Racconto pubblicato su IUA n° 4, Anno I, Giugno 2014

La strada è lunga, polverosa e sotto il sole. Mi rendo conto che l’idea di questa gita, con il caldo che fa, forse non è delle migliori. Ginevra tiene Elvira per mano, ma quanto durerà? Massimo ha la macchina fotografica ben stretta tra le dita, già si prepara alle foto che farà. Io trascino i piedi, sudo e penso al richiamo dell’acqua con le sue onde che accarezzano, leggere. Che stupida che sono stata.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAIntanto siamo arrivati. Elvira mi corre incontro sorridendo. – Mamma, che bello. La fontana!

Ginevra la guarda come se avesse la varicella: – Mamma, Elvira è stupida, ha detto che vuole fare il bagno lì… – e indica con l’indice puntato la fontana che si trova all’ingresso del Giardino.

-No, Elvira, niente bagno, – rispondo con tono il più possibile pacato – solo guardare, guardare dappertutto. –

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Effettivamente, questo Giardino dei Tarocchi è bello, strano, bello e molto colorato, direi. Sarà difficile tenere le bambine vicine. Elvira è già salita per le scale che circondano le statue da sola, senza aspettare nessuno. Ginevra è ancora lì che guarda l’acqua, incantata. Come farei io, d’altra parte. Queste statue rappresentano gli Arcani Maggiori dei Tarocchi e sono disseminate in uno spazio grande, un vero e proprio parco… ma devo smettere di raccontare a Ginevra quel che so del Giardino perché ho completamente perso di vista Elvira e di mio marito non c’è più traccia. – Mamma, quella è la Ruota della Fortuna? – mi grida dietro Ginevra mentre corro a cercare la piccola. Scelgo la scala a destra, cammino guardando il cemento inciso di parole, segni, forse messaggi che non ho il tempo né la pazienza di leggere. C’è una gran folla che sale e scende i gradini e si raduna vicino alle statue. Non riesco a vedere Elvira, socchiudo gli occhi, cerco un abitino rosso, mi faccio largo tra la gente. C’è odore di gelato che si scioglie e crema solare, qualche zaffata di tabacco. Ma, eccola, proprio sotto il Sole, rappresentato da un grosso uccello giallo, rosso e bianco. Sorride, la monella, senza accorgersi della mia presenza. – Elvira, ma cosa fai qui? Ti avevo detto o no di aspettarci?

– Mammina, ho visto un signore che mi ha detto di stare qui ferma. Così tu mi trovavi.

– Un signore? – diomio, ho i brividi – quale signore, dov’è?

– E’ laggiù, lo vedi? Mi saluta con la mano. Mi ha detto che devo vedere la pancia dell’Imperatrice. Andiamo, mi ci porti? –

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Mi volto, fulminea, ma non vedo nessun uomo, soltanto famiglie con ragazzini che piagnucolano o adolescenti annoiati. Qualcuno sorride, a dire la verità, ma sono ragazze davanti ai cellulari che si fanno le foto.

Mi inginocchio di fronte a Elvira, la guardo negli occhi allegri, le domando con dolcezza se può mostrarmi il signore di cui sta parlando.

– Ma è lì, mamma, sei cieca? – e continua a indicarmi lo steso punto, adesso, casualmente, del tutto vuoto. Non riesco a capire ma non ne ho il tempo, perché Elvira continua a tirarmi la maglietta chiedendo con insistenza che l’accompagni. Intanto Ginevra ci ha raggiunte e ha il muso lungo. – Mi avete fatto restare impalata laggiù senza tornare a prendermi. E’ colpa tua, Elvira! – ringhia inviperita. Cerco di mettere pace come posso e annuncio a voce alta che ci stiamo incamminando verso la pancia dell’Imperatrice. Elvira saltella contenta, Ginevra segue a ruota ancora offesa.

La pancia si rivela un ambiente meraviglioso, interamente ricoperto di specchi, magico. Le bambine, riappacificate, camminano silenziose, in estasi. Io chiamo Massimo, che si è volatilizzato altrove, tra le statue. – Dove siete? Siamo qui, tra gli specchi, rispondo, abbassando il tono della voce. – Papà ci raggiunge subito – dico alle bimbe. Elvira mi guarda e mi strizza un occhio: – Antonio mi ha detto che dobbiamo andare avanti, sul ponte sopra la piazzetta!

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Antonio? Ma chi è questo Antonio? Il signore di prima, dice lei, con sussiego. Usciamo e incrociamo finalmente Massimo. Cerco di spiegargli la storia del signore ma lui non dà importanza all’accaduto. Fantasie infantili, sentenzia. Io mi avvicino a Elvira, che mi cammina davanti e parla animatamente con la sorella: – … e ha una barba lunga e brutta e la camicia abbottonata fino al collo, con questo caldo! Come lo zio Giovanni al matrimonio di Barbara, ahahah!

Ginevra la guarda e sogghigna. Lo zio Giovanni era ridicolo, davvero ridicolo anche per lei.

Io continuo a guardarmi in giro ma non vedo nessuno che ci stia seguendo o che stia appostato vicino a qualche statua in attesa del nostro arrivo. Eccoci quindi sul ponte e poi a guardare la Temperanza, Gli Innamorati. I colori brillano, le statue enormi ci osservano dall’alto, con distratta benevolenza. Le bambine bevono un succo di frutta, ridono insieme, insieme alzano la testa per guardare dove finisce la Torre. Poi, Elvira mi corre incontro e mi abbraccia: – Antonio ti ringrazia, voleva vederlo questo posto da tanto tempo ma non aveva mai trovato nessuno con cui scendere. Ora è sceso con me! Ti saluta, torna al parco guello. Lui sta lì. E’ in Spagna, ha detto. Ciao Mamma, vado a prendere il gelato con papino!

D’improvviso mi torna in mente quello che ho letto all’entrata del parco… Il Giardino dei Tarocchi è opera dell’eclettica artista Niki De Saint Phalle, che trasse ispirazione dal Parque Guell di Antoni Gaudì, a Barcellona. Gaudì, geniale e famosissimo architetto spagnolo, visse tra il 1852 e il 1926.

©Copyright Iole Troccoli, 15 aprile 2014

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