Articolo pubblicato su IUA n° 7, Anno IV, Luglio-Agosto 2017

Cari amici lettori è possibile scaricare l’articolo di Carlo Menzinger di Preussenthal nel formato PDF a fondo pagina.

La devastazione provocata dall’uomo e, soprattutto, dalla civiltà industriale sulla Terra non ha impatti solo sul clima, ma riguarda anche la deforestazione, la perdita di biodiversità, l’inquinamento dell’aria e delle acque, l’alterazione o distruzione degli ecosistemi, l’estinzione di migliaia di specie animali e vegetali, l’esaurimento delle risorse naturali.

Il surriscaldamento globale è, comunque, uno dei drammi più sensibili del nostro tempo. L’ottenimento di accordi internazionali come quelli di Kyoto e di Parigi per limitarne i danni e cercare di farne regredire gli effetti ci aiutano a credere che la nostra razza non sia del tutto folle, incosciente e criminale. Ogni popolo e Paese civile e dotato di sensibilità e cultura, è ormai oggi consapevole che solo mediante una collaborazione internazionale potremo salvare questo nostro pianeta malato.

Il primo giugno 2017 il Presidente Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti d’America non parteciperanno più all’accordo sul clima di Parigi. La scusa è che gli accordi sono poco favorevoli agli Stati Uniti. Un passo indietro da parte di un Paese tanto importante su un simile tema è, oggettivamente pericoloso, allarmante come esempio per altri Paesi e del tutto vergognoso.

Chiudere pubblicamente gli occhi sui rischi ambientali è un autentico crimine politico. I danni che ne potranno derivare sono forse peggiori di un genocidio, sia perché le alterazioni climatiche possono renderci colpevoli anche di innumerevoli estinzioni di specie naturali che si troveranno private del loro clima abituale, sia perché i danni sulla stessa popolazione umana e sulle generazioni future sono inimmaginabili.

Che cosa prevede l’intesa di Parigi?

Secondo il sito della Commissione Europea, alla conferenza sul clima di Parigi (COP21) del dicembre 2015, 195 paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale.

L’accordo definisce un piano d’azione globale, inteso a rimettere il mondo sulla buona strada per evitare cambiamenti climatici pericolosi limitando il riscaldamento globale al di sotto dei 2ºC.

Con l’accordo di Parigi i governi hanno concordato di:

  • mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo termine;
  • puntare a limitare l’aumento a 1,5°C, dato che ciò ridurrebbe in misura significativa i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici;
  • fare in modo che le emissioni globali raggiungano il livello massimo al più presto possibile, pur riconoscendo che per i paesi in via di sviluppo occorrerà più tempo;
  • procedere successivamente a rapide riduzioni in conformità con le soluzioni scientifiche più avanzate disponibili;
  • riunirsi ogni cinque anni per stabilire obiettivi più ambiziosi in base alle conoscenze scientifiche;
  • riferire agli altri Stati membri e all’opinione pubblica cosa stanno facendo per raggiungere gli obiettivi fissati;
  • segnalare i progressi compiuti verso l’obiettivo a lungo termine attraverso un solido sistema basato sulla trasparenza e la responsabilità;
  • rafforzare la capacità delle società di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici;
  • fornire ai paesi in via di sviluppo un sostegno internazionale continuo e più consistente all’adattamento.

L’accordo, inoltre, riconosce:

  • l’importanza di scongiurare, minimizzare e affrontare le perdite e i danni associati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici;
  • la necessità di cooperare e migliorare la comprensione, gli interventi e il sostegno in diversi campi, come i sistemi di allarme rapido, la preparazione alle emergenze e l’assicurazione contro i rischi:
  • il ruolo dei soggetti interessati che non sono parti dell’accordo nell’affrontare i cambiamenti climatici, comprese le città, altri enti a livello subnazionale, la società civile, il settore privato e altri ancora.

Essi sono invitati a:

  • intensificare i loro sforzi e sostenere le iniziative volte a ridurre le emissioni;
  • costruire resilienza e ridurre la vulnerabilità agli effetti negativi dei cambiamenti climatici;
  • mantenere e promuovere la cooperazione regionale e internazionale.

L’UE e altri paesi sviluppati continueranno a sostenere l’azione per il clima per ridurre le emissioni e migliorare la resilienza agli impatti dei cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo. Altri paesi sono invitati a fornire o a continuare a fornire tale sostegno su base volontaria.

