centrale nell’iconografia della chiesetta; peggior sorte ebbero i vari Santi che le sono vicini.

L’accurato restauro fatto a spese dello Stato italiano, che acquisì il monumento alla metà degli anni ’60 del secolo scorso, ha riportato alla luce queste opere d’arte, tra cui spicca, sulla parete sinistra, un’Annunciazione che non ha molto da invidiare a quelle di celebratissimi contemporanei, quali il Beato Angelico. L’opera è attribuita a Giovanni di ser Giovanni, detto lo Scheggia, che poi non era altro che il fratello di Masaccio: quando si dice la sfortuna di essere un ottimo pittore, ma avere in famiglia un genio assoluto!

Le altre pareti della chiesetta a croce greca recano altri affreschi notevoli, come le Storie di San Giovanni Gualberto, fondatore dei Vallombrosani, dipinte da Bicci di Lorenzo, o la Madonna in trono attribuita a Mariotto di Cristofano: tutte d’eccellente fattura, tutte danneggiate senza pietà da mano davvero sacrilega.

Sulla destra, guardando la porta della chiesa, sorge il monastero, con un chiostro sobrio quanto elegante, circondato da un portico retto da pilastrini. Purtroppo, il resto del monumento non è visitabile, ed anche la parte che vi abbiamo descritto apre solo in giorni determinati e orari ristretti.

Tanto che il sottoscritto più volte vi si è soffermato, passando, senza trovare accesso.

Ora, grazie anche alla disponibilità di un funzionario del Comune di Castelfranco, davvero gentile quanto appassionato nella difesa di un monumento bellissimo della sua terra, ho potuto effettuarne la visita; per apprendere anche, tristemente, che lo Stato italiano ha deciso di disfarsi di questa testimonianza di storia e di arte mettendola all’asta!

La notizia, come anche il fatto che il primo incanto sia andato fortunatamente deserto, è da verificare accuratamene, e ne daremo ben presto notizia ai nostri lettori. Ma non sarebbe purtroppo il primo caso in cui un bene prezioso della collettività viene svenduto a privati, per il classico piatto di lenticchie, dopo che lo Stato vi ha speso una fortuna per il restauro.

Un monumento così deve essere valorizzato, reso maggiormente accessibile, recensito adeguatamente sulle riviste e sui libri dedicati al turismo di qualità. Intanto, nella galleria di foto a corredo di questo articolo, vi proponiamo qualche foto. Se capitate in Valdarno, andateci, prima che qualche riccastro acquisisca il tutto e vi (ci) chiuda le porte in faccia.

Galleria fotografica © Gianni Marucelli 2017

Share Button
Please follow and like us:

CC BY-NC-ND 4.0 Toscana – Un’antica abbazia da salvare by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.