I paesi sviluppati intendono mantenere il loro obiettivo complessivo attuale di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 e di estendere tale periodo fino al 2025. Dopo questo periodo sarà stabilito un nuovo obiettivo più consistente.

L’accordo è stato aperto alla firma per un anno il 22 aprile 2016.

Per entrare in vigore, almeno 55 paesi che rappresentino almeno il 55% delle emissioni globali dovevano depositare i loro strumenti di ratifica. Il 5 ottobre l’UE ha formalmente ratificato l’accordo di Parigi, consentendo in tal modo la sua entrata in vigore il 4 novembre 2016. Gli Stati Uniti nel 2016 rappresentavano da soli il 15% del pianeta. Con la Cina rappresentano il 45%. La loro uscita mette seriamente in crisi l’accordo e rende l’impegno cinese centrale, con evidenti ripercussioni.

La scelta di abbandono degli USA è dettata da considerazioni di tipo economico e da interessi specifici del Paese, dimostrando un forte miopia e un autolesionistico egoismo politico. La giustificazione di Trump è che “l’accordo negoziato da Obama impone target non realistici per gli Stati Uniti nella riduzione delle emissioni, lasciando invece a paesi quali la Cina un lasciapassare per anni”. Trump uscendo dall’accordo non ha certo fatto un colpo di mano, ma ha semplicemente mantenuto una promessa elettorale. Per un ritiro totale dall’accordo parigino, però, ci vorranno quattro anni e quindi la decisione finale sarà presa dal popolo americano in occasione delle elezioni del 2020 e rimane la speranza che l’elettorato americano nel frattempo riacquisti coscienza delle proprie responsabilità.

L’America, però, votando Trump già sapeva che questa sarebbe stata la sua posizione sul clima. Il tradimento degli accordi per la salvaguardia del pianeta e del nostro futuro è, dunque, un tradimento americano, confrontabile con il recente tradimento degli ideali di pacificazione e di unità europea realizzato con la Brexit dalla Gran Bretagna. Rimane sempre la speranza che questi popoli si ravvedano e riportino i rispettivi Paesi sulla giusta rotta, ma oggi si può quasi dire che il mondo ha smesso di parlare inglese. Con la Brexit e l’uscita dagli accordi di Parigi la guida morale e culturale anglosassone è finita. Il secolo americano si è concluso. L’innamoramento del mondo, dell’Europa e dell’Italia verso la comunità anglosassone ha subito un duro colpo. L’America, che negli ultimi decenni aveva guidato gran parte del mondo tenendo alte le bandiere della Libertà e della Democrazia, si è oggi dimostrata incapace di reggere le più moderne bandiere della Solidarietà e della Difesa dell’Ambiente. L’Europa e il mondo traditi devono procedere senza più l’antico amante e trovare una nuova strada. Questo non vuol dire cercare un nuovo Paese guida, ma costruire finalmente una comunità internazionale europea e non solo che sia multietnica e multilinguistica e non più anglocentrica. A onore degli Americani, va detto che molte città e molti stati USA hanno subito dichiarato che nonostante la posizione del Presidente, andranno avanti con gli obblighi dell’accordo di Parigi. Persino la Gran Bretagna della May in fuga dall’Europa ha dichiarato che non rinuncerà ai propri impegni. Abbiamo, dunque, ancora una speranza che l’antico amore verso i Paesi anglosassoni possa salvarsi nonostante la Brexit e la nuova follia dell’America First.

La fuga di Trump, comunque, non basta in sé a far saltare l’accordo di Parigi. La Cina, che proprio l’America di Obama aveva convinto ad aderire, ha assicurato che proseguirà con l’Europa sugli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti, assumendo inaspettatamente una nuova levatura morale. L’Unione Europea e la Russia hanno confermato il loro impegno. Senza il secondo Paese più inquinante del mondo, raggiungere gli obiettivi, però, sarà assai più arduo e altri Paesi potrebbero essere indotti a seguire l’egoistico esempio americano.

Secondo wikipedia, il surriscaldamento climatico (per favore, non chiamiamolo più “global warming) è il mutamento del clima terrestre sviluppatosi nel corso del XX secolo e tuttora in corso. Tale mutamento è attribuito in larga misura alle emissioni nell’atmosfera terrestre di crescenti quantità di gas serra e ad altri fattori comunque dovuti all’attività umana.

Nel corso della storia della Terra si sono registrate diverse variazioni del clima che hanno condotto il pianeta ad attraversare diverse ere glaciali alternate a periodi più caldi detti ere interglaciali. Queste variazioni sono riconducibili principalmente a mutamenti periodici dell’assetto orbitale del nostro pianeta, con perturbazioni dovute all’andamento periodico dell’attività solare e alle eruzioni vulcaniche (per emissione di CO2 e di polveri).

Sempre secondo wikipedia, per riscaldamento globale s’intende invece un fenomeno di incremento delle temperature medie della superficie della Terra non riconducibile a cause naturali e riscontrato a partire dall’inizio del XX secolo. Secondo il quarto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) del 2007 la temperatura media della superficie terrestre è aumentata di 0.74 ± 0.18 °C durante il XX secolo. La maggior parte degli incrementi di temperatura sono stati osservati a partire dalla metà del XX secolo con la distribuzione del riscaldamento climatico che non è uniforme su tutto il globo, ma presenta un picco massimo nell’emisfero settentrionale a partire dalle medie e alte latitudini fino al polo nord, più accentuato sulla terraferma che sui mari e oceani e un livello minore nell’emisfero sud, circondato dagli oceani, con la zona del polo sud con una tendenza opposta al raffreddamento. Sembrerebbe cioè esserci, anche a livello geografico, una correlazione stretta tra le zone più inquinanti del pianeta e gli incrementi di temperatura. Sarebbero, quindi, proprio i Paesi più industrializzati a generare l’innalzamento e a subirne le più immediate conseguenze.

Questo incremento medio globale sarebbe attribuibile all’aumento della concentrazione atmosferica dei gas serra, in particolare dell’anidride carbonica, dunque una conseguenza dell’attività umana, in particolare della generazione di energia per mezzo di combustibili fossili e della deforestazione, che genera a sua volta un incremento dell’effetto serra. L’oscuramento globale, causato dall’incremento della concentrazione in atmosfera di aerosol, blocca i raggi del sole, per cui, in parte, potrebbe mitigare gli effetti del riscaldamento globale. I report dell’IPCC suggeriscono che durante il XXI secolo la temperatura media della Terra potrà aumentare ulteriormente rispetto ai valori attuali, da 1,1 a 6,4 °C in più, a seconda del modello climatico utilizzato e dello scenario di emissione. E questo che l’accordo di Parigi cerca di impedire.

La temperatura media superficiale della terra al 2015

 L’aumento delle temperature sta causando importanti perdite di ghiaccio e l’aumento del livello del mare. Sono visibili anche conseguenze sulle strutture e intensità delle precipitazioni, con conseguenti modifiche nella posizione e nelle dimensioni dei deserti subtropicali. La maggioranza dei modelli previsionali prevede che il riscaldamento sarà maggiore nella zona artica e comporterà una riduzione dei ghiacciai, del permafrost e dei mari ghiacciati, con possibili modifiche alla rete biologica e all’agricoltura. Il riscaldamento climatico avrà effetti diversi da regione a regione e le sue influenze a livello locale sono molto difficili da prevedere. Come risultato dell’incremento in atmosfera del diossido di carbonio gli oceani potrebbero diventare più acidi.

2016: Estensione dei ghiacci artici rispetto al 1981
2016: Livello medio del mare, dati satellitari

Sempre secondo wikipedia, la comunità scientifica è sostanzialmente concorde nel ritenere che la causa del riscaldamento globale sia di origine antropica.

Dal 2014 la Cina ha superato gli Stati Uniti d’America come maggior Paese inquinante della Terra. Nel 2016 Pechino è, infatti, responsabile del 28,21% delle emissioni di gas serra. Gli USA sono colpevoli per il 15,99%. La Cina, però, è ancora indietro nel suo processo di sviluppo economico e parrebbe giusto chiedere a chi ha già elevati PIL pro capite ed elevati tenori di vita come gli americani, uno sforzo maggiore che quello richiesto a un Paese ancora in crescita. È questo che l’America di Trump non vuole accettare.

Mettendo le emissioni in rapporto con le popolazioni dei singoli Paesi, gli Stati occidentali e quelli del Golfo Persico risultano in cima alla lista dei maggiori produttori di emissioni di gas serra. Ogni abitante di Australia, Canada e Stati Uniti produce oltre 20 tonnellate di gas nocivi ogni anno, più del doppio rispetto ai cinesi.

Al terzo posto della classifica dei Paesi inquinanti nel 2016 troviamo l’India con il 6,24% e al quarto la Russia con il 4,53%. Seguono il Giappone con il 3,67% e la Germania con il 2,23%. La Corea pesa poi 1,75% e l’Iran l’1,72%. Se consideriamo l’Europa a 27 più la Gran Bretagna, l’UE sarebbe al terzo posto con il 9%.

Appare evidente quanto sia rilevante un apporto americano all’iniziativa.

Come dimostra il recente sorpasso cinese, la situazione è in continua evoluzione e i Paesi occidentali in passato hanno contribuito in modo assai più significativo. Se si calcolano i dati a partire dall’inizio della Rivoluzione industriale del XVIII secolo, secondo Rai News, gli Stati Uniti sono i principali produttori di gas serra nei settori industriale ed energetico, con il 28% del totale. Seguono la Cina al 9,9%, la Russia al 6,9%, il Regno Unito al 5,9% e la Germania al 5,6%.

Nel 1751, il primo anno in cui sono disponibili dati, sono state prodotte circa 11 milioni di tonnellate di biossido di carbonio in tutto il mondo. Negli anni ’60, il livello di CO2 era 1.000 volte superiore e nel 2015 sono state emesse a livello globale circa 36,2 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio.

Secondo il rapporto IPCC (“Intergovernmental Panel on Climate Change”) “le emissioni pro capite nei Paesi altamente industrializzati restano in media cinque volte più alte che negli Stati meno ricchi”.

Secondo il sito di RAI News, la produzione di energia è la principale causa di emissioni di gas serra, circa un terzo del totale. Fra i combustibili fossili, a generare la maggiore quantità di inquinanti è il carbone, seguito dal petrolio e dal gas naturale.

L’agricoltura, la selvicoltura e altri tipi di sfruttamento del terreno rappresentano il 24% delle emissioni totali. Altri settori molto inquinanti sono i trasporti, che producono il 13% dei gas serra mondiali, e l’edilizia, con il 7%.

Secondo il V Rapporto dell’IPCC, AR5, “È estremamente probabile che l’influenza umana sia stata la causa dominante del riscaldamento osservato dalla metà del 20° secolo”. I cambiamenti osservati mostrano che il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile, e che dal 1950 molti dei cambiamenti osservati sono senza precedenti nei millenni trascorsi. L’atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, le quantità di neve e ghiaccio sono diminuite, il livello del mare è aumentato e le concentrazioni di gas serra sono aumentate. Ciascuno degli ultimi tre decenni è stato nell’ordine il più caldo sulla superficie della Terra rispetto a qualsiasi decennio precedente a partire dal 1850.

Nell’emisfero settentrionale il periodo 1983-2012 è stato probabilmente il trentennio più caldo degli ultimi 1400 anni.

Secondo il Comitato Scientifico della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, le emissioni pro capite cinesi sono ora circa alla pari con quelle dell’UE a circa 7 tC/py. Nel 2012, le emissioni di CO2 degli Stati Uniti sono diminuite del 4% e sono scese di oltre il 12% dal 2005. Le emissioni pro capite americane sono tuttavia molto superiori, pari a 16.4 tC/py, il peggior valore del pianeta.

In Cina le emissioni di pro capite sono pari a quelle europee, e quasi la metà degli Stati Uniti, le sue efficienza energetica è invece circa la metà degli Stati Uniti e dell’Europa, ed è pari a quella della Federazione russa. Il grande pacchetto di stimolo economico della Cina, finalizzato ad evitare un rallentamento della crescita economica durante la crisi globale, è all’esaurimento.

2016: Concentrazione della CO2 in atmosfera

Che cosa occorre fare? Innanzitutto, serve un grande sforzo collettivo della comunità internazionale per far capire al governo e al popolo americano le conseguenze della loro decisione di abbandono e invitarli a mantenere responsabilmente gli impegni presi. Poi, si dovrà ricercare una sempre maggior presa di coscienza in tutto il mondo delle esigenze di salvaguardia ambientale del pianeta, che come detto all’inizio non possono limitarsi alla difesa delle temperature e del clima, ma che devono considerare questo come un punto minimale di partenza per l’impegno comune di tutti i popoli e di tutte le nazioni di questo piccolo pianeta errante nella vastità dell’universo che è la nostra sola casa e dal quale non siamo in alcun modo in grado di fuggire o vivere senza.

Dobbiamo dire basta a tutti gli egoismi, alle America First e a tutte le forme di nazionalismo autoreferenziale. Al primo posto non deve essere mai un singolo Paese, ma l’intero mondo, il terzultimo pianeta viaggiando verso il Sole.

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